Santa Edith Stein sfida i cattolici

Osservazioni Preliminari su un Poliedrico Dono Di Dio 

Edith Stein, come ogni santo canonizzato, è innanzitutto un dono di Dio per la Chiesa. “Il loro trionfo celebra i doni della tua misericordia” dice la preghiera di lode del prefazio dei santi indirizzata a Dio Padre. Sono dono perché hanno permesso che i visibili doni di Dio in loro predominino nella loro vita. 

Ogni santo dispiega vari aspetti della santità di Dio, e la diversità ne è forse l’aspetto più interessante. Non c’è un modello standard di regole della santità in compagnia dei santi. Essi manifestano, come dice Paolo, la diversità di doni (1Cor 12,4; Rm 12,6). La Stein era differente in questo senso dagli altri e fu lei stessa una santa molto poliedrica dell’Altissimo. La sua biografia abbonda di esempi in merito. Ne basta uno per mostrarla tale. Durante quasi un decennio, fu insegnante alla Scuola Normale di Santa Maddalena di Spira. Aveva già fatto dei voti privati. Passava molte ore preparando le lezioni e trovava il tempo anche per fare una trasmissione alla radio. Consigliava molti studenti turbati e bisognosi di incoraggiamento, inoltre viaggiava in altri paesi per dare corsi. Era andata verso l’Ovest a Juvisy, nei pressi di Parigi, per parlare, con la sua conoscenza della corrente principale dominante della Fenomenologia e di San Tommaso, a un gruppo di neo-tomisti, ma anche ritornava nella sua città di Breslavia, verso Est, durante le vacanze accademiche, per visitare la sua mamma ebrea(1). Nella sua vita, ha entusiasmato la gente con la sua perfetta competenza e diligenza. 

Più recentemente, durante il processo di beatificazione istruito dalla Chiesa cattolica per accertare la sua santità, ella ha molto stupito i suoi esaminatori postumi. Risulta la sola persona doppiamente approvata per la beatificazione: ha ricevuto “gli onori degli altari” per 1) le sue virtù eroiche, ma pure; 2) per il suo martirio. In via normale, basta l’una o l’altra base per aprire la porta della beatificazione a un servo di Dio”(2). La causa della Stein ha rivelato segni straordinari di maturità e di esemplarità nella convertita di Breslavia: è entrata nel Carmelo di Colonia e ugualmente , monaca, di là è stata cacciata per l’Olanda da quella che il Papa ha chiamato l’ “insana ideologia” del Nazionalsocialismo, che l’ha in seguito deportata per morire ad Auschwitz(3)

Più esattamente, la Beata Teresa Benedicta o Edith Stein non è soltanto una nuova faccia moderna tra i santi, o giusto un insolito nome da scegliere per i bambini nuovamente battezzati. Come luce intellettuale per i movimenti delle donne cattoliche nei paesi germanofoni, come progressista e scrittrice feconda, e finalmente come una dei milioni di vittime dei Nazisti, la Stein è una persona “collegata” con la nostra situazione, in questi ultimi mesi del ventesimo secolo. 

Anche se è stata uccisa nella camera a gas e cremata nella prima metà di questo secolo, l’insieme dei suoi interessi e delle sue realizzazioni è presente alla sua fine. Dato che è nata un po” più di un secolo fa, nel 1891, l’arco della sua vita mostra delle caratteristiche vicine nel tono e nel tempo alle nostre. Ella può interpellarci tutti, può sfidarci. 

Per dimostrare che ci porge delle sfide, vorrei adottare il seguente approccio per questa conferenza: prendendo lo spunto da lei come scrittrice di talento, preferisco lasciar parlare uno dei suoi testi incisivi su una problematica chiave che affronta i nostri tempi. Collegherò a questo testo (dove sia possibile, ma senza entrare in molti dettagli) delle adeguate referenze ai dettagli della vita che rivelino dei paralleli con le odierne condizioni. Molto di quel che ha scritto e fatto offre un buon approccio per afferrare il mondo attorno a noi, e così contribuisce a preparare un avvenire più ricco. Come mostrerò nella conclusione, lei ci sfida nelle maggiori aree della vita della chiesa e non solo in quelle interessate al suo patrimonio. 

Le Sfide 

1- Una spiritualità incarnata nella vita, non astratta 

L’angoscia del vivere contemporaneo, segnato da risorse già esaurite, da una competitività per arricchirsi sempre crescente e da interpretazioni fondamentaliste della realtà, induce frequentemente delle tendenze al ripiegamento. La gente si prende intensivamente cura del suo piccolo gruppo, con un interesse sempre vigilante per la sua propria sopravvivenza; diventa sempre meno aperta a persone di altre credenze, quelle di cui teme che le faranno perdere il suo proprio benessere e anche la sua identità. La gente tende specialmente a essere paurosa e sulla difensiva nella sua vita religiosa, e a soddisfarsi così con la pura ripetizione abituale di verità vecchie. La Stein non è mai caduta in un tale confessionalismo. Il suo esempio ci invita invece ad una spiritualità aperta e legata al nostro ambiente. Questa è la sfida n° 1. 

Appunto alla vigilia della canonizzazione, un nuovo e stimolante libro ci procura una introduzione al suo pensiero filosofico. Si tratta del lavoro postumo di una esperta americana della Stein, Sr. Mary Catherine Baseheart, che porta a proposito il titolo “Person in the World”(4) o “la Persona nel mondo”. Queste quattro parole ospitano o racchiudono una verità profonda su Santa Edith. La Stein sempre si è ingegnata a coniare con maestria delle descrizioni accurate della natura della nostra persona umana, considerandola sempre nella sua relazione con il mondo, nostra casa, casa probabilmente provvisoria (Ebrei 13:13) ma ciò nonostante, la nostra propria casa. Non si vorrebbe astrarsi dagli altri; entrambi, il mondo e la persona umana, vanno insieme nel pensiero della Stein e nella sua spiritualità. Questa digressione sul titolo della Baseheart è molto importante. 

La Stein infatti, sempre coerente con il suo pensiero, ha mantenuto un occhio vigilante sull’evolversi della realtà, precisamente per tenere i insieme persona e mondo ed evitare ogni opposizione artificiale. Ha applicato i suoi doni di osservatrice acuta per tastare il polso degli avvenimenti e ha fatto un ottimo lavoro nello scrutare quello che nostro Signore chiama “i segni dei tempi” (Mt 16:3). Tra le molteplici sfide che lei ci presenta, questo è il principio guida di tutte le altre: mai perdere contatto con il mondo. Mai sottovalutare i contenuti salvifici del piano di Dio per la creazione (cf. Gen 1:31). Scoprirli, stabilire un contatto con il valore dato da Dio agli avvenimenti non è necessariamente facile. Tuttavia, essi sono il teatro dove si svolge il dramma dei disegni di Dio per la nostra felicità e la nostra santificazione. In ragione dell’importanza fondamentale per la comprensione di S. Edith Stein, vorrei parlarne più estesamente. 

