In data 14 dicembre 1927 la Congregazione dei Riti pubblicava il decreto col quale, per decisione di Pio XI, si dichiarava “S. Teresina patrona speciale dei missionari, uomini e donne, esistenti nel mondo”. Le si conferiva questo titolo “come era stato conferito a S. Francesco Saverio, con tutti i diritti e i privilegi che questo titolo comporta”[1]. Questi diritti e privilegi riguardavano il culto liturgico.
In tal modo S. Francesco Saverio (1506-1552), il maggiore missionario della chiesa dopo S. Paolo[2], spartiva il titolo di protettore celeste delle missioni con la santa carmelitana di Lisieux. A 15 anni e tre mesi entrò al Carmelo, dal quale non uscì mai fino alla morte. S. Francesco Saverio era stato dichiarato già nel 1748 “patrono di tutte le terre ad est del Capo di Buona Speranza”, per essere poi nominato nel 1904 “patrono dell’Opera della Propagazione della Fede”[3]. E’ giusta la domanda che si fa un autore: “Essere tutti due patroni delle Missioni congiuntamente. Lo stesso fatto, non avrà qualche messaggio da comunicare oggi a noi?”[4]
Tra gli innumerevoli patronati che la chiesa ha attribuito a S. Teresina, quello delle missioni è il più sorprendente e famoso, più ancora del suo recente dottorato ecclesiale (1997). Sorprende l’equiparazione con il Santo Gesuita, mitico evangelizzatore dell’Oriente. Il suo principio spirituale era stato: “Amare le persone alle quali siamo inviati, e farci amare da esse”. Teresa di GB fu nominata patrona delle missioni senza essere mai uscita dal monastero, senza aver neppure toccato una terra di missione. Però il motto della sua vita era: “Amare e far amare Gesù”[5]. A questo compito si consacrò con viscerale generosità: “Come un torrente gettandosi con impeto nell’oceano, porta con se quanto incontra nel suo cammino, così, o Gesù mio, l’anima che si immerge nell’oceano senza sponde del vostro amore trascina con sé tutti i suoi tesori. Signore, tu lo sai: non ho altri tesori che le anime che ti sei compiaciuto di unire alla mia; questi tesori me li hai dati tu stesso”[6]. Questa considerazione riflette la coscienza missionaria di Teresina. Questa disposizione di spirito abbraccia, orienta e dona significato a tutta la sua vita.
Questo messaggio era ben compreso nel Carmelo e nella chiesa. Quattro anni e mezzo prima di essere Patrona universale delle missioni, appena beata, il 30 aprile 1923 era già stata dichiarata patrona delle missioni carmelitane. La corrente giungeva da prima. Le acque venivano da dietro, dal passato. Già nel 1921 la rivista “Il Carmelo e le sue Missioni” si pronunciava in questi termini: “Essendo da tutti riconosciuto lo spirito eminentemente missionario della nostra sorella Sr. Teresa di GB, è naturale che, dopo che alla nostra S. Madre Teresa, vengano affidate alla sua anima ardente tutte le nostre opere missionarie. A te, dunque, piccolo fiore trapiantato nel Carmelo, giardino eletto della Vergine, che con il profumo delle tue virtù universalmente ammirate, hai portato numerose anime a Gesù, affidiamo le amate missioni, i nostri missionari, questa rivista, i suoi collaboratori, i suoi lettori, tutti quelli che in qualche maniera vogliono alleviare le molteplici necessità dei tuoi fratelli, lontani dalla famiglia, dalla amata patria”[7].
Un mese più tardi, sempre nel 1921, la stessa rivista missionaria del Carmelo Italiano ospitava un articolo titolato “La piccola patrona delle missioni”. Confrontandola con S. Teresa di Gesù, “affermiamo che il suo grande cuore (quello di Teresa di Gesù) ha motivo di esultare nel vedere così ben riprodotto il suo zelo apostolico nello spirito di Teresina di Lisieux, che potrebbe essere definita la miniatura della grande Teresa d’Avila”[8].
A livello ecclesiale il 29 luglio 1926 il Papa Pio XI l’aveva dichiarata Patrona del clero indigeno o dell’Opera Missionaria Pontificia di S. Pietro apostolo[9]. In questa dichiarazione appariva chiara la volontà della Chiesa di ricordare ai fedeli un principio fermo ed evangelico che, se incarnato nella vita di una persona, poteva apparire più visibile e pedagogico o catechetico. Per la sua forte attrattiva carismatica di straordinario rilievo, con la testimonianza della sua vita e con il suo linguaggio colorito, Teresa di GB del S. Volto, offriva un modello più visibile della esortazione evangelica “Pregate il Signore della messe” (Mt.9, 38).
L’idea che S. Teresina aveva delle Missioni può essere sottoposta a un esame critico, tenendo conto delle connotazioni teologiche ambientali del tempo e della sua patria. Ricostruiamo una idea di missione che potrebbe riflettere la concezione teresiana nell’ambiente francese del s. XIX: “Essere missionario vuol dire salvare anime, è andare a vivere e a lavorare tra le popolazioni che non conoscono la rivelazione della salvezza meritata da Gesù Cristo, portarle a trarre profitto dal sangue redentore, insegnare loro le verità della fede, aiutarle ad entrare nella chiesa universale. È ancora unirsi semplicemente con la preghiera alla moltitudine di coloro che ignorano Cristo e condurli a Lui”[10].
