Segnaliamo ai nostri lettori l’intervista di Benedetto XVI rilasciata a Elio Guerriero, pubblicata sull’Osservatore Romano del 24 agosto 2016. Data importante per noi carmelitani, perché vi si commemora l’inizio della Riforma del Carmelo, con la fondazione del primo monastero di Carmelitane scalze in Avila da parte di S. Teresa di Gesù.
È stato quindi per noi molto significativo sentir citare dall’amato Benedetto XVI i nostri S. Giovanni della Croce e S. Teresa di Gesù Bambino del Volto Santo, proprio all’inizio dell’intervista. Ecco la domanda di Elio Guerriero cui segue la risposta del papa emerito: Santità, visitando l’ultima volta la Germania, nel 2011, lei disse: «Non si può rinunciare a Dio». E ancora: «Dove c’è Dio là c’è futuro». Non le è dispiaciuto dover lasciare nell’anno della fede?
Naturalmente avevo a cuore di portare a compimento l’anno della fede e di scrivere l’enciclica sulla fede che doveva concludere il percorso iniziato con Deus caritas est. Come dice Dante, l’amor che move il sole e l’altre stelle, ci spinge, ci conduce alla presenza di Dio che ci dona speranza e futuro. In una situazione di crisi, l’atteggiamento migliore è quello di mettersi davanti a Dio con il desiderio di ritrovare la fede per poter proseguire nel cammino della vita. Da parte sua il Signore è ben lieto di accogliere il nostro desiderio, di donarci la luce che ci guida nel pellegrinaggio della vita. È l’esperienza dei santi, di san Giovanni della Croce o di santa Teresa del Bambino Gesù. Nel 2013, tuttavia, vi erano numerosi impegni che non ritenevo più di poter portare a termine.
Raccomandando vivamente di proseguire la lettura dell’intervista, ci soffermiamo ora su come Benedetto XVI abbia indicato S. Giovanni e S. Teresina quali esempi paradigmatici per affrontare le crisi che possono incorrere nel cammino della vita. Perché? Cosa accomunò questi due santi? E cosa li accomuna a Benedetto XVI? Proviamo brevemente a rispondere.
La crisi di S. Giovanni della Croce
S. Giovanni della Croce dovette affrontare due terribili crisi nella sua vita, due dolorosissime “notti”: la prima quando fu perseguito dai confratelli carmelitani calzati (la riforma era appena nata e priva di tutele giuridiche) e infine arrestato come ribelle e cospiratore, per essere detenuto e angariato per nove mesi nel convento-carcere di Toledo. Bene: fu in quella cella buia e tenebrosa che consegnò all’umanità le strofe splendide e luminose del Cantico Spirituale: rilettura mistica del Cantico dei Cantici e capolavoro teologico della dottrina cattolica. La seconda crisi fu forse meno violenta, ma molto più penosa: questa volta a perseguitarlo non furono i carmelitani calzati, ma i suoi stessi confratelli scalzi – figli, se consideriamo che è considerato il primo padre dell’Ordine maschile riformato. Ciò perché non ebbe esitazioni nel denunciare la piega troppo rigoristica (specialmente nei riguardi della conduzione delle monache) che il Carmelo riformato stava prendendo, sotto la ferrea mano del Padre Niccolò Doria. Questo gli costò calunnie, denunce, ostracismo, l’abbandono dei suoi sostenitori e l’emarginazione totale. Fu la sua prova più grande, sei mesi prima di morire nel convento di Ubeda. Se non fosse morto, diceva il suo vendicativo calunniatore – fra Diego Evangelista, che in passato S. Giovanni come suo superiore aveva ripreso – “saremmo riusciti comunque ad espellerlo dall’Ordine”. Cosa che di fatto era avvenuta con P. Girolamo Graciàn, amatissimo dalla Santa Madre Teresa e proprio per questo entrato in rotta di collisione con la linea di Doria. Ma S. Giovanni della Croce, alto sopra le tempeste degli odi e dei rancori umani, riassunse tutte queste meschine vicende con un solo versetto del Cantico dei Cantici: “i figli di mia madre hanno lottato contro di me” (Ct 1,5). E Non tollerava che si dicesse una sola parola negativa contro i suoi detrattori. Nella ferocia della persecuzione scatenata nei suoi confronti, seppe intravedere a discapito di tutto l’amorevole disegno dell’Eterna Sapienza, e il prosieguo e l’epilogo della sua folle storia d’amore col suo Sposo, uno Sposo crocifisso che chiama ad unirsi a Lui non altrove che sul letto nuziale della croce.