Non basta ammirare come lei sia arrivata al discernimento concreto di questi “segni dei tempi” e così abbia potuto rimanere in contatto con essi nelle alterne vicende della storia della salvezza che hanno percorso la sua vita. Le molte delusioni e i molti contrattempi che ha incontrato lungo la sua via giustificavano largamente la sua esclusione dal flusso di vita dove si era trovata o il suo ripiegamento su se stessa: le è stato negato l’impiego per la semplice ragione che era donna, poi le è stato imposto l’abbandono dell’impiego dal regime razzista nazionalsocialista che stava applicando la sua “soluzione finale”. Lei in tutto ciò ha proseguito cercando di osservare e di scoprire il senso nascosto di tutto questo. La sua forte motivazione, che l’ha condotta a rimanere aperta, è descritta in una lettera scritta ad una amica mentre era ancora laica. Questa lettera prova che la Stein è un esempio splendido di questo ammirevole modo di essere che Giovanni Paolo II chiama ” La persona in atto”. 

Il seguente testo arrivò a Sr. Callista Kopf il 12 febbraio 1928: ” “immediatamente prima, e per un bel tempo dopo la mia conversione, ero dell’opinione che per vivere una vita religiosa bisogna rinunciare a tutto quello che è secolare e vivere totalmente immersi nei pensieri divini. Ma progressivamente ho realizzato che ci era richiesto qualche cosa d’altro in questo mondo e questo anche nella vita contemplativa: non si deve rompere la relazione con il mondo. Penso pure che più si è radicati in Dio più si deve “uscire da se stess”, cioè “si deve andare verso il mondo per portarvi la vita divina”(5)

Vari binomi indicano la profondità del suo pensiero: “secolare”divino,” “rottura”connessione,” “entrare dentro”uscire fuori”. Il contesto ci aiuta a capire perché ella descrive i suoi sentimenti in questa maniera completamente paradossale. 

Stava scrivendo ad una suora domenicana insegnante nella sua residenza di Spira, una delle insegnanti e studentesse della Scuola Normale di St. Maddalena. Appena sei anni erano passati dal suo battesimo, che era stato preceduto qualche mese prima, nell’estate del 1921, dalla sua “conversione” alla quale alludeva. 

L’esperienza della sua conversione è stata la lettura lungo la notte dell’Autobiografia di S. Teresa di Gesù, finita con l’esclamazione “Questa è la verità”,(6). Si è sentita immediatamente attratta da una vocazione contemplativa in vista di vivere la vita divina che aveva rotto le difese del suo ateismo (si deve tenere presente che la Stein non è entrata nella Chiesa rinunciando al Giudaismo: aveva abbandonato la pratica della sua fede giudaica anni prima, e ha spesso dichiarato che nell’abbracciare il Cattolicesimo ha riscoperto le ricchezze degli insegnamenti della religione giudaica)(7)

La grande Santa Teresa le ha aperto la porta; lei ha sentito di conseguenza il desiderio di cercare di vivere una vita simile a quella di Teresa. Non pensava, comunque, che il suo anziano ed esperto direttore spirituale, il Canonico Schwind, l’avrebbe convinta a mettere i suoi grandi talenti intellettuali al servizio delle altre donne cattoliche e ad aspettare per qualche tempo ancora prima di entrare nel Carmelo(8). Ora sta dicendo a Sr. Callista che “in questo mondo” non dovremmo mai rompere i legami con il mondo anche se i “pensieri del Divino. . .nella vita contemplativa” sono così ammirevoli e desiderabili. Al contrario, una più grande vicinanza a Dio o una “più profonda intimità con Dio” conduce invariabilmente una persona “fuori di sé” e “verso il mondo nell’intento di portarvi la vita divina”. Non voltiamo lo sguardo lontano dal mondo, non lo schiviamo, né facciamo come se non esistesse. Piuttosto, dalla nostra relazione con Dio attingiamo, per “portare” o diffondere i suoi frutti dovunque possano fare del bene (lei era conosciuta per passare lunghe ore di notte davanti al Tabernacolo nella cappella di St. Maddalena). 

Per me il punto focale di questo passaggio è l’espressione che ha posto a proposito entro virgolette, cioè “uscire da sé stessi”. Sono convinto che ha in mente il termine greco exstasis, carico di sfumature mistiche. Lei ha amplificato la normale connotazione introversa evocata con la parola “estasi”, proseguendo al di là di ogni nozione di delizie visionarie, per creare l’idea di un atto estatico di condivisione. Non rimaniamo pietrificati nella solitudine dove e quando ci sentiamo più sollevati, piuttosto permettiamo a noi stessi di essere spinti per assicurare agli altri che Dio ci ha difatti sollevati. Dio è presente e si interessa a noi. Noi stabiliamo un contatto con gli altri in questa specie di estasi perché Dio vuole che lo facciamo. Il nostro contatto con la Divinità ci spinge a proclamare che “la vita divina” è raggiungibile perché noi, con la nostra esperienza, ne parleremo agli altri. Più avanti nella sua lettera, E. Stein conferma questo mettendo in guardia “…si deve considerarsi come uno strumento, specialmente in merito all’abilità che uno usa. Vogliamo vederla come applicata, non da noi, ma da Dio”(9). . 

Se nel passato “la fuga dal mondo” o fuga mundi era la ricetta sicura per ogni cattolico, che cercasse ardentemente la perfezione di una vita santa, la Stein sta ora dicendo che noi possiamo trovare Dio nel mondo portando Dio al mondo. Adeguate i vostri talenti al popolo e alla situazione, e Dio aiuterà, perché Dio maneggia lo strumento che la sua grazia ha finalmente accordato. La correzione della Stein a quello che era diventato un principio classico di vita religiosa sfugge abilmente ai due pericoli opposti della pura passività, da una parte, e dell’alterigia spirituale dall’altra . 

È un consiglio pratico, poiché evita l’attesa esortazione (scontata per quei tempi) a fare considerazioni celesti di tipo completamente etereo. “Un’altra cosa ci è richiesta in questo mondo”, scrive, e così lasciamo volontariamente il tempo per le delizie eterne al mondo futuro. Il vero luogo per lo scambio spirituale tra gli uomini e Dio è proprio qui. Noi corriamo un grande rischio pensando di trovarlo in una atmosfera raffinata ma sprovvista di situazioni di vita reale. 

La chiesa nel canonizzare Edith Stein ci mostra la direzione di una spiritualità che include nuove forme “cominciando con la gente come è…in forme che possa capire”. Non è nel chiedere alla gente di abbandonare la sua natura a nome di un finto regno più alto che la si raggiunge, così da creare una dicotomia tra lo spirituale e l’ordinario, ma agendo reciprocamente in forme che possa riconoscere perché le trova alla mano. Non è un compito facile ma la Stein non lo avrebbe caldamente raccomandato a meno di non pensarlo possibile. Possiamo renderlo possibile anche nei nostri tempi , condividendo quello che Dio ci ha dato e lasciando Dio gestire la trasmissione. 

