Il segreto che permette alla fede di crescere nel nostro cuore, trova la sua radice in Gesù. Di Sua iniziativa, infatti, Egli viene… quasi di nascosto, (i due ad Emmaus lo riconobbero solo alla frazione del pane: cf. Lc 24,13 -53; Maria al sepolcro lo riconoscee solo dopo essere stata da Lui chiamata per nome: cf. Gv 20 11,18; Tommaso solo dopo aver avuto la possibilità da parte del Maestro di mettere le mani nelle piaghe: cf Gv 20,26-28; ecc. ). Senza farsi riconoscere, Egli si accosta alla nostra vita, fa strada con noi, ci tiene compagnia, accende un fuoco in noi fino al momento in cui scopriamo che si tratta proprio di Lui. Viene a noi dentro una luce che dà forza al nostro cuore di rinascere. Allora è percepita una meraviglia istantanea, quasi fugace. Ci si accorge del suo tocco per la luce che si accende interiormente, la luce di una fede- puro dono- che ha il potere di alimentare la nostra capacità di affrontare la prova del tempo, del buio, delle contraddizioni, del limite, della provvisorietà. Questa fede è come una luce discreta ma forte, che non nasce dalla logicità dei nostri ragionamenti, delle nostre raffinate elucubrazioni, ma è dono dello Spirito solido, puro, più di tutte le certezze umane. Questa luce poi, è in grado di alimentare la lampade della vita anche per quanti vengono ad attingere dalla nostra preghiera per continuare a credere e a sperare.
Questa fede, tuttavia, non pervade mai simultaneamente tutta la vita, penetra per ondate successive; cresce nella misura in cui aumenta in noi il desiderio di una fede “vera”. “Credo: aumenta la mia fede” (Mc 9,24); cresce nella misura in cui in noi cresce l’amore: “Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre” (Gv6,44).
Commenta al riguardo Sant’Agostino: “Non pensare di essere attirato contro la tua volontà: l’anima è attirata anche dall’amore. Né dobbiamo temere di essere criticati per queste parole evangeliche della Sacra Scrittura da quanti stanno a pesare le parole, ma sono del tutto incapaci di comprendere le cose divine. Costoro potrebbero obiettarci: Come posso ammettere che la mia fede sia un atto libero, se vengo trascinato? Rispondo: Nessuna meraviglia che sentiamo una forza di attrazione sulla volontà. Anche il piacere ha una forza di attrazione. Che significa essere attratti dal piacere? “Cerca la gioia nel Signore, esaudirà i desideri del tuo cuore” (Sal 36,4). Esiste dunque una certa delizia del cuore, per cui esso gode di quel pane celeste. Il poeta Virgilio poté affermare: Ciascuno è attratto dal proprio piacere. Non dunque dalla necessità, ma dal piacere, non dalla costrizione, ma dal diletto. Tanto più noi possiamo dire che viene attirato a Cristo l’uomo che trova la sua delizia nella verità, nella beatitudine, nella giustizia, nella vita eterna, dal momento che proprio Cristo è tutto questo. Forse che i sensi del corpo hanno i loro piaceri e l’anima non dovrebbe averli?… Dammi uno che ami, e capirà quello che sto dicendo. Dammi uno che arda di desiderio, uno che abbia fame, che si senta pellegrino e assetato in questo deserto, uno che sospiri alla fonte della patria eterna, dammi uno che sperimenti dentro di sé tutto questo ed egli capirà la mia affermazione. Se, invece, parlo ad un cuore freddo e insensibile, non potrà capire ciò che dico. Tu mostri ad una pecora un ramoscello verde e te la tiri dietro. Mostri ad un fanciullo delle noci, ed egli viene attratto e là corre dove si sente attratto: è attirato dall’amore, è attirato senza subire costrizione fisica; è attirato dal vincolo che lega il cuore. Se, dunque, queste delizie e piaceri terreni, presentati ai loro amatori, esercitano su di loro una forte attrattiva – perché rimane sempre vero che ciascuno è attratto dal proprio piacere – come non sarà capace di attrarci Cristo, che ci viene rivelato dal Padre? Che altro desidera più ardentemente l’anima, se non la verità? Di che cosa dovrà essere avido l’uomo, a qual fine dovrà desiderare che il suo interno palato sia sano nel giudicare il vero, se non per saziarsi della sapienza, della giustizia, della verità, della vita immortale?” (Trattati su Giovanni 26, 4-6) “Desiderium sinus cordis”. E’ il desiderio che rende il cuore profondo (dai Trattati su Giovanni 40.10 di S.Agostino).
Questa fede ha bisogno di silenzio contemplativo quello che, creando un vuoto di sé per Dio, dispone ad accoglierlo. Dio, infatti, per poter usufruire di noi, ha bisogno di una profonda tacitazione, un ”sonno delle potenze“ -direbbe Teresa d’Avila- per garantirsi dal rischio di turbare il suo progetto. Un silenzio che possa riconoscere il mormorio della sua voce dentro la vita e che permette di adorare la sua volontà. È vivo il Signore, dinanzi al cui Volto io sempre sto!» (1 Re 17, 1). Un silenzio che aiuta a vivere le esigenze stesse della fede: “Chi dite voi che io sia?” (Mt 16,15). Che sempre ci aiuta a verificare: Gesù è fondamento della vita? È veramente l’icona, l’immagine in cui contempliamo il Dio invisibile (cf. Col 1,15)? È presenza sempre accanto, che trasforma e riplasma la vita, ogni giorno? La risposta quotidiana a queste domande costituisce il segreto della fedeltà alle esigenze della sequela. Nella risposta si trova la misura della nostra fede e della nostra fedeltà alla nostra vocazione.
Questa fede, infine, richiede un’apertura costante: una porta sempre aperta all’azione di Dio in noi. Un’apertura assicurata dal vivere intensamente, ogni giorno, le richieste della nostra vocazione: la nostra preghiera, il nostro lavoro, le nostre relazioni e quanto offre il quotidiano, il tutto accolto e accettato dalle sue mani. Qui la fede balza in avanti: diviene certezza d’amore da parte di Dio sempre, si traduce in disponibilità senza riserve alla sua azione, senza inquietudine, senza recriminazione e si evolve, gradualmente ma chiaramente, verso il desiderio/bisogno il “perdersi” totalmente nel Signore per il bene del mondo. “Per me il vivere è Cristo e il morire un guadagno” ( Fil 1, 20).
Monstero Janua Coeli