Di battesimo ne basta uno

Per annunciare il Vangelo di Cristo «basta il battesimo», ripete spesso Papa Francesco. La riscoperta del dono comune del battesimo è il punto di partenza oggettivo per camminare verso la piena unità visibile e sacramentale dei cristiani. E nella dichiarazione comune firmata al Cairo, Papa Francesco e il Patriarca copto ortodosso Tawadros II hanno affermato che «cercheranno, con tutta sincerità, di non ripetere il Battesimo amministrato in una delle nostre Chiese ad alcuno che desideri ascriversi all’altra». Quando sul viaggio di Papa Francesco in Egitto si saranno spenti i riflettori e sarà calata la cortina dei titoli a effetto preconfezionati, queste poche parole rimarranno a segnare un passo concreto e di consistenza primaria nel pellegrinaggio verso la piena comunione sacramentale tra cattolici e copti ortodossi. Esse iniziano a seppellire nell’oblìo del passato la prassi del “ri-battesimo”, amministrato da alcune comunità cristiane ai nuovi fedeli provenienti da altre compagini ecclesiali. Una prassi che rappresenta una ferita aperta nei rapporti tra le Chiese e contraddice l’autenticità dei buoni propositi ecumenici: come si può desiderare sinceramente la piena unità dei cristiani, se i fratelli già rivestiti del battesimo di Cristo vengono ribattezzati come dei pagani? 

Il «ribattesimo» praticato anche attualmente da alcune Chiese d’Oriente non ha le sue radici nella prassi liturgica dell’epoca dei grandi Padri della Chiesa, generalmente aperti a riconoscere la validità dei sacramenti di cristiani appartenenti a confessioni diverse. In epoca moderna, a partire dal XVII secolo, l’azione dei missionari cattolici e poi anche protestanti in Oriente ha riacceso la competizione confessionale. Molte Chiese d’Oriente, per reazione, irrigidirono anche la loro prassi riguardo al riconoscimento dei sacramenti delle altre confessioni cristiane, e cominciarono a praticare il “ribattesimo” dei nuovi fedeli che provenivano da quelle Chiese e comunità ecclesiali. In passato, la stessa prassi veniva in molti casi applicata anche dalle realtà ecclesiali e missionarie arrivate da Occidente, quando raccoglievano proseliti provenienti dalle Chiese autoctone.

Nella Chiesa copta ortodossa, un ruolo chiave nell’intensificarsi della prassi dei “ribattesimi”, soprattutto a partire dagli anni Novanta del secolo scorso, si registra in connessione con l’aumentare dei cosiddetti “matrimoni misti”, tra cristiani di diverse confessioni, e viene collegato all’impronta dottrinale del Patriarca Shenuda III, figura carismatica e complessa rimasta alla guida del Patriarcato copto dal 1971 al 2012. «Shenuda – riferisce il coptologo Nikos Kouremenos, ricercatore presso la Hebrew University di Gerusalemme – richiedeva nei suoi scritti e nei suoi discorsi il “ribattesimo” per i cristiani che mostravano interesse a entrare in comunione con la Chiesa copta».

Una posizione rigorista che non tutti seguivano. «Lo spirito dei monaci come Matta el Meskin, che dal 1960 vissero la cosiddetta “rinascita” del monachesimo copto», continua Kouremenos, «ebbe come conseguenza la formazione di un gruppo di prelati copti che non condividevano le rigide posizioni di Shenuda, e riconoscevano anche la validità sacramentale di altre Chiese, fondata sulla fede comune e sul comune battesimo in Cristo. L’attuale Patriarca Tawadros fa parte di questa tradizione teologica. Lo ha mostrato fin dall’inizio».

Tra i capi delle Chiese cristiane, Tawadros è considerato un pastore lungimirante e amato dal popolo. Anche per questo procede con pazienza e senza strappi, dovendo tener conto del gruppo di vescovi “plasmatisi” sulle posizioni rigoriste di Shenuda, che fanno riferimento ad Anba Bishoy, il vescovo metropolita di Damietta.