La Chiesa di recente ha invitato ad una “nuova evangelizzazione”: questa trova nella Santa Edith Stein la promotrice valida di una visione spirituale che soffia la vita nel cuore di una evangelizzazione, la quale dovrebbe spuntare dalla preghiera contemplativa e trovarvi eventualmente la sua realizzazione, ma che non sacrificherà mai il realismo spirituale. Due settimane dopo l’inizio della II Guerra Mondiale, la Stein ha ribadito il suo consiglio a Sr. Callista Kopf nelle seguenti parole indirizzate alle monache del monastero di Echt nella festa dell’Esaltazione della Santa Croce. Ella ci invita con queste parole ad evitare di girare attorno a noi stessi ma ad andare piuttosto a scoprire i segni di Dio all’opera nei nostri tempi : “stretta a lui attraverso l’osservanza dei santi voti, il suo preziosissimo Sangue diventa tuo, unita a lui, diventi onnipresente come lo è lui. Non sarai limitata ad aiutare qua e là come medico, infermiera, sacerdote, ma attraverso la potenza della Croce puoi essere presente su tutti i fronti, in tutti i luoghi del dolore, dovunque ti porta la tua compassionevole carità, quella carità che attingi dal Cuore divino e che ti rende capace di spargere ovunque il suo preziosissimo Sangue per lenire, salvare, redimere”(10)

2- Compassione per Pellegrini Esitanti 

Le tendenze riguardo allo zelo fondamentalista sulla scena contemporanea porta ad una fredda indifferenza per quelli che soffrono ou che sono nel bisogno. Si è convinti che hanno tutte le possibilità per assicurare la dignità fondamentale del loro proprio clan o gruppo sociale. Non si vuole essere annoiati dalle “afflizioni” nelle quali si trovano gli altri, perché si ha il sentimento di essere sovraccarichi con le sue proprie. Edith Stein ha seguita una via differente, la via della compassione per i compagni di viaggio schiacciati o inquieti. Ci ricorda che dobbiamo esercitare la compassione nei nostri giorni. 

Un testo che lei ha scritto, quattro anni dopo quello del 1928 che abbiamo appena esaminato, esprime il suo interesse e la sua partecipazione ai problemi gravi delle giovani donne che stava istruendo per diventare insegnanti loro stesse(11). Come insegnante di giovani laiche e come laica ella stessa, era molto in armonia con i problemi delle sue studentesse. Molte ore di consulenza a persone perturbate l’hanno condotta a scrivere queste preziose linee che ogni insegnante sarebbe contento di avere: 

“La cosa più importante è che le insegnanti abbiano realmente lo Spirito di Cristo in loro e lo incarnino realmente nella loro vita. Ma è anche loro diritto conoscere la vita che sarà quella dei loro allievi. In altri termini esiste un reale pericolo che le ragazze si dicano: “Le suore non hanno una idea del mondo, non possono prepararci per affrontare delle questioni che noi ora dobbiamo risolvere e allora tutto quello che riceviamo sarà buttato via perché inutile…. Avete un vantaggio di non essere entrati prima nei Movimenti di gioventù. Ciò vuol dire che delle possibilità vi sono aperte che non lo erano per gli altri. La generazione più giovane di oggi ha attraversato varie crisi che non arriva più a capirci. Ma noi dobbiamo cercare di capirla e allora potremmo forse aiutarla”(12)

La Stein ha scritto questa lettera in ottobre di quello che chiamiamo “l’anno del Signore 1932” ma per le giovani donne tedesche di cui parla era uno degli anni “tra le due guerre” allora che la Germania barcollava in avanti e in dietro sotto la pressione dello sconvolgimento sociale e politico che ha solo aumentato alla presa del potere dai Nazi. 

Per utilizzare la frase coniata da W. H. Auden (che stava in Germania press’a poco in quel periodo) per descrivere il nostro secolo, direi che era veramente “un periodo d’angoscia”. Edith stava prendendo la misura propria del materiale greggio dentro la sua classe quando ha proclamato loro la presenza di “problemi che dobbiamo ora risolvere”. Ogni generazione ha le sue mutanti matrici per le sue pene di crescita, solamente gli educatori chiaroveggenti come Edith Stein hanno ambedue la visione e il coraggio per dichiarare candidamente quel che sono. E pure, sotto i mutamenti, le parole di Edith designano bene quel che si chiama ordinariamente “vuoto generazionale”, e lo chiamano così per compassione al riguardo degli alienati che richiedono degli sforzi straordinari per facilitare la comunicazione e prendere le iniziative al loro riguardo. 

Sottolineando, come lo sto facendo, la grande preoccupazione della Stein per le perturbazioni delle sue allieve, è una altra maniera di dire che lei sinceramente a voluto aiutare le giovani persone, inclusi i bambini. L’ultima tappa della sua vita non era una eccezione e lei ha preso cura dei piccoli di una maniera commovente. 

Arrestata il 2 agosto 1942 dalla Gestapo, ella morì una settimana più tardi non molto lontano dalla sua città nativa Breslavia, nel campo di sterminio di Auschwitz. In questa ultima settimana della sua vita, era spinta nella infernale rete della “soluzione finale” di Hitler, visitando così due campi di transito in Olanda, Amersfoort prima, poi Westerbork, il che è stato un oggetto di recente discussione in certi circoli cristiani(13). Hillesum consacra molto spazio nei suoi scritti (pubblicati in modo postumo perché anche lei è stata uccisa dai Nazi) per mettere in rilievo il senso di disperazione che dominava donne e bambini nel campo. Si capisce che i bambini fossero trascurati e un testimone oculare ci informa che Edith Stein ha fatto molto per prenderne cura. Julius Maran, un sopravvissuto, testimonia che: 

“Edith Stein era perfettamente calma e in perfetto auto-controllo che questo la distingueva dagli altri prigionieri” Molte madri erano sull’orlo dell’alienazione mentale e sono rimaste dolenti parecchi giorni, senza poter badare ai loro bimbi. Edith Stein si è immediatamente messa a prendere cura dei più piccoli. Li puliva, li pettinava e cercava di assicurarsi che hanno mangiato e che qualcuno ne prendeva cura”(14) 

Da Westerbork, Edith era capace di mandare un messaggio commovente alle monache nel monastero di Echt: “ci affidiamo alle vostre preghiere. Ci sono qui molte persone bisognose di un po di conforto e lo aspettano dalle suore”(15)

Specializzate in educazione (anche se le suore in Europa sono una referenza a questo proposito), così che Edith non aveva ne medicine a dispensare ne poteva trattare con gli altri detenuti con l’autorevolezza di una infermiera. Aveva solo se stessa da dare: la sua attenzione, il tempo che prendeva sulla sua propria tranquillità, e il suo senso di speranza religiosa. Ha dato tutto quello che aveva perché era perfettamente presente con e agli altri e voleva fare quanto le era possibile per condividere il peso della sofferenza così da allegerirne il fardello. I risultati rasserenanti del suo “conforto” non sono passati inosservati. Il Signor H. Wielek, un impiegato ufficiale olandese che ha parlato con lei in Westerbork, ha lasciato una testimonianza che può servire da epilogo eloquente a quello che lei ha scritto, detto e fatto per arricchire la riserva di buon umore e di compassione di questo povero mondo: 

” l’ho notato: qui c’è qualcuno di grande. 

Durante due giorni, lei ha vissuto in questo inferno, camminando, parlando e pregando ” come una santa. E lo era realmente. Questa è la miglior maniera per descrivere questa donna di età media che ha colpito ciascuno come se fosse giovane, che era così intera, onesta e genuina. 

Ad un certo punto, mi ha detto, “non ho mai conosciuto che la gente possa essere così.. e non ho nessuna idea di come i miei fratelli e sorelle stavano soffrendo.. Io prego per loro continuamente”. 