Il concilio Vaticano II definì l’attività missionaria in questi termini: “Il fine proprio è la evangelizzazione e la fondazione della Chiesa nei popoli o gruppi umani nei quali non è ancora radicata”[11]. Possiamo riscontrare la conseguenza pratica, valida per tutti i cristiani, in questa impostazione e in questo interrogativo di Paolo VI: “Non sarà inutile che ogni cristiano e ogni evangelizzatore esamini in profondità nella preghiera questo pensiero: gli uomini potranno salvarsi per altre vie, grazie alla misericordia di Dio, se noi annunciamo loro il vangelo. Però noi potremo salvarci se per negligenza, paura, vergogna –S. Paolo conosce un vergognarsi del vangelo (Rm.1,16)- o per idee false rinunciamo ad annunciarlo”?[12]
Lo stesso Papa Montini aveva descritto in questi termini l’impegno della evangelizzazione: “E’ prima di tutto testimoniare in modo semplice e diretto il Dio rivelato da Gesù Cristo nello Spirito Santo. Testimoniare che nel suo Figlio ha amato il mondo: che nel suo Verbo Incarnato ha comunicato l’essere a tutte le cose e ha chiamato l’uomo alla vita eterna”[13]. Nelle sua enciclica sulle missioni “Redemptoris missio” il papa Giovanni Paolo II offre questa descrizione della figura del missionario: “Deve essere un ‘contemplativo in azione’. La risposta ai problemi egli la dà alla luce della parola divina e nella preghiera personale e comunitaria. Il contatto con le tradizioni spirituali non cristiane, specialmente dell’Asia, mi ha confermato nella convinzione che il futuro della Missione dipende in gran parte dalla contemplazione. Se il missionario non è un contemplativo non può annunciare Cristo in modo credibile”[14]. Inoltre da quanto Giovanni Paolo II aggiunge al riguardo, i contenuti e i modi della evangelizzazione si possono sintetizzare come segue: 1) la semplice presenza e testimonianza della vita cristiana; 2) la promozione umana; 3) la liturgia e la preghiera; 4) il dialogo interreligioso; 5) l’annuncio esplicito del vangelo e del catechismo[15].
Con questa coscienza Teresina fu missionaria già nella vita presente. La sua nomina a Patrona, che la collocava sullo stesso livello di S. Francesco Saverio, non avvenne per una coincidenza ecclesiale, frequente nella storia, di esprimere meglio una realtà, un principio, una situazione facendo leva sul confronto tra due realtà, come la voce e l’eco. Abbiamo l’esempio di S. Pietro e di S. Paolo: il primo incarna l’autorità nella Chiesa, mentre l’apostolo dei gentili manifesta la sua dimensione carismatica. Nel caso di S. Basilio il grande e di S. Gregorio Nazianzeno, vescovi e dottori della Chiesa, il primo si impose per le sue qualità di capo e di organizzatore, arrivando ad essere il legislatore dei monaci dell’Oriente, mentre il secondo era un contemplativo e un poeta. Conosciamo il caso dei santi Cirillo e Metodio. Neppure si possono portare ragioni di complementarietà, come usiamo fare con S. Benedetto e S. Scolastica, con S. Francesco e S. Chiara, con S. Teresa e S. Giovanni della Croce. Per ragioni proprie, personali, per la ricchezza del suo carisma, perché incarna –l’abbiamo già detto- il principio di una vita di orazione per coloro che lavorano nella messe evangelica, S. Teresa di GB è divenuta Patrona delle Missioni.
La Francia, patria della santa, conosceva un grande fervore missionario[16]. A partire dal 1850 assistiamo alla nascita di numerosi Istituti missionari. Nel 1890 nel mondo su tre missionari due erano francesi. In Francia erano nate le Opere Missionarie Pontificie della Propagazione della fede, della santa Infanzia. In particolare la zona della Normandia si caratterizzava per un rapporto preferenziale con l’Oriente[17]. Il protomartire carmelitano, B. Dionisio della Natività, (1600-1638) era nativo di Honfleur[18]. Mons. Lambert de la Motte, confondatore della Società delle Missioni Estere di Parigi, era nato a Lisieux nel 1624. Sono noti i vincoli che legavano S. Teresa di GB e Teofano Vénard, giovane martire della Normandia in Tonchino (+ 1861). Il Carmelo di Lisieux nel 1861 procedette alla prima fondazione missionaria del Carmelo nel mondo con il monastero di Saigon per iniziativa di un vicario apostolico della Normandia[19]. I due fratelli spirituali della carmelitana di Lisieux, Alfonso Roulland e Maurizio Bellière, erano della Normandia.
Gli “Annali della Propagazione della Fede” , con il supplemento settimanale che dava informazioni “sull’edificante quadro delle fatiche e delle vittorie dell’apostolato cattolico”, avevano una grande diffusione nella diocesi. Sappiamo che la famiglia Martin si era abbonata e che Teresina stessa si era iscritta dal 12 gennaio 1885 all’Opera della Santa Infanzia. La coscienza missionaria della giovane Martin si rivelò nella “conversione” del Natale 1886. Descrivendo questa grazia, dice: “Come i suoi apostoli, io potevo dire a Gesù: ‘Signore, ho pescato tutta la notte senza prendere nulla’. Egli fece di me un pescatore di anime, sentì un grande desiderio di lavorare per la conversione dei peccatori, desiderio che prima di allora non avevo mai avvertito con tale forza”[20]. Mesi più tardi, nel luglio 1887, riceverà la conferma della sua vocazione. Accadde nella cattedrale di Lisieux: “Una domenica contemplando una stampa di nostro Signore in Croce, rimasi impressionata dal sangue che cadeva da una delle sue mani divine. Provai una grande pena pensando che il sangue cadeva per terra senza che nessuno si premurasse di raccoglierlo. Presi la decisione di rimanere spiritualmente ai piedi della Croce per ricevere la rugiada divina che cadeva, comprendendo che poi dovevo versarla sulle anime. Volevo offrire da bere al mio Amato e mi sentivo io stessa divorata dalla sete delle anime. Allora non erano le anime dei sacerdoti che mi attiravano, ma quella dei grandi peccatori”[21].
