Educare alla pienezza

Nude, forse abbracciate, due sorelle entrano nella camera a gas di Auschwitz. È il 9 agosto 1942, Edith e Rosa sono appena arrivate con i vagoni piombati insieme ad altri ebrei convertiti al cattolicesimo. I nazisti vogliono colpire i vescovi dei Paesi Bassi, che hanno osato scrivere una lettera di protesta contro le deportazioni degli ebrei, per questo hanno catturato tutti gli ebrei convertiti che hanno potuto trovare, compresa Edith Stein, carmelitana col nome di suor Teresa Benedetta della Croce, e sua sorella Rosa, entrambe fuggite dalla Germania e rifugiate, se pur non nascoste, nel monastero di Echt. Questa è quell’Edith che a sedici anni rifiutò la religione dei genitori dichiarandosi atea, che si laureò poi a Göttingen con Edmund Husserl, di cui divenne assistente, scoprendo attraverso la fenomenologia mondi sconosciuti al suo stesso maestro. La ragazza era nata nel 1891 a Breslau, capitale storica della Bassa Slesia, oggi Wroclaw in Polonia.

Ultima di undici figli di una famiglia ebrea osservante, Edith era brillante, ma poco disposta alla disciplina – forse opaca – del liceo, che lasciò per leggere di letteratura e filosofia in libertà. Pensò poi che senza maturità non avrebbe potuto iscriversi a nessuna università e quindi recuperò gli anni perduti, iniziando nella stessa Breslau i corsi di psicologia e letteratura. Annoiata anche da questi, seguì il consiglio di un professore e si trasferì a Göttingen nella Bassa Sassonia, dove insegnava Husserl e dove la ricerca filosofica ferveva con entusiasmo. La nuova dottrina fenomenologica sembrava l’unico futuro possibile, che permettesse insieme di lasciare lo schematismo kantiano, la conoscenza fondata solo sulla struttura – se pur trascendentale, quindi universale – del soggetto, senza farsi prendere dall’aridità di un positivismo che interpretava ogni oggetto come un dato a sé stante, senza altra relazione con gli altri che non fossero le leggi causali.

La sospensione del giudizio, invece, e la possibilità di una esperienza intersoggettiva, consentivano una più corretta conoscenza del mondo esterno, grazie a quella Einfühlung, «intuizione» o «empatia». Così almeno viene intesa nel titolo della tesi di laurea di Edith Stein, discussa con Husserl nel 1915, durante la prima guerra mondiale, che la vede anche impegnata come infermiera volontaria. Il tema della tesi fu scelto perché a lei sembrava che Husserl parlasse di questa empatia, fondamentale per evitare errori nella conoscenza, ma in verità non avesse mai spiegato che cosa fosse. Quando nel 1918 lasciò – per motivi di tempo e di denaro – il ruolo di assistente di Husserl, il suo posto andò a Martin Heidegger, che non solo ebbe il ruolo e uno stipendio ben maggiore della collega, ma tenne seminari per Husserl in cui presentava il proprio pensiero, non quello del maestro. Edith e gli altri non approvarono né il comportamento né la svolta teoretica di Heidegger. Un aiuto per la tesi le venne invece da Max Scheler, che molto frequentò e molto la influenzò, sulla possibilità di una religione oggetto di approccio razionale e non solo di fede (come avrebbe voluto Husserl, a sua volta credente), nonché, per esempio, sulla lettura del volto altrui, come primo passo verso l’empatia: seguono poi l’accoglienza dello stato d’animo dell’altro con cui dapprima immedesimarsi e da cui poi prendere le distanze verso l’oggettivazione del vissuto.

Gli anni di Göttingen, tra la guerra, lo studio, il lavoro per Husserl (fare ordine nelle sue carte!) furono importanti per Edith per gli amici, come i coniugi Reinach, coi quali parlare anche di religione. Due furono però i momenti importanti della sua conversione: vedere una donna del popolo che con le borse della spesa entrava in una chiesa per una preghiera e la lettura, nel 1921, della vita di Santa Teresa d’Avila, quindi la normalità di un rapporto personale con Dio e l’eccellenza di una vita mistica. Dopo il battesimo, nel ’22, Edith si dedicò all’insegnamento e allo studio della filosofia di Tommaso d’Aquino, che per lei si completava con la fenomenologia.

Ne abbiamo prova nel volume appena uscito per Città Nuova, nella collana delle opere complete della filosofa. Formazione e sviluppo dell’individualità raccoglie conferenze e brevi saggi sui temi dell’educazione e della formazione (1926-33). Alcuni hanno un interesse storico: si parla della scuola tedesca, in particolare della scuola cattolica, del senso della comunità (intesa come serie di cerchi concentrici che dall’individuo vanno allo Stato, alla Chiesa, infine alla famiglia dell’umanità intera), delle associazioni. La maggior parte dei brevi saggi però scava nel profondo del ruolo del formatore, che indica all’allievo le vie della pienezza di vita, educando intelligenza e volontà.

Tommaso porge a Stein gli strumenti intellettuali per rendere possibile la conoscenza vera del creato, conoscibile in quanto dallo stesso Creatore tenuto in essere e conosciuto, mentre Teresa d’Avila è l’esempio della sapienza ricevuta per meriti di santità direttamente da Dio, quindi indipendente e superiore rispetto a qualunque scienza umana. Teresa è la vera maestra di Edith, che corona il desiderio di entrare nel Carmelo solo nel 1934. Avversata dalla pure amatissima madre, sempre in affettuoso contatto con gli amici filosofi, Edith entra nel monastero di Colonia. I tempi sono però terribili, Hitler ha preso il potere senza nascondere l’intenzione di sterminare il popolo ebraico. L’anno prima, nel ’33, Edith aveva già compreso tutto – come si evince anche dal libro di cui abbiamo detto – e aveva scritto un’accorata lettera a Pio XI, predicendo ciò che sarebbe tristemente avvenuto. Il pontefice non comprese, o non venne a conoscenza dei contenuti della lettera, limitandosi all’invio di una benedizione.

Intanto in convento, cosa davvero notevole per l’epoca, a Edith viene chiesto di non abbandonare gli studi, anzi di scrivere. E pensare che nel decennio precedente il suo esser donna prima, ebrea poi, le avevano tante volte precluso la cattedra universitaria. Sono di quegli anni le opere più importanti, come Essere finito ed essere eterno, la sua parola definitiva sul reciproco completamento di tomismo e fenomenologia, che non poté essere pubblicata perché opera di un’ebrea, se pur convertita. I convertiti, infatti, non avrebbero dovuto essere oggetto di persecuzione. Come si diceva, ciò non valse nei Paesi Bassi, Edith Stein fu martire ebrea in quanto cattolica, fu donna filosofa in tempi avversi alle donne.

Maria Tilde Bettetini
Il Sole 24 Ore

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