Poi l’ho vista orientarsi verso il treno pregando con sua Sorella Rosa mentre andava e sorridendo del sorriso di invincibile decisione che l’ha accompagnata fino ad Auschwitz”(16) 

3- La conoscenza amorosa della fede  

Chiunque sia attualmente impegnato nella formazione di seminaristi o di religiosi presto incontra un fatto inquietante: non possiedono i fondamenti della loro fede che i candidati delle generazioni precedenti avevano. Una ulteriore costatazione emerge: se quelli che mostrano questa buona volontà e questo desiderio di servire la Chiesa e diffondere la sua influenza a tutto il mondo bisognoso della Buona Novella sono si ignoranti delle conoscenze basilari. quanto più ignoranti saranno i loro fratelli e sorelle che probabilmente non prendono per niente cura della vita della Chiesa”(17) Un postulante per un tipico ordine religioso nel mio paese ha condiviso, di ritorno a casa, con i suoi confratelli, la sua confusione quando, avendo ricevuto l’ “Ave Maria” come una penitenza in confessionale, ha avuto bisogno di andare a guardare il testo pubblicato di questa preghiera perché non la conosceva a memoria (!). Un bel affare per gli sforzi di trasmettere in eredità il Catechismo della Chiesa Cattolica destinato probabilmente ad aiutare a rimediare a questa situazione soggiacente a questa e altre simili storie. Edith Stein ci invita a operare per correggere una tale deficienza, nonostante e senza dubitare delle buone intenzioni di coloro che ne soffrono. 

a. Il prefazio della Scienza della Croce  

L’ultima sua opera maggiore è stata un commento alla grande opera del grande mistico e collaboratore di Santa Teresa d’Avila nella riforma del Carmelo, San Giovanni della Croce, dichiarato dottore della Chiesa nel 1926 e questo libro era la sua contribuzione per il quarto centenario della sua nascita nel 1942. Sfortunatamente, come la quarta sinfonia di Schubert, è rimasta incompleta per causa del suo arresto dalla Gestapo. Ha fatto la seguente osservazione categorica nella introduzione del manoscritto intitolata “Senso e fondamento della Scienza della Croce”: 

“Esistono dati , rilevabili anche naturalmente, i quali dimostrano che la natura umana nella sua concretezza si trova nello stato di natura decaduta. Tra questi segni possiamo elencare l’incapacità di afferrare le cose – con le facoltà interne – nel loro giusto valore e di dare poi ad esse la giusta risposta. Tale incapacità può essere originata da uno stato di nativa ottusità presa in senso letterale, oppure da un ottundimento verificatosi nel corso della vita, oppure ancora da un’insensibilità verso determinate impressioni troppo frequentemente ripetute. ” L’insensibilità ci è dolorosa soprattutto nel settore religioso. Molti fedeli si sentono tormentati dal fatto che le realtà concernenti l’economia della salvezza non fanno su di essi impressione alcuna (o non ne fanno più nessuna) mentre dovrebbero farla; dal fatto che essi non agiscono più – come dovrebbero – da energia formativa nella loro vita. L’esempio dei Santi dimostra loro come dovrebbero effettivamente stare le cose: dove c’è veramente una fede viva, gli insegnamenti e le “meraviglie” di Dio informano davvero la sostanza della vita, mentre il resto passa in seconda linea e riceve l’impronta da quei fattori”. Non appena l’energia vitale d’un anima santa accoglie in questo modo la verità della fede, questa arriva alla Scienza dei Santi. E quando è il mistero della Croce a darle la sua fisionomia interiore, eccola giunta alla Scienza della Croce(18) 

Questo bello e opportuno passaggio, lo sottolineo, serve bene ad una analisi accurata. Da una situazione sanguinea generalizzata del mondo, la Stein si muove abilmente verso la sfera religiosa. I Cristiani son depressi perché non “reagiscono ai fatti secondo i loro valori veri”. Sfortunatamente, condividono una “mancanza di sensibilità” alla realtà perché mostrano meno di una ” vera vita di fede”. 

Questa valutazione della situazione non è ispirata dal pessimismo. La Stein, scrivendo il suo studio su San Giovanni della Croce durante la seconda guerra mondiale, e la nostra generazione è penosamente consapevole di come la paralisi tra i credenti di fronte alle atrocità di una tale guerra abbia generato altri problemi per noi. Si ha bisogno solo di rileggere la recente dichiarazione del Vaticano ” Noi ricordiamo” sulla Shoah per apprezzare come sia triste che un collasso morale sia avvenuto allora tra i fedeli Cattolici.(19) 

Non è affatto pessimistica la visione delle cose per una altra ragione: nel dare un motivo al perché i cristiani sono depressi, la Stein offre al lettore un antidoto. Lei afferma che se “la dottrina cristiana e la potente azione di Dio (costituissero) il contenuto (l’anima) della loro vita”, essi avrebbero reagito molto differentemente. È stata l’assimilazione da parte di coloro che per la rinascita dal battesimo lasciano sperare di prendere una parte attiva nella Chiesa, la quale li ha generati per la vita eterna, che è mancata. 

In fatti, la Stein utilizza la parola “assimilare” due volte, ed è qui il nodo della questione e la sua sfida. Vorrebbe interpellare la Chiesa di oggi affinché prenda le vie più efficienti dell’assimilazione delle ricchezze della fede. Come pedagoga alerte, l’anziana Signorina Dottore, che in quanto Sant’Edith darà più credibilità ad un apostolato intellettuale tra i cattolici, ci richiama alla mente che i metodi catechetici effettivi e la diffusione sono essenziali per una partecipazione vibrante dei Cattolici in tutte le dimensioni della vita, siano esse connesse direttamente con la loro Chiesa o incontrate nel cuore della vita secolare. Ma se i fedeli muoiono di fame di una comprensione degli insegnamenti trasmessi loro da Cristo e dal suo insegnamento (predicazione) della Buona Novella di Salvezza, il mondo perderà quello che una cristianità propriamente vivente può dare. In maniera parallela, la Stein ci dice che le riserve di santità nel nostro mondo diminuiranno pure: non ci sarà una Scienza della Croce all’opera perché quelli che sono chiamati alla santità potranno appena inserirla nella “forma interiore” che lei vorrebbe tirare fuori dalle “verità della fede”. Il blocco di cui soffrono e la perdita di contatto con i valori del Vangelo inibiranno la loro crescita. In questa connessione, è molto utile indagare dentro la vita di un vera santa dei nostri tempi, la Stein, per vedere certe delle vie con le quali ha cercato di prendere una seria conoscenza della fede e di trasmetterne la conoscenza profonda ai suoi contemporanei. 

b. Come, in altre parole, la Stein avrebbe investigato il processo di approfondimento della sua fede, o come lei ha investigato le valide spiegazioni della proclamazione della salvezza offerta dalla Chiesa”  

Una risposta a questa domanda sarebbe del tutto interessante per il fatto che lei è diventata cattolica abbandonando la sua visione atea del mondo. Mettiamo un’altra ragione, lei a sempre considerato l’assimilazione della fede un elemento prezioso della sua vita. 