Il caso concreto si presentò con la condanna a morte dell’omicida Pranzini, il suo “primo figlio”[22]. Il commento che ne fece dimostra la maturità che acquistò con questa “grazia unica”, perché a partire da allora “il mio desiderio di salvare anime crebbe di giorno in giorno”[23]. Pranzini sarà il primo “figlio” della moltitudine che seguirono dopo nel mondo e nella storia. Con questa atmosfera di fervore intraprese il suo viaggio in Italia. Di questo momento sua sorella Celina riferisce il seguente ricordo. Dopo aver letto alcune pagine degli Annali delle Religiose missionarie, Teresina disse: “Non voglio proseguire la lettura. Ho già un desiderio tanto veemente di essere missionaria! Voglio essere Carmelitana”. Celina aggiunge però un commento: la sua santa sorella aspirava al Carmelo “per soffrire di più e con questo mezzo salvare più anime”[24].
Una volta entrata nel Carmelo, intese la sua vocazione come missionaria a partire dalla contemplazione. “Quello che mi prefiggevo di fare al Carmelo, lo dichiarai ai piedi di Gesù-Ostia, nell’esame che precedette la mia professione: “Sono venuta al Carmelo per salvare anime e, soprattutto, per pregare per i sacerdoti. Quando si persegue uno scopo, occorre impiegare i mezzi necessari per raggiungerlo. Gesù mi fece comprendere che mi avrebbe dato le anime per mezzo della croce[25]. Nel biglietto che scrisse per questo giorno, 8 settembre 1890, chiese a Gesù: che io possa salvare molte anime”[26]. Verso la fine della sua vita (19/03/1897) aggiungerà di voler salvare anime “anche dopo la mia morte”[27]. La convinzione della sua vita carmelitana rimase sempre la stessa: “E’ per mezzo della preghiera e del sacrificio che si possono aiutare i missionari”[28].
Degno di ammirazione in questo caso è il fatto che l’attrazione missionaria non si impone in lei come disposizione preferenziale della sua persona, ma in forza della sua vocazione carmelitana. “Voglio esser figlia della chiesa, come lo fu la nostra Madre S. Teresa, pregare per le intenzioni del nostro S. Padre il Papa, sapendo che le sue intenzioni abbracciano l’universo. Ecco la finalità generale della mia vita”[29]. È un chiaro riferimento alle idee della Madre Teresa, manifestate con vigorosa veemenza nei suoi scritti, come V 32; F 1,7; C. 3,10. Perfino nella preferenza di rimanere in purgatorio pur di poter salvare una sola anima si mostra in sintonia cordiale con Teresa di Gesù (cf. C 3,6)[30]. Celina ricorderà nei suoi “Consigli e ricordi” che Teresina volle essere fotografata nel giugno 1897 con in mano il testo di S. Teresa di Gesù: “Per liberare una sola anima sarei disposta a soffrire volentieri molte morti (V 32,6; cf. 6M 6,4)[31].
In nome di Teresa d’Avila e della migliore tradizione dell’Ordine, Teresa di Lisieux si sente missionaria in quanto monaca carmelitana. L’espressione ricorre più volte sotto la sua penna. “Una carmelitana che non fosse apostola si discosterebbe dalla finalità della sua vocazione e cesserebbe di essere figlia della serafica S. Teresa, che desiderava offrire mille vite per salvare una sola anima”[32]. Una tale affermazione è l’eco fedele dello spirito che la Fondatrice istillò nelle Carmelitane. Teresina conclude così il suo pensiero: “Non potendo essere missionaria nell’azione, ho voluto esserlo per mezzo dell’amore e della penitenza, come S. Teresa”[33]. In perfetta sintonia teresiana, la giovane carmelitana lexoviense condivide la priorità dell’ orazione contemplativa per la Missione: “Quale grande potere ha l’orazione! Si direbbe che è una regina che in ogni momento ha libero accesso al re, con la possibilità di ottenere quanto chiede”[34].
Con tali presupposti si possono capire meglio tutti i suoi vigorosi e accesi propositi missionari. Nel 1895 il Carmelo di Saigon aveva fondato il monastero di Hanoï. Da qui giunge a Lisieux una corrispondenza fittissima. Madre M. Gonzaga cerca volontarie nella sua comunità. Teresa di GB si offre personalmente: “Ho accettato non solo l’esilio in mezzo a un popolo sconosciuto, ma anche –e ciò mi era più amaro- ho accettato l’esilio dalle mie sorelle. Madre mia: per vivere in Carmeli stranieri occorre, come ha detto Lei, una vocazione del tutto speciale. Molte anime si credono chiamate senza esserlo in realtà. Lei mi ha assicurato che io ho questa vocazione”[35]. In una lettera al suo fratello spirituale Maurizio Roulland scrive decisa: “Affermo che partirei ben volentieri per il Tonchino, se Dio si degnasse di chiamarmi”. Onde evitare qualsiasi possibile equivoco, ribadisce: “No, non è un sogno: posso assicurarvi che se il buon Gesù non viene prima a prendermi per il Carmelo del cielo, andrò al Carmelo di Hanoi”[36]. Solo l’aggravamento della malattia pose fine a questo progetto. Dopo una novena al martire dell’Indocina Teofano Vénard per avere luci si impose con evidenza la necessità della rinuncia[37].
Rimane però la ragione della sua vocazione missionaria e la volontà del suo contributo specifico. Ella spiega: “L’amore chiama amore”[38]. Ispirandosi al Cantico dei Cantici, scrive e commenta: “Attirami! Cosa vuol dire chiedere di essere attirati se non di unirci nel modo più intimo all’oggetto che arriva al cuore? Madre amata: questa è la mia preghiera; chiedo a Gesù di attirarmi alle fiamme del suo amore, di unirmi a Lui tanto strettamente, che Egli viva e agisca in me. Sento che quanto più il fuoco dell’amore infiamma il mio cuore, quanto più ripeto ‘attirami’, tanto più le anime che si accosteranno a me (povera scoria o pezzo di ferro inutile, se mi allontano dal braciere divino) correranno veloci dietro l’effluvio dei profumi dell’Amato, perché un’anima infiammata di amore non può rimanere inattiva”[39].
