Storie di conversioni

«Mi sono convertito, anzi ci siamo convertiti tutti in famiglia e ci siamo battezzati davanti alla reliquia di Santa Veronica Giuliani, grazie all’incontro con questa figura e alla produzione del docufilm abbiamo scoperto la nostra vocazione» Queste le parole di Giovanni Ziberna, regista del film-documentario sulla succitata Santa, che si racconta con totale naturalezza, mentre bazzica le stesse strade frequentate da lei in tenera età. Continua:«mia nonna pregava tanto per la mia conversione, non ha fatto in tempo a vederla in vita». Il giovane regista che ha studiato assieme alla moglie alla scuola di Olmi, ha dovuto non solo cambiare vita, ma dirlo a tutto il mondo: questa testimonianza di coerenza tra scelte di fede e vita vissuta ci catapulta nei contenuti viscerali del film, ai piedi della Santa dell’obbedienza. Obbedienza. Obbedienza. Riflettiamoci: non è un “neologismo”, ma volendo fare della spicciola ironia non priva di validi sottesi significati, lo si potrebbe sospettare. Eppure, è il primo passo verso una forma di “neomartirio” ineluttabile: noi cattolici non possiamo esimerci dal fare obbedienza alla nostra confessione, incarnando il nostro credo, incernierando indissolubilmente l’azione con la Parola, e questo è probabile fonte di isolamento, o almeno contestazione da parte dei più. Quindi laddove il vaticinio in patria potrebbe non regalare consensi a tappeto, siamo costretti per obbedienza, oggi come sempre, ad accettare la nostra croce, o si segue Dio o non lo si segue, o è bianco o è nero. Questo virtuoso ragionamento si capisce molto bene studiando la vita di Santa Veronica, anche grazie al docufilm, che vi si è conformata in modo perfetto, e sempre grazie al docufilm si capisce un altro virtuoso ragionamento: i testimoni di fede autentica fanno proseliti a iosa, le conversioni fioccano come neve, tanti, infatti, hanno in realtà bisogno di esempi. Siamo mezzi di Dio, focolai sparsi di fede. Siamo guerrieri dell’esercito di Dio, silenziosi, in ginocchio. Ma per rinfrancare lo spirito d’investitura cresimale dobbiamo farlo senza mezzi termini, subito, oggi, nella vita che stiamo vivendo, onde evitare di rimandare e fare come il faraone d’Egitto, che ad ogni occasione proposta da Mosè si è allontanato irrimediabilmente fino alla rinuncia totale. Nel tempo che abbiamo plasmiamo la nostra persona, ci scolpiamo con le nostre scelte, attribuiamo dunque loro il giusto peso, con gli occhi puntati al kairos più che al kronos: è tempo di grazia, non siamo soli, non siamo perduti per sempre.

«L’opposto del peccato di superbia è l’obbedienza» dice a ragione Ziberna « il diavolo lavorava proprio contro l’obbedienza totale, indefessa di Santa Veronica, che ne rivela la grande e preziosa umiltà. Gesù è stato per primo lui stesso obbediente e umile nell’accettare il volere di Dio».

Vita cristologica dunque quella di Veronica, “folle d’ amore” ci dice il regista.

L’amore dunque un altro concetto fondamentale nella vita della santa e, si sa, l’amore è l’unica cosa che non fa economia, non sei mai in perdita: «l’incontro con la figura di Santa Veronica è stata la risposta ad una sete, una liberazione, la mia ricerca è finita e con questa anche tutte le filosofie che non mi permettevano di amare veramente, l’amore ti riempie e allo stesso tempo ti permette di svuotarti e donarti completamente all’altro».

Il film dunque racconta fedelmente, sebbene in modo riassuntivo, la vita della santa dedotta dal diario, con un linguaggio divulgativo in grado di raggiungere tutti, come in risposta all’invito sinodale (n.78 instrumentum laboris), e tra una scena filmata e l’altra, figure eminenti come don Renzo Lavatori e fra’ Manuel, che hanno studiato e scritto libri concernenti il diario, spiegano le varie fasi della vita raccontata.