Essendo una persona che insiste sulla conoscenza con il miglior esempio i un particolare campo del sapere, è ritornata al sistema di riflessione più popolarmente acclamato dai cattolici, cioè il tomismo. Ha tradotto una importante opera di San Tommaso in tedesco, le “Questioni sulla verità” e ciò facendo, lei ha trasmesso in un linguaggio accurato il genio dell’insegnamento medioevale in un tedesco contemporaneo. Ma non si è fermata qui. Ha cercato a costruire ponti tra il tomismo, allora l’espressione dominante nel cattolicesimo della filosofia perenne, e la fenomenologia come la tendenza più incisiva nel pensiero filosofico moderno(20)

Il suo secondo posto d’insegnamento, giusto prima di entrare in monastero, era a Münster, nell’Instituto Cattolico di Pedagogia Scientifica. Lì ha cercato la sua ispirazione nei maggiori esponenti della tradizione, leggendo i Padri della Chiesa. Ha cominciato a tradurre le opere di San Giovanni Crisostomo, l’Educazione dei Bambini, dall’originale greco, con l’aiuto di un eminente patrologo, P. John Quasten (più tardi professore all’Università Cattolica d’America a Washington)(21). Ciò facendo, ha tirato fuori le idee di importanza per la catechesi, che avrebbero potuto aiutarla per formare i futuri insegnanti che istruiva. 

Un punto finale: non fu la vita monastica ad impedirle di dare lezioni per la crescita nella conoscenza della fede. Nei primi anni nel monastero di Cologna, ella ha scritto piccoli articoli su delle persone spiritualmente rilevanti o su temi della storia carmelitana e li ha pubblicati in varie pubblicazioni tedesche, non tutte necessariamente cattoliche(22). Un certo studio è apparso in un supplemento domenicale di un giornale di Augsbourg(23). Quello che ha manifestato, è che non vorrebbe lamentarsi della povera conoscenza di fede degli altri ma ha tentato di compensarne le deficienze. Si può sperare che i cattolici di oggi siano così alerti nel rimediare alla fiacca conoscenza e alla valutazione della loro fede. 

4- Rispetto per le Ricchezze dello Spirito
in coloro che cercano Dio con “cuore sincero”
 

Un nuovo libro nelle pubblicazioni dell’ICS, che sta per uscire nella serie “Carmelite Studies”, causerà forse uno scompiglio tra i lettori di lingua inglese. Si tratta di un insieme di saggi scritti da giudei e da cristiani su Edith Stein(24). Il titolo del volume è “Mai dimenticare” ed è stato pubblicato originalmente in Germania sotto il titolo “Erinnere dich – Vergiss es nicht” (1990). Uno dei testi discussi è la relazione di Edith Stein al suo popolo e alla sua religione Per la stessa Stein, non c’era una radicale incompatibilità tra l’essere cristiano e l’essere giudeo. La sua maniera basilare di spiegarlo si è espressa nelle parole indirizzate a sua madre: ha detto che era una pia madre giudea. Adesso che è cattolica, apprezza molto, come non lo fu mai prima, gli elementi che producono la grazia, offerti dal giudaismo. Solo è stata la Croce di Cristo che ha aperto la porta agli slanci della grazia. 

La mia scelta della spiegazione a sua madre non è ne casuale ne opportunista. La maniera con la quale Edith era in relazione con la sua madre è paradigmatica della sua relazione alla sua prima religione(25). Sua madre era un alter ego per lei in tante maniere, non solo quando cresceva ma in tutte le fasi della sua vita. Si potrebbe bene applicare, riguardo alle due donne Stein, il vecchio detto: “la mela non cade lontano dall’albero” . Tenacia, devozione e onestà erano i tre valori preziosi che Edith riceve dalla Augusta Courant Stein. Perciò la sua attitudine alla morte della sua madre chiarisce estremamente bene per noi il rispetto della Stein alla via con la quale Dio opera nelle altre religioni. Il rispetto per le tracce della presenza di Dio al di là delle frontiere del proprio sistema di fede è una altra sfida che Edith fa ai cattolici. 

Complessivamente, la Stein ha menzionato la morte di su madre il 14 settembre 1936 in nove lettere, l’ultima delle quali essendo stata mandata il 17 febbraio 1939. Ogni lettera mostra Edith ammirando la fede di Auguste e i frutti della su vita con Dio. Un estratto o due basteranno per mostrare come la monaca carmelitana, già insegnante di giovani cattoliche, rivendicasse la capacità del vivere la fede giudea a trasformare coloro che praticano le sue esigenze. Anche se Edith non stava scrivendo un trattato sopra la sua madre, si nota un certo crescendo nelle sue osservazioni occasionali, scritte durante il periodo due anni che inizia alla sua morte che ebbe luogo nella festa cristiana delle’Esaltazione della Santa Croce. 

È nella lettera del 3 ottobre 1936, a M. Petra Brüning, la prima menzione della morte di sua madre: ci fa referenza alla maniera, e cito, con la quale “…Dio l’ha presa da lui rapidamente”(26). Così sua madre è stata chiamata da Dio, ma c’è anche di più. Il giorno in cui la lettera è scritta era il compleanno di Auguste C. Stein. Sua figlia continua affermando in modo incisivo: “… oggi lei celebra il suo 87 anniversario con la cara nostra Santa Thérèse”(27). Molto significativo, “Sr. Thérèse” non è altro che l’ultimo Dottore della Chiesa, Sainte Thérèse de Lisieux , la cui festa era celebrata nel calendario della Chiesa il 3 ottobre negli anni 30. La Stein pone la sua madre in cielo in compagnia di una santa canonizzata; nessuna reticenza da parte sua riguardo il santo destino dei suoi parenti giudei. 

L’altra lettera è forse più significativa perché allude alla ragione per la quale la Stein ha il sentimento che la sua madre è andata in cielo. Scrivendo il 4 ottobre 1936 a Sr. Callista Kopf, ella spazza via ogni possibilità che sua madre sia stata convertita al cristianesimo in queste parole: 

“La notizia della sua conversione è una voce completamente infondata, non so chi possa averla fatta circolare. Mia madre è rimasta fino all’ultimo fedele alla sua fede. Ma dato che questa sua fede e il completo abbandono nel suo Dio l’hanno accompagnata dall’infanzia fino all’87esimo anno di età e sono rimasti accesi in lei fino all’ultimo, anche mentre lottava con la morte, sono convinta che abbia trovato un giudice molto generoso ed ora aiuterà anche me ad arrivare alla meta””(28)

È perché era stata sempre fedele e vera, al riguardo della sua propria fede nel suo Dio, che la Signora Stein ha trovato un giudice “molto misericordioso” alla fine dei suoi giorni. La fedeltà alla fede dei suoi antenati l’ha segnata e ha incoronato la sua perseveranza anche malgrado questa “agonia” finale causata da un tumore allo stomaco. Riferendosi alla fiducia che sua madre aveva nel Signore, la Stein nota che è stata “la sua grande fiducia in Dio..”. Forse la Stein stava riecheggiando l’espressione che aveva utilizzata in una lettera anteriore, nell’ultimo giorno di vita di sua madre, aspettando allora la sua fine: “ha veramente amato il suo Dio (come speso diceva con vigore). E per questa fede ha sopportato molte dure prove e ha fatto molto del bene”(29)

La cosa importante che conferma il senso di religioso rispetto di Edith non è talmente la presenza delle buone azioni di sua madre (che indica nella seconda parte della sua frase) ma che sua madre continuava ad insistere sulla validità della devozione al Dio di Israele, suo Dio e non il Dio che Edith ha abbracciato più tardi. Malgrado la differenza che sua madre voleva sottolineare, Edith stima la sua devozione tenace e non avrebbe infine mai pensato criticarla. 