Hans Urs von Balthasar offre in proposito questo giudizio teologico: “Qui Teresa mostra una attitudine che non si può catalogare né con la nozione di contemplazione né con quella di azione. Le due situazioni convergono nell’unica legge dell’amore, dal quale procede sia la recezione (passività) sia la fecondità, sia Maria che Marta. Questo vertice che trascende la unità è la più grande scoperta concessa a Teresa”[40]. La relazione con i suoi due fratelli spirituali, accrebbe lo spirito missionario di motivazioni più personalizzate. La corrispondenza con Maurizio Bellière nel 1895 le venne, ancora una volta, dalla mano di S. Teresa, “come fiori che sono offerti per la festa”[41]. Nel maggio dell’anno seguente fu la volta di Adolfo Roulland. Dovette essere tranquillizzata nel suo turbamento di potersi incaricare spiritualmente di un secondo fratello sacerdote[42]. La corrispondenza epistolare con loro è tutto un genere letterario di alto contenuto missionario[43]. Arriviamo così al cuore della originalità dottrinale di S. Teresina, mentre cerca con ardore “i doni più perfetti” (1Cor.12,31). In questa fase della sua vita Teresina entra in un grande agitazione spirituale. Pretende di essere troppe cose simultaneamente. Infine trova la soluzione che tutto sintetizza: “Nel cuore della Chiesa, mia madre, sarò l’amore: così sarò tutto”[44].
In questo clima si devono interpretare le ardite affermazioni degli “Ultimi Colloqui”. Sullo sfondo della vita poteva a buon diritto affermare nella sua ultima malattia: “Sento che sto per entrare nel riposo. Però sento soprattutto che la mia missione sta per cominciare, la mia missione di far amare Dio come io lo amo. Il mio cielo trascorrerà sulla terra fino alla fine del mondo. Sì, voglio passare il mio cielo a far del bene sulla terra. Non posso essere felice di godere, non posso riposare fino a che non siano salve tutte le anime”[45]. Teresa di GB rimane missionaria fino alla fine dei tempi.
A prescindere dai suoi meriti, alcune persone intervennero provvidenzialmente al momento opportuno perché S. Teresina fosse proclamata Patrona delle Missioni. Prima che si arrivasse al decreto pontificio sorse un movimento di base nel campo missionario. Parliamo prima delle persone.
- Missionari OMI, Eschimesi e altri devoti del Canadà
Vivente il fondatore, S. Eugenio de Mazenod, gli Oblati di Maria Immacolata furono richiesti di prestare il loro servizio di evangelizzazione in Canadà. I primi sei missionari arrivarono a Montreal nel dicembre 1841. Nel 1845 entrarono a servizio di Mons. Provencher, vicario apostolico di tutto il Canadà Occidentale. Così cominciò quella epopea missionaria, favorita dal punto di vista pubblicitario dai colori di una letteratura romantica, secondo il gusto dell’epoca, con la descrizione degli spostamenti missionari in slitta o in canoa. Nel 1859 giunsero al Circolo polare artico, stabilendo il primo contatto con gli eschimesi. Attraversano il territorio del Labrador nel 1866, e nel 1912 diedero inizio alla missione della Baia di Hudson.
In Francia un giovane seminarista si entusiasma per la causa della evangelizzazione degli eschimesi. È Arsenio Turquetil (1876-1955), originario della Normandia. A 24 anni nel 1900 si imbarca per il vicariato apostolico di Saskatchevan, Canadà. Attraversa in canoa il lago Caribou. Dopo un viaggio di sette giorni, fatto in slitta, arriva a prendere contatto con gli Eschimesi per imparare la lingua. Si tratta di una evangelizzazione difficile. Il pessimismo si è diffuso tra i missionari. “Gli Eschimesi, gli Eschimesi -gli dice il superiore- Da più di trent’anni prego Dio di inviare loro un missionario”[46].
L’ora di grazia per questo popolo della Baia di Hudson doveva suonare quando si fosse creato il vicariato apostolico di Keewatin. Il prelato, Mons. Ovidio Charlebois (1862-1933) affidò al P. Turquetil l’incarico di tentare di fondare una missione a Chesterfield Inlet, in pieno territorio di Eschimesi “Inuits”. Arrivò sul posto assieme ad altri due compagni nell’agosto 1912. Vissero un anno di assoluta solitudine in quel deserto di neve e di gelo, senza comunicazioni col resto del mondo. Si sforzano di imparare la lingua senza grammatica e senza un dizionario, solo per mezzo dell’ascolto, della osservazione e delle domande rivolte agli indigeni. Però la burla e il sarcasmo erano frequenti tra gli uditori. Nel novembre 1913 tutti furono colti di sorpresa alla notizia del martirio dei Missionari Oblati nel vicino vicariato. Mons. Cahrlebois decise di sopprimere la missione, che si presentava sterile e senza futuro.
In quella circostanza arriva la posta annuale dall’Europa, dalla diocesi di Bayeux in Normandia, in concreto da Lisieux. Contiene una breve vita di Sr. Teresa di GB e buste di polvere della sua cassa prelevati in occasione della esumazione dei suoi resti mortali[47]. Una santa della sua nativa Normandia, che ha promesso di aiutare i missionari e mantiene la promessa? Si decide di provare una strategia. Può sembrare un infantilismo, però appartiene alla storia. È la prova di quel che si realizzò con la fede. La grande taumaturga di quei tempi rispose alla speranza in lei riposta.
“Domani mattina –dice il P. Turquetil a Fr. Girard- andiamo a tentare il colpo. Quando gli Eschimesi si troveranno riuniti nella sala per ascoltare il grammofono, io terrò loro una catechesi come si deve. Mentre io parlo loro, tu invocherai Teresina; aprirai i sacchetti e con discrezione spargerai il contenuto sulla testa dei miei uditori”. Il giorno seguente, puntualmente, arriva la sorpresa. Lo stregone di Chesterfield, il peggior nemico della Missione, chiede il battesimo, aggiungendo convinto: “Verrò qui tutti i giorni; farò tutto quello che mi dirai, perché non voglio andare all’inferno”[48].
