Notte di Pasqua

La notte è sempre stato un tempo propizio per la veglia, per la concentrazione nella preghiera e nella riflessione. In assoluto contrasto con il popolo della notte o dei bagordi o con coloro spendono le ore più silenziose e più affascinanti delle nostre giornate intenti a chattare o a navigare. La coscienza vigile, di chi è cosciente di essere creatura di Dio e da Lui amata, anela a queste pause dense di silenzio che raccolgono e magnetizzano; il contesto monastico non è tale se questi tempi non vengono rispettati, custoditi ed amati.

Chi vive nel Carmelo e sul Carmelo sa bene che la nostra antica tradizione eremitica è imprescindibile, segno permanente ne è la cella. In un perimetro molto limitato l’eremita si dilata a dismisura, ne rompe le pareti e, da un punto minimo e circoscritto, giunge dovunque e da tutti può essere raggiunto, proprio perché la sua esistenza è data, consumata.

Si sta avvicinando la grande notte, quella che vedrà in veglia tutti i cristiani; la notte che da origine a tutte le altre notti: la notte che visto squarciare le sue tenebre dalla Luce del Risorto. Saremo tutti richiamati dallo Spirito a sostare, a fermarci, a contemplare il pane della Scrittura che scandirà la prima parte della Veglia. Al buio, avvolti dalle tenebre, attenderemo che si accenda la prima luce e proclami con la sua fisicità e innegabilità, il grande mistero di un morto che, se è morto, tuttavia ha già raggiunto quella dimensione che attende anche noi: Gesù Cristo ormai giunto presso il Padre.

Israele, il popolo di Dio, viene liberato dalla sua schiavitù e può uscire dall’Egitto con tutte le famiglie e carico di beni. Non per virtù o forza propria: è la mano e il braccio di Dio che ha compiuto tutto questo […]. Ognuno deve sentire e credere se stesso protagonista, nel punto del globo in cui si trova, di questo evento eccezionale e rispondervi con tutta la propria coscienza. Ognuno deve entrare nella acque e constatare che queste si fendono e lo lasciano passare. Il canto della libertà deve tornare sul labbro e dilatarsi: Dio ci ha liberati.

La progressione delle letture ci conduce su di un itinerario pedagogico che noi mai avremmo potuto immaginare o creare: è Dio stesso che ci prende per mano e ci assicura che, se lo seguiamo, giungeremo proprio là, dove Egli ci attende. Saremo con Lui nella sala dove il Maestro si dimostrò schiavo e si prostrò davanti a ciascuno, compiendo, nel mezzo della cena e non al suo inizio, quel servizio che nessun uomo libero mai avrebbe compiuto.
Saremo capaci di cantare il Hallel al Padre, accettare che alberghi dentro di noi quel lato oscuro che si chiama Giuda?

In questo momento del tempo così solenne, che diventa asse della storia, perché il Pesach ebraico fiorisce, per i cristiani, nella mensa in cui Gesù Cristo ci lascia Se stesso, presente, per sempre, la nostra attenzione è tutta raccolta e si lascia impregnare da un profumo che dobbiamo imparare a conoscere? Il profumo di un pezzo di Pane sempre fragrante, inerme ma la cui potenzialità di trasfigurazione conosce solo chi lo abbia gustato.

Saremo con Lui nell’Orto degli Ulivi, per Edith Stein il grande momento decisivo per la storia dell’uomo e dell’umanità. La nostra coscienza sarà vigile, gli sarà vicina e compagna nella scelta per l’attuazione della volontà del Padre più che per quella attuazione del nostro progetto che, sempre, ci rode interiormente?

La derisione cui Gesù è sottoposto pesa sulla nostra coscienza, tanto da indurci a divenire persone del tutto integre, del tutto rispondenti all’Unico Amore? Gli interrogativi potrebbero moltiplicarsi e mi sembrano essenziali, perché è noto che sono proprio questi che costruiscono la coscienza e la persona, non tanto le affermazioni che, troppo spesso, sono solo sterili declamazioni. Ci sarà alla fine un unico interrogativo, quello lanciato da Gesù stesso, inchiodato sull’infame Legno; se questo non ci trapasserà e non ci porterà a Lui, non sarà perché siamo talmente adusi al clima pasquale che la sua novità per noi è evaporata e si è sprecata in mille rivoli estranei?

Una cosa è certa: noi siamo convocati, siamo portati, dobbiamo avere il coraggio dei nostri grande antenati nella Salita del Monte Carmelo: Teresa di Gesù ci diceva “Guardate il Crocifisso e tutto vi parrà facile”. Giovanni della Croce ci indicava una sola parola “Nada” che diventa il grande cammino luminoso per poter guardare in Volto il Risorto al mattino di Pasqua.

 

C. Dobner
Carmelitane Scalze
Monastero S. Maria del Monte Carmelo

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