La notte in cui ho superato i miei demoni

La vita del dottor John Morrissey ha avuto un capitolo oscuro dal quale è uscito grazie al sacramento della confessione, secondo un suo racconto pubblicato dal britannico The Catholic Herald. Dopo essere arrivato alla depressione a causa del continuo contatto con la morte in un contesto di allontanamento da Dio, il medico ha ricordato la consolazione offerta dal sacramento e vi si è accostato urgentemente. “Il mio stato spirituale era quello di un allegro pagano, un Bacco in un camice bianco sporco e con un’aureola falsa”, ha ammesso il dottor Morrissey. “Nonostante una profonda esperienza religiosa due anni fa, la mia vita morale presentava ancora varie sfumature di nero, e la mia testa era piena di un sincretismo confuso, nonsenso del New Age”.

In questo stato affrontava ogni giorno una realtà drammatica: l’assistenza ai malati terminali di cancro nel suo ospedale, un lavoro che ha svolto per un anno. Dopo un anno senza praticare la propria fede, il suo ritorno incompleto si limitava ad alcune preghiere “chiedendo che i miei pazienti si riprendessero, o che io non fossi di turno quando avessero avuto bisogno di essere ricoverati”, ha ricordato. “Le mie preghiere non hanno ottenuto risposta. Le morti continuavano senza sosta. Una grande sensazione di mancanza di senso e di disperazione ha riempito il mio cuore”.

Il medico non solo attraversava una crisi spirituale e professionale, ma viveva in solitudine e non aveva amici, e quindi è caduto nell’alcool. “Il mio cuore batteva, ma io non ero vivo”, ha riassunto. Il momento più basso della sua crisi è stato raggiunto mentre rivedeva i dati relativi a un giovane paziente morto da poco e ha sentito di affondare nella depressione. Davanti alla sua espressione, una paziente gli ha chiesto se si sentiva bene. Con le lacrime agli occhi ha risposto: “Mi dispiace, sto lottando per vedere qualcosa di buono in questo posto. C’è troppa morte qui”.
Una sera, mentre beveva in un bar, ha sentito la necessità impellente di uscire dal locale. “Era come se vedessi quel luogo per la prima volta per com’era realmente”, ha confessato, riferendo che vedeva tutti i presenti come perdenti e che ciascuno dei loro sguardi sembrava essere macchiato di malizia. “Mi sono sentito molto solo, e ho iniziato a cercare una via d’uscita”. La sensazione è stata accompagnata dalla certezza della propria condanna e dalla necessità urgente di ricorrere alla confessione.

“Non ero estraneo al peccato, ma fino a quel momento non ero mai stato consapevole degli effetti della sua presa letale sulla mia anima”, ha dichiarato. Non appartenendo a una parrocchia, ha cercato sull’elenco telefonico e ha trovato una comunità gesuita che ha chiamato e alla quale si è diretto immediatamente in taxi. Al suo arrivo è stato accolto dai religiosi e ha atteso un sacerdote che ha dovuto svegliarsi nel cuore della notte per assisterlo. “Ha fatto capire chiaramente che era tutto irregolare, ma l’ho supplicato a tal punto di ascoltare la mia confessione che ha acconsentito con misericordia”, ha raccontato il dottor Morrissey.
Dopo più di 10 anni senza confessione, l’uomo è stato guidato dal sacerdote ed è riuscito a ricordare l’atto di dolore che aveva imparato nell’infanzia. “Con le parole finali di assoluzione, mentre stavo ad occhi chiusi, la paura è scomparsa completamente. Non sono mai stato tanto grato quanto in quel momento. Ho chiesto perdono per la mia incursione e ho lasciato quella casa in pace.
Nulla di ciò che era all’esterno era cambiato, ma ero cambiato io, ero stato riconciliato. Mi sono reso conto che solo i miei peccati potevano ferirmi davvero, e che se spezzavo i miei legami con loro avrei perso la paura della morte”. Nell’esercizio della sua professione, i pazienti continuavano a morire, ma questa volta pregava perché, come lui, potessero trovare la grazia della misericordia che egli stesso aveva sperimentato.

“Le moderne cure mediche possono solo modificare il tempo, il luogo e le modalità della morte fisica, non la sua ineluttabilità. Purtroppo, penso che molti pazienti e parenti non riescano a vedere questo limite, o addirittura non considerino affatto le loro vite spirituali. I malati di cancro sono molto consapevoli di essere stati invasi da una forza ostile intenta al loro annientamento. I cattolici vedono i peccati mortali in questa stessa luce. Sono un neoplasma letale, una condanna a morte per l’anima, che la separa per sempre da Dio che è l’unico vero riposo e dimora dell’anima. Il Vangelo parla della morte, di questa condanna a morte, e del sacrificio di Cristo che ha redento tutti una volta per sempre con il suo sacrificio sulla croce.

Il peggior cancro che si possa immaginare in teoria può essere curato con una dose di radiazioni erogata a tutto il corpo. Queste radiazioni uccidono non solo tutte le cellule tumorali ovunque siano diffuse, ma anche il midollo osseo vitale, fonte di immunità. Senza un trapianto di midollo, il paziente morirà rapidamente anche a causa di una lieve infezione come un comune raffreddore. Il midollo donato deve essere pienamente compatibile, oppure sussiste il rischio che possa iniziare ad attaccare i tessuti del paziente. Il trapianto che Gesù ci dona nell’Eucaristia è perfettamente compatibile e rivitalizzante per l’anima umana, poiché Egli è il donatore universale. Gesù Cristo insegna all’uomo a impiegare la sofferenza per la propria salvezza”.

Tutte queste ragioni portano Il dottor Morrissey a ringraziare ancor di più per la drammatica esperienza in cui ha percepito la necessità di chiedere perdono e di ricevere la misericordia di Dio.

Il dottor John Morrissey è un consulente del NHS specializzato nella cura dei malati critici. Sta scrivendo sotto uno pseudonimo.

Catholic Herald

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