Edith comunque va oltre accettando l’efficacia della devozione giudaica di sua madre; ha attribuito in lettere ulteriori dei poteri di intercessione alla Signora Stein. Nella lettera del 21 ottobre 1938 a Hedwig Dülberg, ha commentato la dipartita triste del suo fratello maggiore dalla Germania in questi termini: 

“”il 14.10 è stato qui mio fratello a salutarmi prima di partire per l’America. Il giorno dei morti, ricorderemo entrambe le nostre mamme. Questo pensiero mi è di grande consolazione. Credo fermamente che mia madre adesso abbia il potere di aiutare i suoi figli in pericolo”(30)

C’è un miscuglio altamente provocativo di devozioni religiose in questo passaggio: mentre Edith paga il tributo al vero affidamento cattolico sulla preghiera per i morti in legame con il due novembre, giorno di tutti i morti, e allo stesso tempo crede che l’intercedere della sua madre sarà più meritevole allora, lei va avanti esponendo la sua “ferma convinzione” che sua madre è in una posizione nell’altro mondo, che le permette di aiutare attualmente i suoi figli nelle loro attuali sofferenze per la rottura della famiglia a causa della persecuzione antisemitico- nazista. Una volta ancora, Edith la carmelitana che offrirebbe volentieri una intercessione fervente per le “intenzioni” raccomandate alle sue preghiere, si vede assegnare lo stesso ruolo a sua madre davanti al Signore. Si potrebbe con pena adottare una comprensione dell’atteggiamento della Stein riguardo alla religione, praticata con zelo dalla Signora Stein. Sicuramente, questo non significa che Edith ha voluto cambiare fede, no, lei è rimasta fedele per lunghi anni alle credenze che ha formalmente abbracciate nel battesimo il primo gennaio dell’anno 1922. Ma la maniera con la quale ha riconosciuto il potere trasformante della fede giudaica per i devoti giudei, come la sua madre (che non era neanche ortodossa, ricordiamolo), conduce me a concludere che lei avrebbe voluto che noi mostrassimo un simile rispetto per l’efficacia della legge giudaica. 

Le osservazioni su sua madre proiettano molta luce. Devono essere ritenute quando si procede a fare l’esegesi di certe “parole forti” , se le devo chiamare così, della Stein sulla religione giudaica. Sulla bilancia (e qualcuno dovrà un giorno fare uno studio ben bilanciato su questo), lei ha adottato una “illuminata” posizione riguardo le relazioni inter-religiose tra i giudei e i Cattolici. Come convertita, lei spesso suscita sentimenti aspri, aggressivi. Ma una profonda conoscenza dell'”ecumenismo spirituale” che lei ha praticato dissiperebbe une reazione emozionale forte quando il suo nome viene menzionato(31). Una conclusione seguente viene da quello che ha scritto sul secondo adulto più caro influente nella sua vita, cioè il suo caro “Maestro” Edmund Husserl. Mentre il fondatore protestante della fenomenologia stava morendo, lei scriveva una lettera alla sua sorella fenomenologa Adelgundis Jaegerschmid che conteneva questi pensieri orientativi per il futuro: 

“Non sono affatto preoccupata per il mio caro Maestro. È stato sempre lontano da me il pensare che la misericordia di Dio si permetta di essere circoscritta ai limiti visibili della Chiesa. Dio è la verità. Chi cerca la verità, cerca Dio, che ne sia cosciente o no”(32)

5- Vita Devota integrata  

Alla sera di questo secolo, la Chiesa cattolica sta vivendo in certe nazioni una situazione stressante nei gruppi che prendono posizioni divergenti sul contenuto e il prezzo del rinnovamento. Anche se il Vaticano II rimane il punto di referenza e il ricco dispiegamento del movimento verso una vita rivitalizzata della Chiesa, gode già di “cattiva fama” in vari ambienti, perché certi preferiscono ritornare a delle pratiche che furono predominanti prima di questo grande avvenimento ecclesiale del nostro secolo(33). Charles E. Miller, nel suo “Conservatism, not Regression, in Liturgy,” America 179 (4-11 July 1998), 14-16 ovvero “Conservatismo, non Regressione in Liturgia” prudentemente suggerisce che “in modo speciale in materia liturgica dobbiamo conservare il meglio della nostra tradizione, incluso anche il cambiamento” (Il corsivo è nostro). Il Fondatore americano di un nuovo gruppo di religiosi, che ha stabilito nella tradizione francescana dopo aver lasciato i Cappuccini, ha scritto un libro che è sintomatico di un desiderio di rallentare il movimento, intitolandolo La Riforma del Rinnovamento(34). Questo contiene un avviso dell’autore che è tempo che i promotori di nuove vie nella Chiesa si ravvisino e smettano pure di abbracciare nuovi rinnovamenti. La liturgia instaurata per espresse direttive del Concilio e degli organismi vaticani in applicazione dei decreti conciliari non sfugge alla censura di coloro che sognano della serenità dei tempi antichi. Con i sogni dell’ “aurea età” della pratica liturgica (qualche cosa che non è mai esistito realmente, in tutti modi, ma questo non è concesso), non vogliono altri cambiamenti nella pratica liturgica e perfino flirtano con le tentazioni di restaurare dei rituali abbandonati (di cui non ha mai goduto lo statuto delle anziane tradizioni; in tutti i modi, anche questo non sarà ammesso). In questa area di mistagogia e di pietà liturgica si può trovare la via per andare avanti portando ai cattolici la quinta sfida di Edith Stein. 

L’anno 1937 ha segnato a un punto centrale nella maturazione della vocazione della Stein come monaca cattolica contemplativa. Era entrata nel Carmelo verso la fine del 1933 e morirà nell’estate del 1942 ad Auschwitz. Come già indicato, stava approfondendo la spiritualità carmelitana e formando se stessa nella struttura della vita monastica(35). Ciò non significa, come qualcuno può temere, che stava perdendo contatto con la vita ordinaria della Chiesa attorno a sé. Proprio al contrario, è rimasta femminilmente in tono con il flusso e il riflusso degli avvenimenti e ugualmente nel mostrare il suo disaccordo quando occorreva. 

Uno di questi interessava la liturgia, la “preghiera della Chiesa” che ha trovata così importante e così nutriente per la sua vita spirituale. Senza entrare in tanti dettagli, la situazione può essere riassunta come segue: un disaccordo sui parametri della propria bilancia tra la pietà liturgica e la pietà individuale era in atto sin dalla metà degli anni trenta, prima di tutto in Germania. Certi hanno sentito che la liturgia rinnovata era abbastanza congrua con le fonti di ispirazione da allontanare le pratiche devozionali degli ultimi tempi. Ma coloro cha hanno favorito queste ultime si sono opposti alla parte liturgica e l”hanno qualificata di “esternalista” e “attivista” con gravi conseguenze per il progresso spirituale individuale. Una soluzione suggerendo la coesistenza tra i due, cioè tra la partecipazione rituale e l’interiorità, sarebbe stata la risposta ovvia, ma quando le controversie si orientano verso un punto chiaro tendono ad incoraggiare le formulazioni estremiste che allargano la rottura(36)

Edith ha conosciuto bene la mentalità dei liturgisti: ha avuto frequenti contatti con l’Arciabbate del famoso monastero benedettino nella Foresta Nera, l’Abbazia di Beuron, e ha praticato lì durante le vacanze scolastiche. D’altra parte, ma non in opposizione alla visione benedettina del culto comune, ha pure scelto di raggiungere le Carmelitane, un ordine conosciuto per la sua promozione del silenzio, della preghiera contemplativa con uno stile austero di devozione(37)

Ha deciso di offrire idee dalla sua propria esperienza per ridurre la crescente tensione in quel tempo. Il risultato era un piccolo saggio intitolato La Preghiera della Chiesa, pubblicato nel 1937 in un libro che presentava altri saggi studiando certi dei fattori coinvolti nel crescente dibattito in Germania. La sua riflessione era un chiaro tentativo di rompere la bilancia, e il passaggio seguente mostra quanto avesse riuscito ciò facendo: 

“” i monaci “loro immagini viventi” circondano l’altare del sacrificio e fanno in modo che la lode di Dio continui sempre sulla terra come nel cielo. Le preghiere solenni di essi, portavoci designati dalla Chiesa, recitano, accompagnano il santo Sacrificio, circondano, avvolgono, santificano tutto il lavoro della giornata così che dalla preghiera dal lavoro nasca un solo opus Dei , una sola liturgia”(38)

Come in altri passaggi significativi delle opere della Stein, la terminologia esatta che adotta dà delle chiavi preziose per la comprensione. Tre punti basteranno per mettere in rilievo il punto di vista creativo e utile. 