Orsola Giuliani, questo il nome della nostra santa prima della vestizione dell’abito da consacrata, desiderava entrare in convento, ma ogni sorta di impedimento sembrava presentarsi a fagiolo: osteggiata dal padre, alcuni giovanotti le facevano la corte e la dileggiavano per le sue idee, le sorelle in convento a Mercatello che la volevano convincere a desistere “perchè si può esser santi anche fuori dalle mura del convento”, ma lei, irremovibile, ottenuto il consenso paterno, ha scelto il più austero e povero convento della zona andando a Città di Castello. Lì dunque la scelta ha presentato il conto: si vede nelle prime scene del film che tutto il trasporto e i moti d’animo della giovane si sentivano stretti nell’abito da suora, la preghiera non era più spontanea come prima, e i ritmi della nuova vita le erano odiosi. Ecco quindi il deserto ineludibile conseguente ad ogni scelta forte, ma se la scelta è per andare verso Dio, allora non temiamo nulla e presto fioriranno fiori annaffiati col sudore della fatica. Così è stato per la santa che ha poi abbracciato l’abito, apprezzato e amato l’abito, obbedito all’abito fino in punta di morte dove si vede bene nel film, con gli occhi chiedeva al confessore di autorizzarla a riposare in pace.

La sua vita dunque è significativamente votata all’obbedienza e all’amore, e l’umanità e lo spirito ne sono totalmente rispondenti; diceva infatti Veronica che questa umanità era motivo di profonda riflessione, riconosceva il valore del corpo inteso come carne, il valore della vita reale, sentiva la pesantezza della presenza mondana, ne traeva conclusioni riguardo la nostra piccolezza e umiltà, riguardo la nostra necessità del Padre. Altre volte come si vede dalle sue parole la vita terrena costituiva il limite dentro cui era confinata, che non le permetteva di lodare infinitamente Dio, di farsi tutt’una con Gesù se non nelle intense esperienze mistiche ricorrenti; «L’umanità si ribellava, mi diceva sono stanca, dormi ancora un poco, ed io facevo di tutto per vincerla e mi sacrificavo ancora di più».

Insomma grazie al film si fa un mini viaggio nel grande viaggio che sono le 22000 pagine scritte da Santa Veronica, che da una sola stanza ha sperimentato tutto il mondo, e se inizialmente questa giovane ha i dubbi di tutti e ci sembra così simile e vicina, pian piano che il film progredisce ci si accorge che non si è degni di legarle le scarpe, tanto alte sono le vette spirituali da lei raggiunte, tant’è che negli ultimi sette anni il diario le è stato dettato addirittura dalla Madonna stessa, quindi scritto in seconda persona, un caso unico, e le sensazioni diffuse nel pubblico astante davanti alla proiezione sono stupore e incoraggiamento.

“Sine sole cinema”, il nome della casa di produzione, non è stato scelto a caso, fa il paio a “sine sole sileo” ed è un nome provocatorio, ci spiega il regista, «subito prima che inizi il film si fa buio nella stanza, l’arrivo della luce costituisce l’inizio della pellicola. Ho paragonato questo momento al buio e vuoto culturale e morale in cui ci troviamo, nell’arte vedo un mezzo per portare la luce».

«Credevo esistesse Dio ma crescendo facevo di tutto per non cercarlo nella chiesa, anzi cresceva in me un sentimento dichiaratamente anti cattolico, in primis nato dal non vedere, a mio dire, in chi mi circondava e che si diceva credente nessuna differenza con chi non credeva e anzi a volte le persone cosiddette credenti si comportavano anche peggio. E così, mescolando superbia e ignoranza, mi convinsi che avrei potuto capire Dio con le mie forze e che sicuramente non lo avrei trovato in una chiesa cattolica», a sorpresa quindi, tramite Santa Veronica, per Giovanni Ziberna luce fu, vista la profonda convinzione anticlericale ormai abbandonata; andiamo dunque tutti a vedere questo film, un bagno di luce garantito.

 

LaCroce

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