La sua conversione attirò tanti altri Eschimesi a prepararsi al Battesimo. Il 2 luglio 1917 si arriva al battesimo di 12 Eschimesi. I neofiti dimostrano un grande fervore eucaristico. Ammirati e grati, i missionari riconoscono il miracolo compiuto da Teresina. In visita alla missione di Chesterfield durante l’anno 1923, Mons. Ovidio Charlebois, che anni addietro voleva sopprimere la missione, decide di creare altre stazioni missionarie. A Pointe-aux-Esquimaux sarà costruita la prima chiesa in onore della B. Teresa di GB.
Il 17 maggio 1925 il P. Arsenio Turquetil ritorna nel Canadà dopo una visita in Francia. Due mesi più tardi, il 15 luglio, viene nominato primo prefetto apostolico della Baia di Hudson. La nuova circoscrizione missionaria viene consacrata al patrocinio celeste della nuova Santa, che amava la neve e promise di passare il suo cielo facendo del bene sulla terra. La sua statua posta nella cappella costituisce una attrazione per gli Eschimesi. Dietro la spinta del nuovo prelato vengono aperte altre quattro stazioni missionarie. Mons. Turquetil inaugura l’ospedale “S. Teresa” a Chesterfield, il primo del grande Nord, installa il riscaldamento e altre comodità fornite dal progresso. Lo sviluppo cristiano della zona sorprende la Congregazione di Propaganda Fide, che nel luglio 1931 eleva la missione alla categoria di Vicariato Apostolico, conferendo il 23 febbraio 1932 la consacrazione episcopale a Mons. Turquetil. La sua celeste patrona lo salva dai pericoli di attraversate difficili, lo aiuta chiaramente nello sviluppo della missione[49].
Il racconto appare per lo meno straordinariamente carismatico. Però è attestato dai fatti. Tuttavia, devono succedere altre cose importanti che ci interessano più direttamente.
Un laico canadese, il Sig. Paul Lionel Bernard (1889-1965), fu un teresianista entusiasta della prima ora[50]. Già nel 1910 stabilì una relazione stabile con il Carmelo di Lisieux e la coltivò tutta la vita, occupandosi nel 1957 della beatificazione dei genitori di S. Teresa. Nel 1917 si era fatto portavoce nazionale, chiedendo a Benedetto XV la rapida beatificazione della taumaturga carmelitana. Gli riuscì di presentare al Papa varie migliaia di firme per questa petizione, raccolte in 12 volumi. Nel 1925 fu il promotore di una relazione firmata dai vescovi canadesi sulla eccezionale “pioggia di rose” di grazie, di guarigioni, di suppliche esaudite, di interventi celesti in questo paese settentrionale dell’America. Pio XI esaminò l’informazione compiaciuto.
- Teresa di GB sarà proclamata Patrona delle missioni del Canadà? Interviene a questo punto Mons. Charlebois con la sua fede e la sua esperienza teresiana che si evidenziarono nel caso del P. Turquetil. Sempre in collaborazione con il Sig. Paul Lionel Bernard, egli nominato “vescovo polare” nel mese della canonizzazione “della più grande santa dei tempi moderni”, maggio 1925, comunica la sua idea ad alcuni vicari apostolici del Canadà e raccoglie 12 firme di adesione. Nel marzo 1926 si presenta al Papa. Si fa strada una domanda nella curia romana. Il Card. Van Rossum, prefetto di Propaganda, si domanda se la supplica canadese si riferisce solo alle missioni di quel paese o anche alle missioni del mondo intero. Nella seconda ipotesi bisognerebbe consultare l’episcopato missionario del mondo.
Messosi all’opera, per il marzo del 1927 Mons. Charlebois aveva raccolto già 232 adesioni. Alcune lettere contenevano relazioni entusiastiche, perché anche altri vicari apostolici nel mondo avevano sperimentato segni manifesti della intercessione della santa carmelitana di Lisieux. La pubblicazione “Pluie de roses” le riporta a centinaia[51]. Maria della Redenzione, orsolina di Trois-Rivières e grande amica della Madre Agnese di Gesù, rilega il plico delle adesioni, prepara un album accurato che il 14 ottobre 1927 fu consegnato a Pio XI. Papa Ratti lo esamina con ammirazione. Però le Congregazioni dei Riti e di Propaganda Fide manifestano la loro contrarietà alla possibile attribuzione del titolo di Patrona delle Missioni. Il Papa insiste che si consideri attentamente la cosa. Il suo intervento indusse la Congregazione dei Riti a preparare il decreto col quale il 14 dicembre 1927 S. Teresa di GB veniva proclamata Patrona universale delle missioni.
Con mirabile sintesi Mons. Charlebois poteva scrivere al Carmelo di Lisieux: “Non c’è da attribuirmi tutto il merito. Ammetto di aver suggerito l’idea e di aver prestato il mio nome; per il resto bisogna tener conto di alcuni che si sono dedicati in modo ammirevole a questa cara causa, e alle vostre preghiere. Però, soprattutto, è stata la nostra buona santina che dall’alto dei cieli faceva scendere la sua pioggia di rose, dando esito positivo a tutti i nostri passi. Lei desiderava di cuore essere Patrona dei missionari che tanto amò e per i quali tanto soffrì”[52].
- b) Il Papa delle Missioni, Pio XI
Abbiamo accennato al suo intervento. Il Papa delle missioni assunse la responsabilità di porre il gesto a quel tempo innovatore e coraggioso di nominare come Patrona delle Missioni la Santa che aveva definita “la stella del suo pontificato”[53]. Onde evitare qualsiasi equivoco che il titolo risultasse secondario e modesto, nel decreto si dice che la Santa carmelitana di Lisieux era “Patrona allo stesso titolo di S. Francesco Saverio”.
