Suor Francesca Teresa

Suor Francesca Teresa, serva di Dio Visitandina, Leonia Martin (1863-1941), terzogenita di Luigi e Zelia Martin, malgrado i suoi tanti handicap, sarà la prima discepola della “piccola via dell’infanzia spirituale” della sorella Teresa.

Terza delle sorelle Martin, Leonia ha avuto “un’infanzia detestabile”, per sua propria ammissione. Un’infanzia di sofferenza, di malattia e d’isolamento (a 7 anni perde infatti la cara sorellina Elena di 5 anni). Ha un carattere difficile, è lenta e meno dotata delle sorelle, sia fisicamente che intellettualmente. Presto, si sente meno amata in rapporto alla sorelle. La mamma, delusa e scoraggiata da questo atteggiamento, ha difficoltà ad educarla: Leonia sarà la sua “grande preoccupazione”. “Più cresce, più mi fa soffrire”, confida Zelia stessa. Leonia realizza quindi che non è come gli altri: si sente “brutta” da tutti i punti di vista e sente che fa soffrire chi le sta intorno. Ha una viva coscienza delle sue miserie e dei suoi limiti: “In me, non c’è niente che brilli”.

Malgrado l’ineguaglianza dei doni tra le sorelle, Leonia è risparmiata da quel veleno che avrebbe potuto distruggerla: la gelosia che è frutto del confronto. Ella ama tutte le sue sorelle con lo stesso affetto. Ha invece la tentazione continua a svalutarsi: “Ho molto sofferto della mia inferiorità, ho sentito fortemente l’isolamento del cuore!”. Ma se le sorelle sono sconcertate dal su comportamento, non per questo la “affondano”. Quando Leonia dice: “Non sono buona a niente”, Teresa le risponde: “Tu sei la sposa di Gesù”. Hanno quindi uno sguardo di speranza, positivo, verso questo “brutto anatroccolo” che perturba la vita di famiglia ( e che d’altronde domanderà loro perdono prima di pronunciare i voti religiosi).

Malgrado i suoi handicap, Leonia conserva un vivo desiderio di santità, senza però disperare mai: “Sono così piccola e fragile. Voglio crescere e restare piccola nello stesso tempo”. Nutre ugualmente il desiderio di donarsi completamente a Gesù. Ciò accadrà, ma non senza difficoltà: entrerà una volta dalle Clarisse d’Alençon e due volte alla Visitazione di Caen, per uscirne qualche mese più tardi. Non riesce a piegarsi alla regola comunitaria. Conosce quindi tre sconfitte “con l’umiliazione che possiamo supporre” e che accrescono le sue crisi di eczema purulento. Ma mai Leonia metterà in discussione la sua vocazione. E il quarto tentativo, con l’entrata del 28 gennaio 1899, sarà quello buono! Resterà alla Visitazione per quarantadue anni, fino alla sua morte a 78 anni, rappacificata grazie alla pratica della “piccola via” della sua sorellina Teresa.

Il cambiamento interiore richiede l’umiltà dell’accettazione: “L’umiltà è la mai sola ancora di salvezza, la amo al di sopra di tutto”. Ma anche il coraggio della determinazione: Leonia ha sviluppato giorno dopo giorno un combattimento coriaceo contro il suo temperamento difficile, la sua natura ribelle e quel fondo di tristezza e di malinconia che dimorerà in lei per tutta la sua vita.

“Poiché è Gesù nostro Salvatore”, Leonia non avrà mai paura di Dio. E ha una viva passione nei confronti dello Spirito Santo. Il suo itinerario interiore sarà quello di una Pentecoste nascosta: si lascerà trasformare dalla dolcezza dello Spirito Santo e della sua potenze discreta. “Il nostro Dio è un fuoco che consuma! Questo pensiero mi rallegra e m’infiamma ma esiste solo nella mia volontà poiché il mio cuore è di ghiaccio, nient’altro che disgusto, noia, stanchezza”. Anche Leonia attraverserà la prova della notte.

“Può prendere tutto, anche la mia piccola e poverissima intelligenza”. Leonia ha realizzato tutto ciò che è, grazie al completo abbandono nelle mani dell’Amore misericordioso. “È la mia estrema miseria che mi dà questa fiducia, scrive nel 1934. Il Buon Dio mi ha fatto vedere chiaramente come in pieno giorno che devo immergermi sempre più nel mio niente. Mi fa amare la mia piccolezza, la mia impotenza per il mio bene”. Leonia è la povertà che sposa la Povertà. L’essenza della pesca è il suo nocciolo. La polpa è ciò che è esteriore, ciò che è dato agli altri. Ma il cuore del frutto è il suo nocciolo: l’amore di Gesù. Leonia ha avuto una “polpa” (=natura umana) danneggiate, ma ha preservato il suo “nocciolo”, abbandonandosi all’Amore misericordioso, consacrazione che rinnova ogni giorno dopo la Comunione.

Al termine della sua vita, Leonia non cessa di esprimere la sua gratitudine a Dio, alle sorelle, allo zio Guérin. Nessun ripiegamento su se stessa nell’amarezza; ma un ringraziamento continuo per l’opera del Signore in lei: “È la riconoscenza che trabocca dal mio cuore”. La lode è un atto di umiltà; l’umorismo ne è un segno. Un segno, un prete suona alla porta del monastero e chiede di incontrare la sorella di santa Teresa. Si sente rispondere: “Vado a vedere ma non credo sia possibile!”. “Oh! Mi dispiacerebbe molto”, risponde lui. Prima di eclissarsi, la sua interlocutrice ribatte: “Pertanto, Reverendo , posso assicurarvi che non vi perderete niente”. Il prete, scandalizzato, incrocia poi il cappellano della Visitazione. Costui scoppia a ridere: “Ma è la sorella di santa Teresa stessa che vi ha detto questo!”. L’umorismo è una vittoria sulla fragilità. “Mi colmate di gioia, Signore, per tutto quello che fate”. Questa sua gioia dello Spirito Santo esplode nel Magnificat, l’inno della Visitazione che Leonia ha chiesto di intonare alle consorelle quando avrebbe esalato il suo ultimo respiro. In una delle ultime lettere, ha confidato: “Sono troppo piccola per dannarmi. I bambini piccoli non si dannano. Conto proprio di cadere nelle braccia di Gesù”.

P. Philippe Hugelé, Il Sorriso di padre Benigno… e altri volti del Carmelo, Gennaio-Febbraio 2016-01-13.

Posted in .