Teresa De Jesús: il realismo di un incontro

Relatori:
Jesus Castellano, Docente alla Pontificia Facoltà Teologica del Teresianum di Roma
Juan Bosco, Convento dei Carmelitani Scalzi di Santa Teresa d’Avila
Moderatore:
Bruno Biotti

 

Biotti:
Quello che, fin dall’inizio, mi ha colpito di Santa Teresa d’Avila è stata l’ampiezza della sua umanità e la sua capacita di simpatia umana; allo stesso tempo la profondità del suo sguardo, della sua domanda e della sua ricerca. Vorrei che fosse chiarito dove sta il realismo di questa santa del Cinquecento, cosa può dire a noi oggi; anche il contesto storico nel quale ha vissuto c’entra con noi perché, probabilmente, diverse situazioni, grandi contraddizioni dell’età moderna hanno origine in quel periodo storico; la testimonianza di questa santa è, quindi, particolarmente significa tiva. Padre Juan Bosco a lei la parola.

Juan Bosco:
L’Italia è stata, con il Carmelo di Genova, il primo Paese dell’Europa in cui è approdata l’opera riformatrice della Santa spagnola. Inoltre, fatto che non ha eguali e di una valenza spirituale che chiunque può intuire, la reliquia del suo piede destro che, al servizio di Dio, aveva percorso in vita la penisola Iberica in tutte le direzioni, arrivò nel 1616 alla città che è capo e cuore della Chiesa, a Roma, come al suo centro reale di gravità, come al più coerente dei propri destini; lì è rimasto, custodito nel tempio Carmelitano di Santa Maria della Scala dove, dopo 400 anni, si continua a venerare. Oggi Teresa arriva a Rimini, in questo evento internazionale, per essere ancora una volta profeta, messaggera di Dio. Teresa è una parola di Dio pronunciata e inviata all’uomo. Avila è una delle città con maggiore valenza storica e nobiltà dell’antica Castiglia, ubicata nel cuore della Spagna.

È il più grande castello in questa terra di castelli, con le sue mura medioevali miracolosamente conservate, complete, intatte: due chilometri e mezzo di mura, di merli, 90 torrioni, 9 porte, costruita su un immensa roccia granitica, sulla sommità dell’altopiano della Meseta della Castiglia, a 1200 metri di altitudine. Avila è la città più alta, più vicina al cielo, che la Spagna possa annoverare. È stata dichiarata città patrimonio dell’Umanità. Dopo otto secoli di invasioni e di occupazioni, da pochi anni erano stati cacciati dal territorio gli ultimi musulmani, ed era stata recuperata l’unità della Spagna. Le navi, le imbarcazioni della Castiglia, avevano solcato il mare tenebroso, ed erano approdate in un nuovo mondo sconosciuto. Era stata codificata e stampata per la prima volta la grammatica di una delle grandi lingue dell’occidente, la lingua spagnola. In questo momento, in questa tappa storica in cui in sta nascendo quello che sarà chiamato “el siglo de oro”, Dio, percorrendo con i propri occhi il mondo come colui che cerca e vuole scegliere un luogo, ha voluto mettere la mano proprio sulla roccia in cui si erge Avila. Ed è proprio lì, all’interno delle mura, che è nato uno dei più grandi testimoni delle Sue misericordie e del Suo amore eterno, una della più innamorate spose del Suo Verbo incarnato: Teresa di Gesù, Teresa de Jesus. Ad Avila è stata modellata, formata, ed il Signore l’ha trasformata in sé. La trasse a sé nell’estasi interiore, per lanciarla poi verso l’estasi, l’uscita esterna, rendendola fondatrice, spalancandole il cammino, rendendola testimone delle meraviglie che Dio, che è amore, realizza nella creatura umana. Camminare e fondare, scrivere e proclamare, in una missione senza tempo, senza spazio, che non si esaurisce e che si concentra attualmente sulla falsariga dei conti e degli stili umani, in 1500 comunità, di figli e figlie suoi, presenti in 110 nazioni. Il Papa Leone XIII disse del monastero dell’Incarnazione di Avila, dove lo spirito di Dio aveva trasformato in braccio d’amore eterno l’anima di Teresa, dove il Figlio di Dio l’aveva unita a sé in mistico matrimonio, che era uno dei luoghi più santi della Terra, perché qui Dio si era mostrato ancora una volta all’essere umano, nella persona concreta di Teresa, ed aveva rivelato come sia capace di amare.