Il Vescovo di Roma e il Patriarca copto ortodosso pregano ogni sera l’uno per l’altro. Se lo sono promesso nel loro primo incontro, quando Tawadros venne a trovare nel maggio 2013 l’argentino divenuto Papa da meno di due mesi. Già in quell’occasione, il Patriarca copto aveva fatto intendere l’intenzione di voler mettere da parte la prassi dei “ribattesimi”. Ma bisognava procedere con cautela, senza forzare la mano ai vescovi più decisi a difendere con fedeltà un po’ legnosa la memoria di Shenuda.

Le vicende di questi anni hanno forse accentuato le affinità elettive tra Papa Francesco e Papa Tawadros. I fatti di martirio che hanno colpito a raffica la Chiesa copta, e il tratto cristiano con cui i copti li hanno vissuti – senza recriminazioni, piangendo certo i loro martiri, ma celebrando sempre come una vittoria il loro abbraccio con Cristo, in Paradiso – hanno ispirato anche gli accenni continui di Papa Francesco all’“ecumenismo del sangue” e alle persecuzioni.

Dopo le stragi nelle due chiese copte, la domenica delle Palme, Papa Francesco ha voluto mandare apposta una delegazione vaticana a Papa Tawadros per fargli arrivare “fisicamente” le condoglianze e il suo abbraccio di fratello. Ne facevano parte il cardinale Kurt Koch, padre Gabriel Quicke e il sacerdote copto cattolico Yoannis Lahzi Gaid, segretario personale del Papa. «Sono due pastori che vivono un’intensa sintonia spirituale, perché camminano mossi dallo stesso Spirito, e condividono lo stesso sguardo», nota padre Quicke, il sacerdote belga, appassionato di Sant’Agostino, che cura presso il Pontificio Consiglio per l’Unità dei cristiani le relazioni con la Chiesa copta e le altre Chiese ortodosse orientali.

Anche la Dichiarazione congiunta firmata al Cairo porta l’impronta del sensus Ecclesiae condiviso da Papa Francesco e Papa Tawadros. In essa si esprime la percezione della vita della Chiesa come un cammino, un pellegrinaggio compiuto seguendo insieme Cristo nella storia. Anche il passaggio sulla prassi dei “ribattesimi” non è espresso nei termini di una disposizione giuridica calata dall’alto, o come un cambio meccanico di politica ecclesiastica, ma come un desiderio che orienta le scelte («cercheranno di non ripetere»), perseguito per «rallegrare» innanzitutto il cuore stesso di Cristo, e affidato con fiducia al lavoro paziente della Sua grazia. E tenendo conto anche delle resistenze che Tawadros potrebbe trovare in settori del clero copto. «Forse – azzarda padre Quicke – ci vorrà del tempo perché la prassi di “ribattezzare” cristiani si estingua dovunque. Forse ci saranno obiezioni locali. Ma Papa Francesco e Papa Tawadros hanno sempre tenuto conto che occorre procedere con pazienza, aspettando anche chi va più lento. Questa è la Chiesa in cammino, che cresce non per proselitismo ma per attrattiva di grazia, come ha detto Papa Ratzinger».

La via è quella indicata dal Vangelo e dai Primi Concili, visto che chiunque ripete il Credo di Nicea-Costantinopoli, sia in Oriente che in Occidente, professa «un solo battesimo per la remissione dei peccati». E il riconoscimento di condividere lo stesso battesimo, espresso come desiderio sincero dalla Dichiarazione comune, da realizzare con pazienza lungo il cammino, conferisce al testo condiviso un particolare tratto “dinamico”: «Al Concilio Vaticano II – fa notare padre Gabriel Quicke – abbiamo riaffermato il comune battesimo come punto di partenza per il cammino verso il ripristino della piena unità dei cristiani. Nella Dichiarazione comune di Papa Tawadros e Papa Francesco, si descrive il vincolo che ci riunisce nello stesso battesimo come la base del pellegrinaggio che stiamo compiendo “verso il giorno benedetto nel quale finalmente ci riuniremo insieme alla stessa mensa Eucaristica”. E io credo che anche i nuovi passi verso la piena comunione tra cattolici e copti ortodossi sono un dono che viene dalla preghiera dei nuovi martiri. Loro oggi ripetono per noi la preghiera che Cristo rivolse al Padre, chiedendo l’unità di tutti i suoi: “Che siano una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato”».

 

Vatican Insider

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