Menziona due assi maggiori del culto pubblico, precisamente, l’eucarestia e la liturgia delle Ore. Sono descritte in termini non-prammatici, così che la Stein evita quello che viene qualche volta chiamato il modello “stazione servizio” di liturgia, o la subordinazione del culto ai sentimenti morali che produce dopo che il tempo del culto è passato: notare la parola “la lode di Dio” e “portavoci designati della Chiesa”. I monaci sono dotati per vocazione di un santo ozio (otium sacrum) che permette più tempo e così sarà più facile per loro di imbellire la lode con le cadenze piacevoli dei loro canti. In più, tutta la liturgia, dovunque venga celebrata, necessita di centrare la lode gratuita di Dio. La Stein ce lo ricorda. Il suo testo ci porta lontano, tutti insieme. Poi lega la preghiera dei monaci alle attività esterne alla area della Lode perché queste preghiere sono anche una energia liberatrice per la il lavoro giornaliero (strutturano). La nostra fede vede la differenza tra le attività cultuali e le attività non-cultuali ma non un vuoto. I benedettini stessi hanno come motto: “Ora et labora”. Lo stesso vale per le differenze tra gli atti di culto e gli atti di pietà degli individui o dei piccoli gruppi di preghiera: devono prendere posto secondo i vari ritmi , ma non implicano la scelta di uno più l’altro, o certamente non uno contro l’altro. 

Terzo, la Stein afferma qui che esiste una nozione unificatrice comprendendo ambedue il culto e gli atti non-cultuali: preghiera e lavoro, scrive, diventano “un solo Opus Dei”, una “sola liturgia”. Una volta che radichi la tua preghiera personale nella messa e nella preghiera delle Ore, una volta che infondi il tuo lavoro quotidiano con loro due, noterai che il tuo lavoro sta acquistando uno spirito di servizio di Dio (opus Dei). Per estensione orienti il tuo lavoro verso la lode di Dio nella Messa e nelle Ore, il tuo lavoro diventa “liturgia” le cui radici significano , dopo tutto, “lavoro per il popolo.” Sembra che Stein cerchi di gettare un ponte sul vuoto tra il culto e il lavoro in se stessi, finché il vuoto che si stava allargando tra gli entusiasti della liturgia e il popolo della pietà. Nei nostri giorni guadagneremmo se adottassimo il suo punto di vista in modo ce il nostro culto possa scorrere facilmente nelle nostre occupazioni quotidiane e il compimento di questi impegni possa diventare un atto di culto. Ciò richiede vigilanza nel nostro sovra-occupato mondo nostro, così pieno di tentazioni da deviare da ogni forma di attività divina, ma la Stein ci assicura la sua sfida è accettare il meglio. Non c’è spiritualità cristiana che possa sopravvivere senza l’integrazione della liturgia e della devozione che il suo punto di vista ha promosso. 


Conclusione 

Le “sfide” già menzionate non sono assolutamente i soli inviti che riceviamo da Edith Stein/Teresa Benedicta. La mia scelta è indubbiamente soggettiva e influenzata dalla mia propria percezione della vita della Chiesa. Ossia none escludono altre sfide. 

Mi è sembrato, anche, che le altre aree importanti del suo pensiero che si applicano alla situazione odierna saranno trattati da altri conferenzieri di questo programma dell’attuale Simposio Internazionale qui in Roma. Gli argomenti affrontati, come, l’uomo – la donna , i contatti tra la filosofia e la teologia, l’empatia e la fede, l’esperienza religiosa sono molto importanti. Potrebbero anche a loro aggiungersi altri come la cura di bambini in ambedue i paesi sviluppati e in via di sviluppo; diritti e obblighi personali e collettivi, pace e violenza, vita co-responsabile in società, specialmente di fronte ad un stolto consumismo diffondendosi rapidamente; il ruolo della Chiesa nella protezione dei perseguitati. 

Si può sperare che l’attenzione intensa suscitata dalla canonizzazione della santità della “intelligente Edith” attirerà sempre di più dei pensatori per mettere in rilievo il suo pensiero in vista di nuovi messaggi di speranza per i nostri contemporanei. Sarebbe molto occupata nel fare questo se lei fosse ancora con noi e la sua naturale tendenza di affrontare la realtà come una persona molto umana, come lo ha fatto nella sua ricerca della verità, guiderà altri a seguire i suoi passi. 

Nell’esprimere il mio apprezzamento per l’opportunità di raggiungere questo distinto ceto dei relatori di questo Congresso pregando Sant’Edith Stein, vorrei ringraziare, in qualche modo, la Stein stessa di appartenere al nostro Ordine e di averci dato l’occasione di sentirci così orgogliosi di lei come monaca carmelitana scalza. Siamo, veramente, in grande compagnia. 