Teresa è un eccezionale e scelto testimone di Dio, non di un Dio studiato, letto o appreso nelle aule, ma ricercato e amato con vitalità, gioiosamente trovato e sperimentato, appassionatamente posseduto e testimoniato. Teresa non racconta mai speculazioni, teorie; descrive e racconta quanto sentito, visto e sperimentato, secondo la sua personalità, il suo stile, per la passione per la verità, che riempie subita e che solo scrive per obbedienza, ed è quello che l’obbedienza le chiede. Perfetta anatomista dell’anima umana, che vede ed esplora dall’interno, che seziona e descrive come pochi, intraprende e realizza attraverso di questo, alla luce della fede e portata dalla mano di Cristo, una delle avventure più affascinanti che lo spirito umano conosca. Se sette dei suoi nove fratelli maschi avevano intrapreso la grande avventura esterna di quel momento della storia, l’avventura verso l’America, lei seconda madre di quasi tutti loro, intraprende e sceglie il cammino opposto, la via contraria, quella più costosa e preziosa dei viaggi umani: addentrandosi nell’anima e nel cuore, ricerca il perché, la ragione stessa alla base del vivere, ricerca il Dio vivo che dimora nell’anima come in un castello interno e che lì aspetta l’uomo per darsi completamente, vita e amore eterno. Renè Fleur Miller ha osservato che, nel momento della storia in cui il polacco Nicolò Copernico esplora l’universo esterno per concludere che il suo centro è il Sole e non la terra, Teresa esplora l’universo dell’animo umano per trovare il fatto che è motore e centro attorno a cui girano terre e soli. Nel secolo in cui il tedesco Keplero scopre leggi relative alla gravità per i corpi materiali, Teresa scopre e spiega con una maestria, una destrezza, una capacità sorprendente di introspezione, le leggi che reggono l’inevitabile gravitazione dell’anima umana verso Dio. Negli anni in cui  l’anatomista fiammingo Vesalio scruta anatomie umane per studiarne e svelarne i segreti, una monaca di Avila mette a nudo, scopre il più profondo ed imperituro che abbia l’uomo: la sua anima. Nella sua odissea interiore, al di là dei sensi e dell’immaginazione, della ragione unica e secca, Teresa scopre e sperimenta Qualcuno che c’è, e vive lì, dove lei finisce e Lui sembra iniziare; Qualcuno di cui essa è immagine e somiglianza, base per cui lei stessa è e vive; Qualcuno che non passa, non muta, che, da quando Teresa è nata, è lì e la sta guardando con amore eterno. Teresa non Lo vede come Lui è, perché nessuno può vederLo senza morire; non Lo sente e non Lo tocca come si sentono e si toccano le cose di questo mondo, ma Lo sperimenta, Lo conosce, sperimenta la Sua luce, il Suo amore, la Sua vita e che Lui è la realtà vera e assoluta, quella che dà essenza, ragione e valore alle altre che chiamiamo realtà e che sono tali solo perché emerse dalle Sue mani. Teresa sperimenta che la vera e fondamentale realtà è quella che non si vede, o meglio, Colui che non si vede, perché ha avuto la misericordia di rivelarsi e che il realismo più vero è vivere da questa realtà, «perché noi non miriamo alle cose visibili, ma a quelle invisibili» (San Paolo).

Nella presentazione di questa mostra su Santa Teresa ho visto il titolo «Teresa di Gesù il realismo di un incontro». M. Lepèe, uno studioso francese di Santa Teresa, ha pubblicato, dopo la seconda guerra mondiale, uno dei classici della biografia di Teresa, Sainte Thérèse, lo réalisme chrétienne: santa Teresa esponente e referente del vero e proprio realismo, dal quale il cristiano per definizione di sé stesso non può abdicare, per cui la prima cosa, quella fondamentalmente reale è solo Dio. Non quello dei filosofi, ma Colui che è il Dio delle Scritture, Colui che si rivela all’uomo come Padre, Salvatore e Amore. Questo realismo, non di meno, non può disconoscere o rinnegare altre realtà volute da Dio, idee divine alle quali Lui ha dato essenza ed esistenza: l’uomo, il mondo. L’uomo che guarda e valuta il mondo come Dio lo guarda e lo valuta, attraverso questo realismo, supera sé stesso e vive, attraverso Cristo, la stessa vita reale di Dio.