La nomina non fu il frutto di un impulso della sua devozione personale. Il Papa Ratti prese in considerazione la situazione della Chiesa in quel frangente. In quel contesto ecclesiale S. Teresa di GB rappresentava con la massima fedeltà e trasparenza l’insegnamento del Papa. Ella si trovava all’apice del suo “uragano di gloria”. Dopo la Bibbia, la “Storia di un’anima” era la lettura preferita negli ambienti religiosi. “Per mano di Teresa –fu scritto- la vita contemplativa riceveva così una bella conferma del suo valore apostolico, e diventava nello stesso tempo un luogo di riferimento per i missionari e le missionarie”[54].
Il 28 febbraio 1928 Pio XI firmò la sua enciclica missionaria “Rerum Ecclesiae”[55]. Il documento papale giungeva come uno splendore dell’anno santo 1925, della esposizione missionaria vaticana, della creazione del museo missionario, della canonizzazione di S. Teresina e della sua nomina quale Patrona dell’Opera Missionaria Pontificia di S. Pietro Apostolo. Mettendo a fuoco questo ultimo accenno, l’enciclica presenta la santa “come colei che, mentre viveva quaggiù la sua vita claustrale, prendeva sotto la sua protezione e, per così dire, adottava uno o l’altro missionario per aiutarlo,come già faceva, con le preghiere, con le penitenze volontarie o anche prescritte e, soprattutto, offrendo al divino Sposo i forti dolori della malattia”. E conclude manifestando la sua convinzione: “Con la protezione della vergine di Lisieux, speriamo i frutti più copiosi”.
Sullo sfondo la figura di S. Teresina impregna l’intera enciclica. In essa il Papa ha ratificato l’importanza della preghiera. Per questo diceva ai missionari: “La stima in cui teniamo la vita contemplativa non ha bisogno di argomenti, perché uomini vivendo nella solitudine attrarranno sopra voi stessi e sui vostri lavori una inestimabile abbondanza di grazie”[56].
Il Papa delle missioni proponeva un rinvigorito impulso missionario, fondato sulla orazione e sul sacrificio. Era il fondamento della espansione missionaria che avrebbe promosso al meglio la qualità spirituale del clero, che avrebbe motivato i cristiani nell’impegno generale per la riuscita dell’opera missionaria nel mondo.
Alla idea di favorire la creazione del clero indigeno, presente già nella “Maximum illud” di Benedetto XV, Pio XI aggiungeva ora la proposta di creare Istituti religiosi nei territori missionari. Sviluppando questa idea, arriva la proposta: “Con quanta stima apprezziamo la vita contemplativa fa fede la Costituzione Apostolica “Umbratilem” con la quale approviamo la Regola dei Certosini. Inoltre noi stessi esortiamo vivamente i superiori maggiori di tali Ordini contemplativi a che, con la fondazione di conventi, importino e diffondano la forma austera della vita contemplativa”. Prevenendo possibili pregiudizi secolari, Pio XI assicura: “Non si deve temere che questi monaci non incontrino terreno favorevole in mezzo a voi, perché gli abitanti, specialmente di alcune regioni, benché in maggioranza pagani, per disposizione naturale tendono alla solitudine, alla preghiera e alla contemplazione”[57].
È la novità dell’Enciclica. La testimonianza di S. Teresina incarnava nella sua persona l’ideale del Papa. In quest’anno e in questo clima ecclesiale-missionario del 1926 è in elaborazione la proposta, all’inizio canadese, di proporla come Patrona delle Missioni. Nel dicembre dell’anno seguente si arrivò a formalizzare con rescritto pontificio questo desiderio e questo ideale. Con rinnovato e concreto vigore il Papa delle Missioni ricordò alla Chiesa la priorità della preghiera nell’impegno della evangelizzazione. S. Teresina forniva il modello incarnato di tale dottrina.
Nella stessa direzione e con gli stessi obiettivi Teresa di GB fu anche nominata sotto Pio XI Patrona del seminario “Russicum” di Roma (1928), della Delegazione Apostolica del Messico (1929) che attraversava un tempo di particolari difficoltà, dell’Unione Sacerdotale di Lisieux (1929), della Gioventù Operaia Cristiana (1932).
Il concilio Vaticano II ci ricorda: “Tutti i fedeli, quali membri di Cristo vivo, incorporati e resi simili a Lui dal Battesimo, dalla Confermazione e dall’Eucaristia, hanno il dovere di cooperare alla espansione e dilatazione del suo Corpo, per portarlo quanto prima alla pienezza” (cf. Ef. 4,13)[58]. Il dovere riguarda tutti. Si comprende facilmente l’attività, come pure la prestazione sociale e caritativa della Missione. Più difficile da evidenziare e da inculcare, benché abbia un fondamento biblico, risulta il valore della preghiera. Si richiede maggior sforzo, più catechesi. Nella mentalità di Pio XI, S. Teresa di Lisieux offre una testimonianza precisa ed esatta e uno stimolo attraente in questo senso. Per questo la valorizzò come esempio catalizzatore.
Il fervore missionario di S. Teresina riveste intense connotazioni di originalità. È convinta che la sua dedizione alle missioni con tale intensità è opera di Dio. “Com’è misericordiosa la via per la quale Dio mi ha sempre condotta. Non mi fa mai desiderare qualcosa senza concedermela”[59]. E nella lettera del 13 luglio 1827 a Maurizio Bellière, sottolinea la stessa convinzione: “Mi ha fatto sempre desiderare quello che vuole darmi”[60]. In questa dinamica missionaria Teresa sembra ispirata e sostenuta dal principio enunciato da S. Giovanni della Croce: “L’anima quanto più spera, tanto più ottiene”[61].