Rev. Dr. John Sulllivan, OCD 

 1. 1 Cf. Maria Adele Herrmann, Die Speyrerer Jahre von Edith Stein: Aufzeichnungen zu ihrem 100. Geburtstag, Speyer: Pilger Verlag, 1990, pp 212.
2. 2 Cf. Ambrosius Eszer, in Congregazione per le Cause dei Santi, Positio Super Martyrio et Super Virtutibus, Roma 1986.
3. 3 Giovanni Paolo II, “Omelia di Giovanni Paolo II per la beatificazione” [di Edith Stein], in Edith Stein. Beata Teresa Benedetta della Croce, vita-dottrina-testi inediti a cura di E. Ancilli, ed. OCD Roma 1987, 192.
4. 4 Mary C. Baseheart, Person in the World: Introduction to the Philosophy of Edith Stein, Dordrecht/Boston/London: Kluwer Academic Publishers, 1997, pp 300. “Contributions to Phenomenology”, 27.
5. 5 Lettera 45. L”autore cita qui l”edizione inglese: Self-portrait in Letters, 1916-1942, tr. Josephine Koeppel, ocd Washington: ICS Publications, 1993, p. 54. Vol. 5 “The Collected Works of Edith Stein” . Il testo italiano di questa lettera, non essendo stata tradotta nella raccolta intitolata “La scelta di Dio. Lettere 1917-1942, Città Nuova Editrice, Roma 1973″, è del traduttore.
6. 6 Cf. Teresia Renata Posselt, ocd, Edith Stein, tr. ad opera della Carmelitane Scalze di Arezzo, Morcelliana, Brescia 1959, p. 130. Edith Stein scrisse nella sua relazione “Come giunsi al Carmelo di Colonia” che la decisiva lettura notturna a Bergzabern “aveva posto improvvisamente fine alla mia lunga ricerca della verità”, p. 197.
7. 7 Vedere il commento del Papa il giorno della sua beatificazione: “Ricevere il battesimo non significò in alcun modo per Edith Stein rompere con il popolo ebraico. Al contrario ella afferma: “Quando ero una ragazza di quattordici anni smisi di praticare la religione ebraica e per prima cosa, dopo il mio ritorno a Dio, mi sono sentita ebrea”, in Omelia di Giovanni Paolo II per la beatificazione, in op.cit, p. 195.
8. 8 Cf. Joachim Feldes, “Edith Stein und ihr Seelenführer Joseph Schwind”, Edith Stein und Schifferstadt, Schifferstadt: Stadtsparkasse Schifferstadt, 1998, pp. 9-24
9. 9 Cf. nota n 5.
10. 10 Edith Stein, “L”Esaltazione della croce 14.9.1939”, in Edith Stein. Vita, antologia, preghiere, in Giovanna della Croce, Edith Stein. Vita, antologia, preghiere, ed. OCD, Roma 1991, p. 284.
11. 11 Excursus biografico: Dovuto alla discriminazione contro le donne nelle università tedesca all”inizio di questo secolo, era incapace di ricevere la nomina di insegnante proporzionato al risultato accademico di summa cum laude della tesi diretta da Husserl. È stata, per un tempo, al servizio di Husserl come sua assistente, ma le è stato negato il diritto di un incarico in una facoltà. La sua conversione al cattolicesimo nel 1921 le ha ispirato il progetto di formare i cuori e le menti delle giovani donne: è diventata professoressa al collegio per insegnanti gestito dalle suore Domenicane di santa Maddalena a Speyer. Cf. B. H. Reifenrath, Erziehung im Licht des Ewigen: Die Pädagogik Edith Steins (Frankfurt: 1985).
12. 12 Lettera del 20.10.1932, in op.cit., pp. 66-67.
13. 13 Etty Hillesum, Letters from Westerbork tr. Arthur J. Pomerans (New York: Pantheon Books, 1986), specialmente pp. 28-30 dove lei nota l”arrivo degli “Ebrei cattolici o Cattolici Ebrei” e descrive alcuni religiosi tra loro.
14. 14 Waltraud Herbstrith, Edith Stein, A Biography, tr. Bernard Bonowitz (New York: Harper and Row, 1985), p. 105.
15. 15 Lettera del 6.4.1942 (ma la vera data è il 6.8.1942), in op.cit., pp. 156-157.
16. 16 W. Herbstrith, op.cit., pp. 107-108.
17. 17 Cf. Avery Dulles, “Orthodoxy and Social Change”, America 178 (20-27 June 1998), pp. 8-17.
18. 18 Edith Stein, Scientia Crucis. Studio su S. Giovanni della Croce, ed. Àncora, Milano 1960, pp. 24-25.
19. 19 Commissione Per I Rapporti Religiosi Con L”Ebraismo, Noi ricordiamo: una riflessione sulla Shoah, in Documenti Santa Sede (n 50), ed. EDB, Bologna 1998. Cf. pure Victoria Barnett, Part III “Resistance and Guilt”, For the Soul of the People: Protestant Protest Against Hitler (New York/Oxford: Oxford Univ. Press, 1992), pp. 197-235.
20. 20 Cf. Ralph McInerny, “Edith Stein and Thomism”, Carmelite Studies 4 (1987), 74-87.
21. 21 Cf. John Sullivan, “Liturgical Creativity from Edith Stein”, Teresianum 49 (1998,1), 182-3.
22. 22 Cf. M. Amata Neyer, “Verzeichnis der von Edith Stein in Köln und Echt verfaßten Schriften”, in Edith Stein, Wie ich in den Kölner Karmel kam mit Erläuterungen und Ergänzungen von Maria Amata Neyer (Würzburg: Echter Verlag, 1994), pp. 139-140.
23. 23 Sr. Teresia Benedicta a Cruce, “Über Geschichte und Geist des Karmels”, Zu neuen Ufern, Sonntagsbeilage der Augsburger Postzeitung (n. 13, 31 März 1935).
24. 24 Cf. Never Forget: Christian and Jewish Perspectives on Edith Stein, tr. Susanne Batzdorff, ed. Steven Payne ocd (Washington, D.C.: ICS Publications, 1998). xvi + 304pp. Carmelite Studies, 7.
25. 25 Vedere le parole profetiche di John Donohue, “Edith Stein’s Early Years”, America 151 (1987), 9:
“Se Edith venisse beatificata, il suo ritratto di Auguste Courant dovrebbe, per una ironia tenera e divina, figurare per primo nella galeria dei ritratti, delle loro madri, dipinti dai Santi. È più completo e più memorabile dell”immagine di Monica nelle Confessioni di S. Agostino e di Zélie Martin nella Stroria di un”anima di Santa Teresa di Lisieux”.
26. 26 Lettera del 3.10.1936, in op.cit., p. 110.
27. 27 Ibid.
28. 28 Lettera del 4.10.1936, in op.cit., pp. 110-111.
29. 29 Lettera del 13.9.1936, in op.cit., p. 108.
30. 30 Lettera del 31.10.1938, in op.cit., p. 131.
31. 31 Cf. Harry J. Cargas ed., The Unnecessary Problem of Edith Stein (Lanham, NY/London: University Press of America, 1994). xii + 85pp. “Studies in the Shoah”, 4.
32. 32 Lettera del 23.3.1938, in op.cit., p. 124.
33. 33 Charles E. Miller, “Conservatism, not Regression, in Liturgy”, America 179 (4-11 July), 14-16 dove il grande titolo suggerisce che “specialmente nelle cose liturgiche dobbiamo conservare il meglio della nostra tradizione, incluso il cambiamento” (Il corsivo è mio).
34. 34 Cf. Benedict Groeschel, The Reform of Renewal (San Francisco: Ignatius Press, 1990), 227pp.; and Annabel Miller, “Special Report: The Pain of Renewal,” The Tablet (13 June 1998), 793.
35. 35 Cf. nota n 22.
36. 36 Un aiuto autorevole, per risolvere (e riordinare) le divergenze e portare una più profonda unità, verrà più tardi nel 1947 al livello della Chiesa Universale: cf. Pius XII, Mediator Dei.
37. 37 Cf. Josephine Koeppel ocd, Edith Stein, Philosopher and Mystic (Collegeville, MN: Michael Glazier Book, Liturgical Press, 1990), cc. 12-18, “The Way of the Christian Mystics,” 12 dove questa osservante gelosa della vita claustrale carmelitana illustra come Stein partecipava alla vita comunitaria; mentre la più recente tesi dottorale rielaborata (Romana) di Francisco J. Sancho Fermin ocd, Edith Stein Modelo y Maestra de Espiritualidad, en la Escuela del Carmelo Teresiano (Burgos: Ed. Monte Carmelo, 1998), pp 89-96 si occupa dell”argomento delle “Devociones”.
38. 38 Edith Stein, La Preghiera della Chiesa, in Sui sentieri della verità. Antologia, a cura del Carmelo di Milano, ed. Paoline, Torino 1991, p. 220. 

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