Teresa, buona castigliana del XVI secolo, è nemica delle illusioni; non idealizza, rispetta la realtà sociale, ricerca in ogni momento la verifica di esperti, di saggi. A partire da un certo punto della sua vita diffida completamente di sé stessa, ama fino alla morte qualsiasi elemento visibile, della Chiesa visibile, ma trascendendo questo insieme, è unita in modo sponsale alla vera realtà, a Colui che non si vede. Le sue vittorie le sgorgano dall’energia eterna, che emerge dal “solo Dio basta” e che sostituisce il realismo incompleto dei sensi e della ragione con il realismo cristiano, quello che vive della realtà fontale ed eterna. Se il realismo è familiarità con l’autenticamente reale, allora ben pochi possono considerarsi più realisti di Teresa di Gesù. Naturalmente questo realismo cristiano, che non sarebbe tale senza la presenza fondamentale e viva della realtà trascendente, non lo sarebbe nemmeno senza la presenza essenziale, basilare e viva di Cristo mediatore, Dio di Dio, Luce di luce, Misericordia divina fatta carne, parola eterna fattasi tempo, affinché coloro che passano attraverso il tempo, la possano conoscere. Il grande incontro, in un’unica realtà, di Dio e l’uomo, dell’uomo e Dio, cammino, vita, amore totale di Teresa, maestro e sposo di Teresa, che ha voluto essere e chiamarsi di Gesù, non di Avila, e che è stata ed è la maestra della presenza costante della santissima umanità durante tutta la vita spirituale cristiana.

Teresa ha scoperto tutto questo attraverso cammini interiori. La sua opera ed il suo messaggio sono un richiamo permanente e continuo all’uomo e, in modo più specifico, all’uomo cristiano, ricordandogli che, in primo luogo, è un’interiorità e attraverso questa relazione con Dio, può essere. Essendo un essere consapevole e libero, intelligente ed amante, questa relazione interiore con la realtà, che nella parola ispirata si è definita come amore, solo allora può essere una relazione di amore. Questa è esattamente la definizione di orazione che dà la dottoressa in orazione Santa Teresa di Gesù: un rapporto di amicizia, un rapporto di amore con Colui che sappiamo ci ama. Teresa, ricordando in tutte le pagine dei suoi libri che l’uomo è un’interiorità, ripete che la sua porta di uscita, il cammino delle sue soluzioni, non sono né nascono dall’esterno, ma vengono dalla parte interiore, dal cuore: questo è il vero e proprio punto di partenza dell’uomo e della sua personale avventura. Attraverso questo spazio senza confini, gli si spalanca il vero paesaggio; è attraverso questo cammino che è chiamato a recuperare il paradiso perduto. Qualsiasi altra uscita, qualsiasi altra direzione, sarebbe falsa e, prima o poi, renderebbe l’uomo un essere senza ragione e senza senso. C’è stato uno che camminò verso l’interno, verso il centro di sé stesso, e i suoi scritti sono la testimonianza delle ricchezze conquistate: «Miei sono i cieli, mia è la terra, mie sono le genti, i giusti sono miei, miei i peccatori, gli angeli sono miei, la madre di Dio, tutte le cose sono mie, lo Stesso Dio è mio e per me, perché Cristo è mio e tutto è per me». Si chiamava Fra’ Giovanni della Croce, figlio e padre spirituale di Santa Teresa, il primo frate della sua riforma, dottore mistico della Chiesa universale.

Quattro lunghi secoli parlano di Teresa, ma tutte le mattine appare come qualche cosa di inedito, di nuovo, se la produzione artistica che esiste in tutto il mondo, quanto su di lei è stato scritto e pubblicato, è praticamente incatalogabile. Dotata di eccezionali doti naturali e sovrannaturali, tanto più divina quanto più umana, e tanto più umana quanto più divina, è una delle figure più indiscutibili che la Chiesa possa presentare al mondo e alla cultura universale.