Ricordiamo anche la sua sensibilità per le persone lontane dal Signore, sia che ciò sia frutto di ignoranza, sia di esplicito rifiuto. La sua grande prova della fede la illuminò sul problema della mancanza di fede: “Signore, la vostra figlia ha compreso la vostra divina illuminazione. Vi chiede perdono per i suoi fratelli. Si rassegna a mangiare, per il tempo che voi riterrete bene, il pane del dolore, e non desidera alzarsi da questa mensa piena di amarezza, alla quale mangiano i poveri peccatori, finché arrivi il giorno da voi stabilito. Però non può forse anch’essa dire in nome proprio e dei suoi fratelli: ‘Abbi pietà di noi, Signore, perché siamo poveri peccatori? Oh Signore, rimandaci giustificati. Che tutti quelli che non sono illuminati dalla fiaccola della fede la vedano, infine, brillare”[62]. Conobbe un caso tra i suoi familiari: “Ho offerto le mie prove interiori contro la fede, principalmente per una persona, legata alla nostra famiglia, che non ha la fede”[63]. Teresa è un’anima che trascende il chiostro e intercede per gli increduli.
Il desiderio così ardente, come abbiamo ricordato, di andare –se fosse stato possibile- al Carmelo del Tonchino, l’aiutò a comprendere che Lisieux non la poteva chiudere in un ambiente senza orizzonte o con orizzonti ridotti. L’ha aiutata a “crescere nella sua anima”, ad allargare lo sguardo e il concetto di missione. Questa preoccupazione compare in lei già prima della sua entrata al Carmelo. È una delle conclusioni del suo viaggio in Italia. In questa occasione annota una riflessione: “Com’è bella la vocazione che ha come scopo quello di conservare il sale della terra! Questa è la vocazione del Carmelo, dato che l’unica finalità delle nostre preghiere e sacrifici è quella di essere apostole degli apostoli, pregando per essi mentre evangelizzano le anime con la parola e, soprattutto, con il loro esempio”[64].
Già al Carmelo Teresina spiega così la missione a sua sorella Celina nella lettera del 15 agosto 1892: “Un giorno pensavo a ciò che potevo fare per salvare le anime. Una parola del vangelo mi si è rivelata piena di viva luce. Una volta Gesù diceva ai suoi discepoli, mostrando loro i campi pieni di grano maturo: ‘Alzate gli occhi e guardate come le campagne già biondeggiano per la messe” (Gv.4,35). Poco dopo aggiunge: “In verità vi dico, la messe è abbondante, ma gli operai sono pochi. Domandate dunque al padrone della messe di mandare operai’. Che mistero! Gesù non è forse onnipotente? Le creature non sono forse di lui che le ha fatte? Perché dunque Gesù dice: “Domandate al padrone della messe di mandare operai’? Perché? Ah! L’unica ragione è che Gesù ha per noi un amore così incomprensibile che vuol farci partecipare insieme con Lui alla salvezza delle anime, redente, come lei, a prezzo di tutto il suo sangue”.
Conclude: “La nostra vocazione non è quella di andare a mietere nei campi di grano maturo; Gesù non dice a noi: “Abbassate gli occhi, guardate i campi e andate a mietere”. La nostra missione è ancora più sublime. Ecco le parole di Gesù: “Alzate gli occhi e guardate”. Guardate come nel cielo vi sono dei posti vuoti: spetta a voi riempirli. Voi siete i miei Mosè in preghiera sulla montagna; domandatemi operai e io ve ne manderò. Non aspetto che una preghiera, un sospiro del vostro cuore! L’apostolato della preghiera non è forse, per così dire, più elevato di quello della parola? La nostra missione come Carmelitane è di formare degli operai evangelici che salveranno milioni di anime delle quali saremo le madri”[65].
Questo è, in conclusione, il pensiero missionario di S. Teresina: concreto, attraente, ricco di suggestioni. “Milioni di anime delle quali noi saremo le madri”. Questa è anche la sua missione postuma come Patrona delle missioni: diffondere la via dell’infanzia spirituale nei rapporti con Dio Padre in un mondo autosufficiente che pretende di prescindere dal Creatore. Ricordiamo la sua stessa parola: “La mia piccola via è fatta tutta di fiducia e di amore”[66]. Altro suo compito è quello di essere madre dei missionari. Il suo carteggio antologico con i due fratelli spirituali è la prova più convincente della sua maternità missionaria. Con loro si mostrò sorella maggiore, sorella sperimentata, sorella pedagoga: madre che intercede.
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[1] AAS 20 (1927) 147-148; AOCD 2 (1927) 200.
[2] Benedetto XV nella “Maximum illud” (1919) lo considera “degno egli pure di essere paragonato agli “Apostoli” (nº 7).
[3] In un altro ordine di idee, è interessante ricordare che Santa Teresina si è raccomandata con tanta fiducia al santo missionario navarrese con la così detta “novena della grazia” (4-12 marzo 1897) per ottenere da lui il passar suo cielo facendo del bene sulla terra. La stessa grazia aveva sollecitato di San Giuseppe per identico motivo, secondo la testimonianza della sua sorella Maria del Sacro Cuore. Cfr. Correspondance Générale II, Paris 1973, p. 966, nota k.
[4] Luciniano Luis Luis, “Javier y Teresita: Dos místicos Patronos de las Misiones”, in Monte Carmelo 115 (Burgos 2007) 88.
[5] Lt 220
[6] Ms C 34r°
[7] 20 (1921), p. 1
[8] Ibid. p. 27-27
[9] AAS 18 72-73
[10] Georges Gourée, Femmes au coeur du feu. Edit. La Combe, Parigi 1956, p. 20. “L’anima” senso biblico comprende l’intera persona umana, definita a partire dalla parte più spirituale. Cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, n° 363.
[11] AG 6
[12] EN 80
[13] Ibid. 26
[14] RM 91
[15] Testo del Segretariato Pontificio per i non credenti. Roma 1984.
