Un elemento fondamentale nella comprensione e nella valutazione degli atti umani e della loro volontarietà sono le circostanze in cui si consumano. Esse, in alcuni casi, possono escludere la volontarietà di un atto, altre volte diminuirla oppure, in alcuni casi, aggravarla. La conoscenza di esse e la presa di coscienza della loro rilevanza è fondamentale anche ai fini della validità della confessione, dal momento che, come si ricorderà, il Concilio di Trento definì come verità di fede il fatto che i peccati mortali commessi dopo il Battesimo debbano essere confessati non solo per specie e numero, ma anche indicando le eventuali circostanze. Le circostanze degli atti umani, da tempo note sia agli studiosi di morale che di diritto, sono sette: “Chi” (“quis”); “che cosa” (“quid”); “dove” (“ ubi”); “con quali aiuti o strumenti” (“quibus auxiliis”); “perché” (“cur”); “come” (“quomodo”); “quando” (“quando”).
La prima circostanza (“chi”) è inerente alle qualità soggettive dell’agente oppure dell’eventuale destinatario di una certa azione. Come per tutte le circostanze, userò degli esempio per facilitare la comprensione. Una parolaccia detta da un sacerdote è più grave di quella detta da un laico in ragione della dignità del sacerdote che è sempre e comunque rappresentante di Cristo. Un furto perpetrato da un amministratore di denaro pubblico è più grave di quello fatto da una persona comune in un supermercato. Uno scandalo compiuto da una persona che ha ruoli educativi (un professore, un maestro, un educatore) è più grave di quello in cui dovesse incorrere una persona comune. Per quanto riguarda il soggetto offeso, compiere molestie sessuali su un bambino è enormemente più grave di uno stalking fatto ad un adulto (atto che rimane comunque odioso). Offendere un vescovo è molto più grave che offendere un fedele laico. Frodare un povero è molto più grave che defraudare una persona comune. Avere rapporti con una persona sposata è molto più grave che averli con una persona “single”; così come deflorare una vergine è molto più grave di una fornicazione con persona già“iniziata”.
La seconda circostanza riguarda la comprensione corretta dell’azione compiuta dal punto di vista oggettivo (“che cosa”). Anche qui gli esempi chiariranno. Se una cosa è oggettivamente peccato, tale è e tale rimane, qualunque siano le intenzioni dell’agente. Al contrario se una cosa peccato non è, chi l’ha commessa rimane innocente anche se avesse mille sensi di colpa e diecimila scrupoli. La corretta formazione della coscienza è importantissima per acquisire tale capacità di giudizio. Inutile dire che cento, mille volte più importante è che tale corretta ed esatta competenza abbiano i sacerdoti che ascoltano le confessioni.
Il luogo in cui si è agito (“dove”) può essere spesso un’aggravante. Una fornicazione avvenuta in un parco, al mare, in un luogo comunque pubblico è molto più grave che quella commessa in privato. Vestire in maniera indecente in luogo sacro costituisce una gravissima aggravante al peccato (comunque sussistente anche fuori del luogo sacro…) delle mode invereconde. E così via.
Per quel che concerne la quarta circostanza (“con quali aiuti”), l’uso di certi strumenti può aggravare o diminuire una colpa morale. Uccidere una persona in maniera lenta e dolorosa, è certamente più grave che farlo in maniera immediata e indolore. Corrompere persone pubbliche per ottenere qualche risultato illecito è più grave che farlo senza ricorrere a questo espediente. Similmente l’uso di mezzi oggettivamente cattivi non può mai essere, a dispetto di Machiavelli, consentito per conseguire fini buoni. L’esempio classico di Robin Hood è solo uno degli innumerevoli che potrebbero proporsi.
Le intenzioni dell’agente (“perché”) sono sempre altamente rilevanti anche se raramente, come abbiamo visto nell’articolo precedente, una buona intenzione scusa da peccato (quando esso c’è nel comportamento) ed è per questo che si dice che l’Inferno è lastricato di buone intenzioni. Un’azione però “neutra” viene completamente specificata dall’intenzione. Se io sto guidando e investo un bambino semplicemente per non averlo visto, potrei, se tale disattenzione è del tutto incolpevole e fatale (cosa che solo Dio può giudicare con certezza infallibile), essere del tutto innocente davanti a Dio. Mentre se volessi uccidere una persona simulando un incidente, sarei un omicida anche se nessuno riuscisse a provare le mie reali intenzioni. Così come una cattiva intenzione può rendere perversa una buona azione (fare un digiuno o un’elemosina per farsi vedere). Le intenzioni possono essere giudicate solo da Dio (per questo Gesù ammonisce categoricamente di non farlo). I comportamenti oggettivi, tuttavia, non solo possono ma a volte debbono essere giudicati dagli uomini.
Molto importante, infine, è il modo con cui si compie un’azione e anche il tempo in cui la si compie. E qui è bene spendere una parola su come vengono compiute anche le buone azioni, ricordando l’ammonizione di Sant’Alfonso: non basta fare il bene, bisogna farlo bene. Un rimprovero giusto fatto senza carità, quasi sempre fa più male che bene. La smania di voler convertire a tutti i costi una persona, moltiplicando prediche a dismisura o assumendo addirittura atteggiamenti fanatici è una buona azione mossa da ottime intenzioni, ma fatta malissimo e quindi certamente controproducente. Per ciò che concerne il tempo, pregare quando è l’ora di lavorare è un disordine; correggere una persona nel momento sbagliato, produce disastri; fare una cosa prima del tempo (si pensi, ai rapporti sessuali prematrimoniali) può cambiare la qualificazione morale di un atto (da lecito a illecito e viceversa).
Gli esempi si potrebbero moltiplicare all’infinito, ma ad una coscienza formata ed aperta all’azione della grazia questi basteranno per comprendere quanto importante sia l’attenta considerazione delle circostanze e la loro rilevanza, che deve sempre essere ponderata per una corretta e completa valutazione degli atti umani.