In lei abbiamo il paradosso verificato di essere non una santa di minoranze, per spiriti scelti o per studiosi delle scienze mistiche, letterarie o antropologiche, ma una santa di maggioranze, perché è evidente il flusso dell’attrattiva universale venerante, leggente e peregrinante che la sua persona ha risvegliato e provocato da sempre e che continua tuttora. In questo campo di cose, il Barocco, il cui sviluppo coincide con la canonizzazione e la beatificazione della santa e la cui azione durerà ancora un secolo e mezzo, volendo glorificarla e magnificarla, in realtà la rese falsa. Il Barocco è stato un laboratorio di asti fiammeggianti, gloriosi, trascesi interpretando Santa Teresa di deliquio, sempre raffigurata tra nuvole, in relazione permanente con il sovraterrestre, trasfigurandola e falsificandola. Santa Teresa non avrebbe accettato i criteri di enfasi e magnificenza del Barocco. Teresa era figlia di un altro momento storico, di un altro ambiente culturale, estetico e religioso.

Questa donna è stata scelta dagli organizzatori della XXI edizione del Meeting di Rimini come protagonista dell’idea centrale, «Tutta la vita chiede l’eternità». Come figlio di così grande madre la mia gratitudine agli organizzatori e ai realizzatori e felicitazioni per aver tenuto il titolo che la liturgia cristiana le dà di “messaggera del regno eterno, messaggera di eternità”; queste sono le parole di uno degli inni liturgici teresiani, composta da un eccellente poeta: Urbano VIII, Sommo Pontefice della Chiesa. Sicuramente questo evento del Meeting rientrerà nell’elenco di avvenimenti teresiani che, con tinte originali e nuove, hanno contraddistinto la storia di Santa Teresa negli ultimi tre decenni del ventesimo secolo: la straordinaria esposizione con cui lo stato spagnolo e l’ordine dei carmelitani scalzi in Spagna ha voluto rendere omaggio a Santa Teresa quando è stata dichiarata prima donna con il titolo di Dottore della Chiesa Universale, a Madrid nel 1971; le manifestazioni nazionali che hanno voluto onorarla in occasione dei 400 anni dalla sua morte, nel 1982; la mostra itinerante organizzata dai carmelitani della Germania e dell’Austria per oltre un anno, in 20 città di entrambi i paesi; il Carmelo delle Fiandre, terra promessa del carmelo di Santa Teresa nel convento di Gaand, e la città di Parigi e il carmelo francese nello scenario sublime del museo del Petit Palè nei Campi Elisi; la straordinaria manifestazione che è stata aperta per ben sette mesi nella cattedrale di Avila per commemorare il XXV anniversario del dottorato ecclesiale teresiano, nel 1995; infine, la manifestazione, con carattere permanente, inaugurata nella cripta della casa natale – convento di Santa Teresa in Avila, nel 1999. Questo rappresenta un museo vero e proprio; nei 1500 metri espositivi si presenta al turista e al pellegrino la persona, l’opera, il messaggio spirituale della santa carmelitana. Ebbene, il mio desiderio è che Santa Teresa sia santa madre anche per questo Meeting, per tutti noi che amiamo profondamente Cristo, e che speriamo che il grande amore per la verità di Santa Teresa possa contraddistinguere anche le nostre vite ed esistenze.

Padre Jesus Castellano:
Padre Juan Bosco ci ha offerto la figura di Santa Teresa del Gesù soprattutto nell’ambiente esterno nel quale è nata e cresciuta, e poi anche il mondo in teriore del suo realismo e anche tutte le conseguenze di carattere culturale e storico che rendono Teresa una contemporanea anche a distanza di quattro secoli. Penso che sia il momento di guardarla in faccia, vedere chi è Teresa del Gesù, attraverso quattro immagini che si trovano nella mostra.

La prima è l’immagine originale di Teresa del Gesù dipinta da un italiano, Giovanni della Miseria, che era buon pittore, ma certo non un genio. Quest’immagine è stata dipinta a Siviglia durante il momento di permanenza della Santa in quella città andalusa; Teresa ha posato per diverse ore e, alla fine, ha detto questa bellissima frase, emblema del realismo teresiano: «Dio ti perdoni fra Giovanni perché dopo tutto mi hai fatto brutta e cisposa». Ma questo è il volto di Teresa, umanissimo, che ci fa capire la sua bellezza e il suo fascino anche attraverso quei tre nei che portava attorno alla bocca che la rendevano, dicono, anche un po’ più simpatica.