[16] Stéphane-Marie Morgain, Le mouvement missionnaire en Europe dans la seconde moitié du 19ème siècle: l’exemple de la France, in “Thérèse de Lisieux et les Missions. Mission et Contemplation”. Edit. Carmel-Afrique, Kinshasa 1996, pp. 47-61.
[17] Pierre André Picard, Le climat missionnaire du diocèse de Lisieux au temps de Thérèse, in Vie Thérésienne 39 (1999) 7-21.
[18] Marie-Anne Loriot-Henri Sale, Pierre Berthelot, in Thérèse de Lisieux 873 (gennaio 2007) 2-5.
[19] Gérard Moussay, Mons. Lefebvre (1810-1865) et les Carmélites en Cochinchine, in Thérèse de Lisieux 876 (aprile 2007) 2-3.
[20] Ms A, 45v°.
[21] Ms A, 45 v°.
[22] Ibid. 46 v°.
[23] Ibid. 46 r°-47 r°.
[24] Consigli e Ricordi. Burgos 1953, p. 131.
[25] Ms A, 69 v°.
[26] Or 2.
[27] Lt 221.
[28] Ms C, 32 r°.
[29] Ibid., 33 v°.
[30] Lt. 221.
[31] Consigli e ricordi, p. 130.
[32] Lt. 198.
[33] Lt. 189. Ricorrendo il centenario della morte della B. Elisabetta della Trinità sarà opportuno ricordare che la nostra mistica Monaca di Dijon ebbe lo stesso riflesso di sentirsi missionaria o apostola nel nome di Teresa, la Madre. “Chiedi alla nostra serafica Madre S. Teresa; amò tanto e morì di amore. Chiedile la sua passione per Dio e per le anime. La carmelitana deve essere apostola: tutta la sua preghiera e i suoi sacrifici tendono a questo” (Lettera 136, a Germana di Gemeaux.). “La nostra Santa Madre vuole che le sue figlie siano completamente apostoliche” (Lettera 179, a Germana de Gemeaux). Come vera figlia di S. Teresa, desidero essere “apostola” per dare maggiore gioia a Colui che amo. Come la nostra S. Madre, penso che mi abbia lasciata sulla terra per zelare il suo onore, come vera sua sposa” (Lettera 276, alla Sig.ra Hallo). “Apostola e Carmelitana: sono la stessa cosa” (Lettera 124 all’abate Beaubis).
[34] Ms C, 25 r°; cf. anche Ms A, 35 r° e 76 v°.
[35] Ms C, 9 v°-10 r°.
[36] Lt 221.
[37] Ultimi Colloqui, 27.05.1897.
[38] Ms C 35 r°.
[39] Ibid. 35 v°-36 r°.
[40] Histoire d’une Mission. Apostolat des Editions, 1973, p. 277.
[41] Ms C, 31 v°.
[42] Ibid. 33 r°.
[43] Il tema suscita interesse ed è stato studiato di frequente. Tra gli altri, si veda David Molina, “Teresa de Lisieux a los misioneros”, in AA.VV.., Teresa de Lisieux, Profeta de Dios, Doctor de la Iglesia. Salamanca 1999, pp. 707-729.
[44] Ms B, 3 v°.
[45] Ultimi Colloqui, 17.07.1897. L’idea viene espressa anche in una lettera a A. Roulland: “Penso di non rimanere inattiva in cielo: è mio desiderio lavorare ancora per la Chiesa e per le anime” (Lt 254). Durante la sua ultima malattia ritornò spesso a esprimere la sua convinzione: “Dio non mi darebbe il desiderio di fare del bene sulla terra dopo la mia morte, se non volesse realizzarlo; mi darebbe piuttosto il desiderio di riposarmi in Lui” (UC 18.07.1897). Alcune settimane dopo si esprimeva così: “Fino a quando sei nei ceppi, non puoi assolvere la tua missione; più tardi, dopo la tua morte, verrà il tempo delle tue fatiche e delle tue conquiste” (UC 10.08.1897).
[46] Fr. Henri-Marie, Mons. Turquetil et Sainte Thérèse danbs le territoire des esquimaux, in Les Annales … 1932, p. 133.
[47] La prima esumazione in vista del processo canonico della beatificazione ebbe luogo il 6 settembre 1910 e la seconda il 9-10 agosto 1917.
[48] Gli Annali…, p.136.
[49] Dominique Menvielle, “L’épopée blanche. Un Normand contemporain de Thérèse Martin, apôtre des Indiens et des Eschimauxi”, in Thérèse de Lisieux, 875 (marzo 2007) pp.2-6.
[50] Cf. Les Annales … 1966/2, p. 23; Stéphane Piat, “Un chevalier servant de la gloire Thérésienne, Paul Lionel Bernard”, in “Les Annales … 1966/10, pp. 4-6.
[51] Dal 1913 al 1925 furono pubblicati sette volumi, per un totale di 3.750 pagine.
[52] Les Annales …, 1928, p. 88.
[53] Carlo Gonfalonieri, Pio XI visto da vicino, Torino 1957, p. 310. Della straordinaria devozione del Papa Ratti a S. Teresina fa fede il vistoso mosaico con la effigie della Santa nel mausoleo di questo Papa nella critta vaticana.
[54] David Molina, “Teresa di Lisieux ai missionari”, in AA.VV., Teresa di Lisieux, Profeta di Dio, Dottore della Chiesa. Salamanca 1999, p. 708
[55] AAS 18 (1927) 65-83; AOCD I 81926) 8-19.
[56] Enciclica “Rerum Ecclesiae”, n.° 41.
[57] N° 106-112
[58] AG 36.
[59] Ms A 71 r°.
[60] Lt 253
[61] 3S 7,2.
[62] Ms C 6 r°.
[63] UC, 2.09.1897. Si riferiva a René Tostain, sposo di Margherita Maria Maudelonde, nipote di Celina Guérin.
[64] Ms A, 56 r°.
[65] Lt. 135.
[66] Lt. 226.