Lettera del Papa sul rapporto sacerdoti-laici

Estratto dalla lettera scritta dal Santo Padre al Cardinale Marc Ouellet, presidente della Pontificia Commissione per l’America Latina, a proposito del rapporto sacerdoti-laici.

“Oggigiorno molte nostre città sono diventate veri luoghi di sopravvivenza. Luoghi in cui sembra essersi insediata la cultura dello scarto, che lascia poco spazio alla speranza. Lì troviamo i nostri fratelli, immersi in queste lotte, con le loro famiglie, che cercano non solo di sopravvivere, ma che, tra contraddizioni e ingiustizie, cercano il Signore e desiderano rendergli testimonianza. Che cosa significa per noi pastori il fatto che i laici stiano lavorando nella vita pubblica? Significa cercare il modo per poter incoraggiare, accompagnare e stimolare tutti i tentativi e gli sforzi che oggi già si fanno per mantenere viva la speranza e la fede in un mondo pieno di contraddizioni, specialmente per i più poveri, specialmente con i più poveri. Significa, come pastori, impegnarci in mezzo al nostro popolo e, con il nostro popolo, sostenere la fede e la sua speranza. Aprendo porte, lavorando con lui, sognando con lui, riflettendo e soprattutto pregando con lui.

“Abbiamo bisogno di riconoscere la città” – e pertanto tutti gli spazi dove si svolge la vita della nostra gente – “a partire da uno sguardo contemplativo, ossia uno sguardo di fede che scopra quel Dio che abita nelle sue case, nelle sue strade, nelle sue piazze… Egli vive tra i cittadini promuovendo la solidarietà, la fraternità, il desiderio di bene, di verità, di giustizia. Questa presenza non deve essere fabbricata, ma scoperta, svelata. Dio non si nasconde a coloro che lo cercano con cuore sincero” (Evangelii gaudium, n. 71). Non è ma il pastore a dover dire al laico quello che deve fare e dire, lui lo sa tanto e meglio di noi. Non è il pastore a dover stabilire quello che i fedeli devono dire nei diversi ambiti. Come pastori, uniti al nostro popolo, ci fa bene domandarci come stiamo stimolando e promuovendo la carità e la fraternità, il desiderio del bene, della verità e della giustizia. Come facciamo a far sì che la corruzione non si annidi nei nostri cuori.

Molte volte siamo caduti nella tentazione di pensare che il laico impegnato sia colui che lavora nelle opere della Chiesa e/o nelle cose della parrocchia o della diocesi, e abbiamo riflettuto poco su come accompagnare un battezzato nella sua vita pubblica e quotidiana; su come, nella sua attività quotidiana, con le responsabilità che ha, s’impegna come cristiano nella vita pubblica. Senza rendercene conto, abbiamo generato una élite laicale credendo che sono laici impegnati solo quelli che lavorano in cose “dei preti”, e abbiamo dimenticato, trascurandolo, il credente che molte volte brucia la sua speranza nella lotta quotidiana per vivere la fede. Sono queste le situazioni che il clericalismo non può vedere, perché è più preoccupato a dominare spazi che a generare processi. 

È illogico, e persino impossibile, pensare che noi come pastori dovremmo avere il monopolio delle soluzioni per le molteplici sfide che la vita contemporanea ci presenta. Al contrario, dobbiamo stare dalla parte della nostra gente, accompagnandola nelle sue ricerche e stimolando quell’immaginazione capace di rispondere alla problematica attuale. E questo discernendo con la nostra gente e mai per la nostra gente o senza la nostra gente.

L’inculturazione è un lavoro artigianale e non una fabbrica per la produzione in serie di processi che si dedicherebbero a “fabbricare mondi o spazi cristiani”. 

Nel nostro popolo ci viene chiesto di custodire due memorie. La memoria di Gesù Cristo e la memoria dei nostri antenati. La fede, l’abbiamo ricevuta, è stato un dono che ci è giunto in molti casi dalle mani delle nostre madri, delle nostre nonne. Loro sono state la memoria viva di Gesù Cristo all’interno delle nostre case. È stato nel silenzio della vita familiare che la maggior parte di noi ha imparato a pregare, ad amare, a vivere la fede. È stato all’interno di una vita familiare, che ha poi assunto la forma di parrocchia, di scuola e di comunità, che la fede è giunta alla nostra vita e si è fatta carne. 

È stata questa fede semplice ad accompagnarci molte volte nelle diverse vicissitudini del cammino. Perdere la memoria è sradicarci dal luogo da cui veniamo e quindi non sapere neanche dove andiamo. Questo è fondamentale, quando sradichiamo un laico dalla sua fede, da quella delle sue origini; quando lo sradichiamo dal Santo Popolo fedele di Dio, lo sradichiamo dalla sua identità battesimale e così lo priviamo della grazia dello Spirito Santo. Lo stesso succede a noi quando ci sradichiamo come pastori dal nostro popolo, ci perdiamo. Il nostro ruolo, la nostra gioia, la gioia del pastore, sta proprio nell’aiutare e nello stimolare, come hanno fatto molti prima di noi, madri, nonne e padri, i veri protagonisti della storia. Non per una nostra concessione di buona volontà, ma per diritto e statuto proprio. I laici sono parte del Santo Popolo fedele di Dio e pertanto sono i protagonisti della Chiesa e del mondo; noi siamo chiamati a servirli, non a servirci di loro.”

Per chi volesse leggerlo qui il testo integrale.

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