Una seconda immagine, bellissima, è quella che Bernini ha scolpito nel marmo bianco di Carrara per la chiesa di Santa Maria della Vittoria, che, come aveva detto padre Juan Bosco, è l’immagine del Barocco. È l’immagine che rappresenta Santa Teresa nell’estasi, con quell’angioletto che cerca di colpire il cuore di Teresa con un occhio di malizia. È prevalsa questa raffigurazione che, forse, ha deformato l’immagine di Teresa. Il Barocco voleva soprattutto sottolineare l’aspetto più alto del misticismo e l’elemento proprio di Teresa: la trasverberazione. Eppure anche quest’immagine è realista, perché ci fa capire, e questo è il racconto di Teresa, che quando Dio colpisce, colpisce tutto il nostro essere e che una santa che è colpita nel suo corpo, purificata ed infiammata nel corpo attraverso il cuore, ti parla del realismo dell’incontro con un Dio che è fuoco e che prendendo il cuore di Teresa lo dilata, lo infiamma, lo rende più universale. Quest’episodio è narrato da Santa Teresa del Gesù nel capitolo 29 dell’autobiografia, perché è proprio Cristo che fa nascere nel cuore di Teresa un amore grande, che sfocia nel servizio alla Chiesa. Quest’immagine del Barocco è come la Pentecoste di Teresa: è il fuoco dello Spirito Santo che penetra nel cuore per renderla sposa Chiesa, una che serve Cristo in questo mondo. È un segno di risurrezione e un’anticipazione di quello che sarà il nostro corpo tutto infiammato dallo Spirito Santo.

L’altra immagine è quella che si trova nella basilica di San Pietro, scolpita da Filippo Valle verso al fine del Settecento. Santa Teresa è raffigurata come maestra spirituale, come riformatrice del Carmelo, Dottore della Chiesa.

Teresa, dopo l’esperienza, trascrive, racconta, ci propone, attraverso i suoi libri, tutto il suo patire, il suo amare, quello che ha vissuto e ha sperimentato. Questo è il realismo del raccontare, del dire le cose vissute. Non è una leggenda, un romanzo, ma è la storia di Dio nella sua vita, trascritta nella pagine bellissime dei suoi libri, capolavori della mistica: Il libro della vita, Il cammino di perfezione, Il castello interiore e Le fondazioni. Teresa scrive, come dice lei stessa, per ingolosire («escribo para engolosinar»), perché chi legge abbia il desiderio di vivere quello che lei ha vissuto. Dio è voglioso di donarsi e, senza misura, si dà a noi. Teresa scrive anche per rendere tutti “amigos fuertes de Dios”, amici forti di Dio; per questo scrive di Dio, della Trinità, dell’anima. Ma scrive anche dei viaggi, delle lettere, scrive tutto, perché lei sa che Dio non soltanto abita nel fondo del cuore, ma è presente dappertutto, come dice nel libro delle Fondazioni: «Se siete in cucina pensate che tra le pentole sta Dio e ci aiuta all’interno e all’esterno» («Si estàis en la cocina entre los pucheros anda el Señor, ayudàndoos en lo interior y en lo exterior»). Questo è realismo, questa è l’esperienza di un trascrivere la vita; per questo chi entra in contatto con gli scritti di Santa Teresa di Gesù coglie l’immediatezza, il dialogo, ha l’impressione che questo è stato scritto per lui, si rivolge a lui in un triplice momento: Dio è presente e parla; Teresa ragiona con se stessa; Teresa dialoga con il lettore che è sempre un futuro amico di Teresa di Gesù, perché chi entra nel suo cerchio è una persona candidata ad entrare nel cerchio degli amici di Dio. Penso che chiunque si avvicina a Teresa con il realismo di questo contatto, di questa immediatezza è un candidato a questa comunione con Dio, a diventare un amico forte di Dio, perché in questi tempi difficili, «tiempos recios» diceva Teresa, c’è bisogno che ci aiutiamo gli uni e gli altri per essere fedeli al Signore. Edith Stein, quando ha finito di leggere il libro della vita di Santa Teresa, ha detto: «Qui c’è la verità». Non pensate ad una verità filosofica: Edith Stein è una fenomenologa, apprezza il fatto, l’eccellenza della vita, la bellezza di quello che è descritto; non dice che questa è la verità aristotelica della filosofia, ma è l’eccellenza della vita che io cerco, se è piena di Dio e di una realizzazione umana. Edith Stein ci aiuta a capire perché il libro della vita è il libro della verità: è la verità di Dio che dona la vita.

