A rose in winter

Finalmente il film sulla filosofa morta ad Auschwitz.

Edith Stein, di origine ebraica, convertitasi al cattolicesimo, è divenuta santa nel 1998 con il nome di Teresa Benedetta della Croce, compatrona d’Europa! Il film sulla sua storia umana e spirituale è stato presentato a Ginevra il 7 novembre 2018 al Palazzo delle Nazioni Unite, nell’ambito della Geneve Peace Week. A rose in winter vede il 3 volte premio Oscar Vittorio Storaro alla direzione della fotografia. Ad affiancare il regista italo americano Joshua Sinclair nell’avventura, c’è anche il filmmaker bresciano Ruggero de Virgiliis. Non poteva che narrare la Stein proprio Lui, con il suo approccio al cinema del tutto originale, Joshua Sinclair (medico e teologo oltre che scrittore e regista, attivo con Medici Senza frontiere, in passato anche in India con Madre Teresa di Calcutta). “Credo che i film abbiano il compito di diffondere la verità e la in quanto il coinvolgimento degli spettatori durante la visione in sala è un’esperienza fortissima, che veicola valori di riferimento. Nel periodo storico attuale, ritenevo importante fare un lungometraggio contro l’antisemitismo, che parlasse di fede e portasse un messaggio di comprensione tra i popoli. Tutti elementi della storia di Edith Stein, che ho approfondito anche con la consulenza di sua nipote, la scrittrice Susanne Batzdorff”.

Non è il primo film sulla filosofa, ma questo segue uno stile particolare. “La struttura narrativa di A rose in winter ha la forma di un’inchiesta giornalistica – racconta Ruggero de Virgiliis -; è, infatti, seguendo le ricerche di un giovane cronista del New York Times su Edith Stein che gli spettatori sono condotti alla scoperta degli straordinari snodi della sua biografia. Nata nel 1891 in Prussia in una famiglia giudaica, Edith decise nell’adolescenza di allontanarsi da ogni credenza religiosa. Dotata di una viva intelligenza, studiò allora filosofia alla scuola del grande filosofo tedesco Edmund Husserl, fondatore della fenomenologia. Una lunga maturazione intellettuale e spirituale la condusse al cattolicesimo, al quale si convertì nel 1921. Prima di essere credente, sviluppò un’alta idea del posto della donna nella società e nel mondo. Si preoccupò in particolare del lavoro “di informazione e di educazione necessario per condurre le donne a votare”.

Divenuta cattolica, prese parola a nome delle donne e provò il bisogno di fondare una riflessione filosofica, teologica e concreta sulla specificità femminile e sul ruolo della donna. Sviluppò allora quella che ebbe a chiamare una “teologia della Donna”. Il suo pensiero si ispira al metodo fenomenologico, alla Sacra Scrittura e a San Tommaso d’Aquino.

Perché Edith s’interrogava sulla complementarietà originale dell’uomo e della donna? Senza dubbio perché da sempre s’interessava a tutto quanto toccava la persona umana, la visione dell’umanità perfetta – quella di Cristo. Ma anche perché osservava nella Germania degli anni 1930 dei movimenti giovanili in rivolta contro la generazione dei loro genitori. Ella avvertì allora che si stava operando una rottura spirituale profonda, nel suo Paese, e comprese che per raccogliere la sfida della trasmissione culturale la donna avrebbe potuto giocare un ruolo essenziale. Secondo Cécile Rastoin, monaca nel Carmelo di Montmartre e autrice del libro Edith Stein. Enquête sur la Source, la filosofa tedesca avrebbe così affrontato le questioni del momento prendendo la parola a nome delle donne ed esortandole a ricostruire il tessuto sociale per fare argine al nazismo.

Intervista al regista Joshua Sinclair

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