La crisi di S. Teresa di Gesù Bambino
L’esempio consegnatoci da Teresina è analogo. La crisi che lei dovette affrontare fu quella angosciosa della “notte della fede” in cui, negli ultimi due anni della sua vita, vedeva fra sé e Dio “un muro che si alza fino ai cieli e copre il firmamento stellato”; notte in cui non sentiva nulla e “credeva solo ciò che voleva credere”. Ma sapeva perfettamente che Dio permetteva questo perché potesse essere solidale coi peccatori, con gli atei, con le pecorelle smarrite di tutto il mondo, e condividere in tal modo le tenebre del loro spirito. Invece di gridare di disperazione contro un Dio che sembrava averla abbandonata, sapeva che la notte della crisi era la notte dell’incontro, la notte dell’Amore: non a caso quella abissale aridità spirituale era cominciata pochi mesi dopo il suo Atto di offerta all’Amore misericordioso, in cui si era consegnata senza riserve al suo Sposo, l’Uomo dei dolori di cui portava il nome religioso. E non si creda che questo fu un episodio isolato della sua vita; già c’erano stati altri dolorosi momenti di crisi nella sua pur breve vita: una malattia di origine nervosa a dieci anni, tremendi scrupoli spirituali a tredici, un altro buio periodo di aridità a diciassette anni, poco prima della sua professione religiosa, periodo a cui risale questa lettera: “Allora Gesù mi ha preso per mano, e mi ha fatto entrare in un sotterraneo in cui non fa né freddo né caldo, in cui non splende il sole e che né la pioggia né il vento visitano; un sotterraneo dove non vedo niente se non una luce semivelata, luce che gli occhi abbassati del volto del mio Fidanzato diffondono intorno a loro…il mio Fidanzato non mi dice nulla e neppure io gli dico nulla, se non che io l’amo più di me stessa”.
La crisi di Benedetto XVI
Benedetto XVI si è messo alla scuola di questi santi. Fra i tanti che poteva citare, cita espressamente i maestri del Carmelo che hanno incontrato l’Amore nella notte. E’ quanto dimostra chiaramente nella risposta data alla domanda sulla sua personale crisi, sulla rinuncia al pontificato: prima ancora di spiegare e indicare questa o quell’altra causa umana, volando alto sulle dietrologie e sui complottismi, risponde semplicemente citando il Paradiso: “l’amor che muove il sole e le altre stelle”. O si pensi a quanto riferito da papa Francesco (per il quale Benedetto riporta, nel seguito dell’intervista, commoventi parole d’affetto e di profonda comunione) nella conferenza stampa durante il volo di ritorno dall’Armenia: “ho sentito, forse saranno dicerie, ma concordano con il suo carattere, che alcuni sono andati lì a lamentarsi perché “questo nuovo Papa…”, e lui li ha cacciati via! Con il migliore stile bavarese: educato, ma li ha cacciati via. E se non è vero, è ben trovato, perché quest’uomo è così: è un uomo di parola, un uomo retto, retto, retto! Il Papa emerito”. Come non pensare a quel discepolo di S. Giovanni della Croce che, lamentandosi col suo maestro della violenza delle persecuzioni che stava subendo, si sentì da questi rispondere: “queste parole mi hanno dato più dolore di tutta quella persecuzione!”. E a una monaca che in una lettera a S. Giovanni recriminava su quanto gli stava accadendo, rispose: “Non pensi ad altro se non che tutto è disposto da Dio. E dove non c’è amore, metta amore e ne riceverà amore”. Questa è la risposta dei santi alla crisi. L’unica risposta che – ci insegna Benedetto XVI – dovrebbe far propria ogni cristiano contro la tentazione di quei tatticismi umani che, alla lunga, rischian solo di rendere le vittime complici dei carnefici. Una risposta mistica.
F. Iacopo Iadarola ocd