C’è un’altra immagine che, come ha detto Don Bosco, riconcilia il tempo presente con la Teresa del XVI secolo: Teresa Andariega, camminante, fondatrice. Questa bellissima immagine, scolpita da Cruz Solìs, rappresenta Teresa che cammina con la bisaccia nella mano: è il suo cammino delle fondazioni. Anche questo è realismo; Teresa non è rimasta buttata per terra dall’estasi, ma lo Spirito Santo l’ha messa in cammino, l’ ha fatta diventare una sposa “andariega”, una sposa che viaggia per Dio, per fondare Carmeli in tutto il mondo. I suoi libri raccontano i viaggi di Teresa, tra cui quello a Medina del Campo; arriva in questa città attorno al giorno dell’Assunta, quando arrivavano i tori per la corrida e molte persone. Teresa, temendo che il SS Sacramento fosse profanato, rimase in veglia tutta la notte davanti al Santissimo.

Fece un altro lungo viaggio fino a Siviglia; fece fondazioni a Palenzia dove, disse Teresa, la gente era buona come quella della chiesa primitiva. I libri raccontano anche della fondazione di Burgos; Teresa vi arrivò dopo lunghi viaggi; inizialmente l’arcivescovo le promise di fare la fondazione, ma poi non si decise a darle il permesso. Teresa e le sue figlie furono alloggiate al piano superiore dell’ospedale dove si dedicarono alla preghiera e alla cura dei malati. Anche questo è un dettaglio molto importante che ci fa capire il realismo di Teresa che coglie il momento presente, l’eternità nell’istante, sa che tutto passa, ma sa che Dio basta e in ogni momento la Sua presenza fa della vita un’eternità. Queste quattro figure di Teresa ci aiutano a capire la bellezza di questo incontro, di una vita che chiede un’eternità.

Il segreto di questa realismo di Teresa, che la rende così divina e così umana, è l’incontro con Cristo. Teresa ha incontrato il Cristo del Vangelo, il Cristo che, risuscitando, è umano e divino insieme, e quando ci fa compagnia ci fa sentire l’umanità e la divinità; questo è il Cristo che ha reso Teresa profondamente umana. Probabilmente per molto tempo ha avuto una grande crisi esistenziale: si vergognava di essere donna perché l’ambiente in cui viveva era anti-femminista; le donne non valevano a nulla, non potevano neanche fare meditazione, ma limitarsi a recitare il Padre Nostro e l’Ave Maria. Non poteva essere tranquilla con la sua umanità se l’essere sensibile, se l’essere amica poteva essere subito tacciato come un’imperfezione. Ma quando Teresa ha incontrato il Cristo del Vangelo e l’ha sentito profondamente umano, sensibile e amico, lei ha avuto come un’esplosione di libertà: il Cristo del Vangelo non era come quello descritto dai teologi, ma era come lei lo sentiva.

Ed ecco perché abbiamo in Teresa anche una specie di esegesi del vangelo in un modo che io chiamerei femminile. Si aggrappa profondamente a certi episodi, ama la Maddalena, la Samaritana, la Cananea, Marta e Maria; parla del Cristo come colui che viene a stare con noi come stava con gli amici a Betania; ha una particolare sensibilità, per esempio, quando vede il Cristo solo, come nell’Orto degli Ulivi. Meditando sulla Domenica delle Palme, Teresa pensa che nessuno di quelli che lo avevano tanto acclamato l’aveva invitato a pranzo; per questo Lui era dovuto ritornare a Betania. Teresa invitava ogni Domenica delle Palme Cristo sposo nel suo cuore, per fare la Comunione; nei monasteri carmelitani ogni Domenica delle Palme c’è un posto per il Cristo ospite e se qualcuno viene a bussare alle porte delconvento, lui è l’ospite al quale le Carmelitane danno il cibo. È il senso di un incontro.

