Misericordia per non tacere sul dolore

Andate a imparare cosa vuol dire ‘Misericordia voglio e non sacrifici’” (Mt 9,13). Così Gesù si rivolgeva agli uomini religiosi del suo tempo che lo rimproveravano perché sedeva a tavola con pubblicani e peccatori. Lui infatti era venuto “non per i giusti, ma per i peccatori”. E su questo “imparare la misericordia” papa Francesco ha voluto impostare il giubileo che si è chiuso ieri: non una sconfessione di ciò che è bene e ciò che è male in assoluto, non una relativizzazione della gravità di certi comportamenti, ma la convinzione evangelica che, per usare le parole di papa Giovanni XXIII all’apertura del Vaticano II, “al tempo presente, la chiesa preferisce usare la medicina della misericordia invece di imbracciare le armi del rigore; pensa che si debba andare incontro alle necessità odierne, esponendo più chiaramente il valore del suo insegnamento piuttosto che condannando”.

Papa Francesco non ha fatto altro durante quest’anno che evidenziare alcune delle “necessità odierne” cui la chiesa dovrebbe rispondere con la “medicina della misericordia” per guarire i malati o lenirne le sofferenze, non per accontentare i giusti che non hanno bisogno di conversione. E questo naturalmente è un compito che non può esaurirsi in un anno, non può fermarsi sulla soglia dei portali delle cattedrali, ora simbolicamente ma a livello liturgico infelicemente “chiusi”: si tratta, appunto, di “imparare” un’arte, cosa voglia dire usare misericordia nei nostri rapporti all’interno della chiesa e nella compagnia degli uomini.

L’ambito che ha suscitato maggior enfasi è stato senz’altro quello della vita familiare: purtroppo dell’esortazione post-sinodale Amoris laetitia si sono sviscerati solo pochi paragrafi e qualche nota relativi alla possibilità o meno di accesso ai sacramenti da parte dei divorziati risposati, mentre si è tralasciata la sollecitudine pastorale che attraversa l’insieme del testo e abbraccia i tanti aspetti di gioie e di sofferenze legate alla vita concreta di milioni di famiglie nelle realtà sociali e culturali più disparate.

È in quest’ottica autenticamente globale che il papa ha ricordato con forza che usare misericordia non significa tacere le realtà che feriscono gli esseri umani e la loro dignità: le guerre e la fame, innanzitutto, che seminano morte e obbligano milioni di persone a fuggire in condizioni disperate dalla loro terra e, dopo aver superato lande e mari di morte, a trovare muri di rifiuto da parte di chi non sa aprire il cuore e la casa al misero che bussa. Ma anche il superamento delle ingiustizie economiche strutturali è opera di misericordia: garantire “terra, casa e lavoro” a ogni essere umano significa salvaguardarne la dignità più profonda, dignità che nessuna legge o società può negare nemmeno a chi è in carcere. In questo senso papa Francesco non ha esitato a stigmatizzare il mercato quando percorre vie disumane o mortifere – come nel caso dei trafficanti di armi – o la stessa giustizia umana quando per un crimine pur efferato commina la pena di morte palese o quella “nascosta” dell’ergastolo.

E misericordia – ci ha ricordato papa Francesco durante questo giubileo – è anche rivisitare le divisioni storiche tra i cristiani per ritornare insieme al vangelo e insieme camminare verso l’unità voluta da Gesù per i suoi discepoli. In questi ultimi giorni alcuni hanno tentato di fare un bilancio di quest’anno giubilare a livello turistico ed economico per la città di Roma, ma resta impossibile stilare a livello mondiale l’unico bilancio che conta per chi ha a cuore il vangelo: quello della conversione delle coscienze e del cambiamento di comportamento da parte di chi si professa cristiano. Indubbiamente la centralità del vangelo manifestata e affermata in molti modi e in diverse occasioni ha scosso e perfino scandalizzato quanti sono più preoccupati della religione che non del messaggio di Gesù Cristo. In questo senso, se l’ostilità verso papa Francesco si è manifestata o accresciuta è a causa della sua parresia nel mostrare e predicare la misericordia.

Non basta certo un anno per “imparare” cosa vuol dire misericordia e agire di conseguenza, ma papa Francesco ha voluto ricordare che su questo si misura per i cristiani la fedeltà al vangelo e per tutti la possibilità di percorrere vie di umanizzazione.

 

Enzo Bianchi
La Stampa

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