Teresa ha cercato appassionatamente il Cristo del Vangelo ed ha ritrovato la sua umanità; non ha avuto vergogna di dire che noi non siamo angeli e abbiamo bisogno di un Cristo umano; Lui è venuto a redimere le nostre debolezze, si è fatto umano come lo siamo noi. La risposta di Cristo a questa ricerca è stata una fortissima esperienza mistica. Bisogna leggere i capitoli 26, 27, 28, 29 de Il libro della vita, poi Il castello interiore per vedere come Gesù ha iniziato come una rivelazione progressiva di se stesso, in varie tappe. 1) Nel capitolo 26 Teresa ricorda che c’è stata una grande repressione culturale, che noi oggi non tollereremmo: la “Santa” Inquisizione, che ha svuotato la sua biblioteca ricca di libri di spiritualità, di orazione, scritto in volgare. Allora Teresa si è lamentata con il Signore e Lui le ha detto: «Non affliggerti perché io ti darò un libro vivente»; lei ha capito che il Signore voleva essere questo libro: «benedetto quel libro che lascia così bene impresso quello che si deve leggere e praticare da non dimenticarsene più». Era come un preludio. In seguito il Signore si è mostrato soavemente quasi volendo rispettare un’economia della salvezza: prima «la percezione della Sua presenza vera, autentica; non di un fantasma, ma di Cristo, il Figlio della Vergine Maria che mi stava accanto, testimone invisibile di quanto facevo»; poi «le Sue bellissime mani, poi il Suo volto, poi tutto se stesso». 2) Cristo si è rivelato come Luce, è apparso a Teresa nella luce “taborica”, nello splendore della risurrezione: «Il Signore mi si faceva vedere da Risorto. (…) Però qualche volta, volendomi incoraggiare nelle mie tribolazioni, mi mostrava le Sue piaghe, talvolta in croce, talvolta nell’orto, talora sotto il peso della croce, raramente con la corona di spine, sempre in conformità dei miei bisogni e di quelli di altre persone. Ma sempre con la carne glorificata». Il Cristo reale della gloria è quello di Teresa di Gesù, che ha avuto con lei gesti simili a quelli che i Vangeli raccontano; quando, per esempio, le ha spezzato il pane e le ha detto: «Mangia figlia e passa poi come questa vita»; o quando le ha preso la mano e l’ha messa nel Suo costato. Sono gli episodi descritti da Luca (i discepoli di Emmaus) e Giovanni (l’incredulità di Tommaso); è bello che i Santi abbiamo una percezione reale di questi episodi, perché in tal modo diventano anche testimoni della verità del Vangelo. 3) Se il Cristo risorto è il centro di Teresa e Teresa dice «divino e umano insieme è sempre il Suo accompagnarci» e «Gesù compagno nostro nel SS Sacramento», c’è una cristologia così esatta che genuinamente salva il divino e l’umano, come nel Concilio di Calcedonia; questo è essenziale per Teresa perché senza l’umanità di Cristo nulla del nostro umano è salvato, ma senza la divinità di Cristo nulla della nostra umanità è fermentato, lievitato. Cristo è Dio che si fa uomo perché l’uomo diventi Dio. Teresa ama appassionatamente l’umanità di Cristo e sa anche che tutto il cammino dell’orazione è una trasformazione e un’iniziazione per farci della Sua condizione e della Sua natura. Il cammino dell’orazione è un cammino di divina amicizia dove il Dio, che si è fatto come noi, attraverso le sette tappe del cammino di perfezione descritto ne Il Castello interiore, ci rende partecipi della Sua natura divina. Noi vediamo in Teresa un modello di umanità, perché lei è innamorata dell’autentico senso dell’umano e le sue virtù preferite sono la verità, l’essere autenticamente umili, e l’umiltà è camminare nella verità.

È un processo di santità e di umanizzazione, dove l’umano è quello del Cristo Gesù nella sua Santa umanità. Ecco il realismo, la bellezza, quella storicità, il cristianesimo incarnato nella storia di cui parla tante volte Giovanni Paolo II. Il realismo di Teresa che è colpita, per esempio, da quanto gli raccontano degli Indios; il suo amore per i poveri: Teresa dice quello che i Padri della Chiesa hanno detto: Dio tiene conto anche dei tempi in cui i soldi sono nelle banche e non sono dati ai poveri, perché Dio non ci ha reso padroni dei soldi, ma soltanto amministratori. Teresa compie una rivoluzione sociale difendendo appassionatamente la donna disprezzata ricordando che Gesù ha trovato più amore e più fede nelle donne che non negli uomini. Era un grido appassionato di Teresa di Gesù che non poteva sopportare frasi come quelle di Melchior Cano, un famoso teologo che rideva dei suoi confratelli che scrivevano, diceva lui, libri di preghiera per donnette, mogli di falegnami, dimenticando che Maria era moglie di un falegname. Altri affermavano: «Bisogna apporre un coltello di fuoco con un cherubino fiammeggiante nel Paradiso affinché le donne, con insaziabile appetito, non prendano in mano la Sacra Scrittura». Teresa ha scandalizzato tutti iniziando a scrivere un commento al Cantico dei Cantici. Ecco la libertà, l’umanesimo, il senso appassionato di una libertà che le viene da quel divino e umano insieme di Cristo e dalla Sua compagnia.

Ecco, queste mie parole, appassionate come lo era Teresa, sono le parole di un figlio, perché credo profondamente nel messaggio di Teresa di Gesù, che Teresa non sia stata capita dal Barocco e che noi abbiamo la fortuna nel Ventunesimo secolo, con il ritorno dell’Umanesimo, con il Concilio Vaticano II, con questa stima per l’umanità della persona, di sentirci molto più in sintonia con lei di quanto non siano stati gli uomini dei secoli passati.
Finisco con due osservazioni molto semplici.

1.Tante volte si è sentita citare una frase attribuita a Teresa di Gesù: «o patire o morire». Teresa non ha scritto così, ma «o morire o patire»: è il desiderio di morire per vedere Dio; poi questo desiderio si trasforma in una concentrazione di energie, ma anche di nuove possibilità per servire il Signore; quindi, non più il desiderio di morire, ma piuttosto di vivere, di dare la propria vita per il Regno di Cristo, per cooperare con Cristo; o morire per vedere Dio, o patire donando la vita per servire la Chiesa. Qualche volta Teresa voleva veramente morire per andare a vedere Dio; un giorno il Signore le dice: «Pensa figlia mia che dopo che è finita la vita non mi potrai servire come mi servi adesso. E allora mangia per Me e dormi per Me, e tutto quello che fai fallo per Me, come se non vivessi tu, ma Io in te». Questo è ciò che diceva San Paolo. Mi pare che sia bella una vita come la nostra, dove il mangiare, il patire, il ricrearsi, è lasciare che Cristo viva in noi. E allora tutta la vita chiede l’eternità, ma certamente anche la nostra vita è già un pezzo di eternità.

2.A questo serve la preghiera, per questo Dio dona la grazia del matrimonio spirituale, perché nascano sempre opere, che sono il sacramento della preghiera; nella preghiera possiamo fare dei propositi, esprimere dei desideri, ma è nella vita quotidiana che la preghiera diventa opera, azione, comunione, amore per i fratelli. È bello che una santa mistica come Teresa di Gesù sia un’appassionata apologeta di quello che noi possiamo chiamare la mistica del servizio, perché certamente l’uomo può avere la sua estasi in Dio, ma l’estasi di Dio è l’umanità e la creazione, e quando la persona è unita a Dio, la sua estasi, il suo amore, è servire e amare. Santa Teresa diceva: «Non mettete soltanto la vostra cura nel meditare e nel contemplare perché se non seguono le opere rimarrete delle nane». Ci può essere un nanismo spirituale, un nanismo cristiano, se al meditare, al pregare non segue il servire, se non si sviluppa armonicamente quel divino ed umano che è in noi, che è amore di Dio e del prossimo, nella concretezza di tutti i problemi umani, nella storicità di ogni giorno. Tutta la vita chiede l’eternità, ma chi vive con Dio è già Suo contemporaneo ed è già partecipe dell’eternità.

Moderatore:
Vi ringraziamo perché una grande esperienza cristiana ed umana ci è stata di nuovo suscitata e siamo stati di nuovo messi a contatto con la vita eterna della parola di Dio quando diventa carne e si fa storia: questo è ciò che è stato rievocato a noi oggi nella figura storica e concreta di Teresa di Gesù.

 

19.08.2001

Teresa De Jesús: Il realismo di un incontro

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