Leone XIII, il 1887 e due sante Teresa Martin e Katharine Drexel

L’incontro tra Teresa Martin e Leone XIII, avvenuto domenica 20 novembre 1887, è un episodio giustamente molto noto della biografia teresiana. Rileggiamo uno stralcio del racconto uscito dalla penna della stessa Teresa:

 

“Un minuto dopo ero ai piedi del Santo Padre; baciai la pantofola, egli mi porse la mano, ma io, invece di baciarla, giunsi le mani mie e alzai verso lui gli occhi pieni di lacrime: «Santo Padre – dissi -, ho da chiedervi una grazia grande». Allora il Sommo Pontefice abbassò la testa verso me, in modo che il mio volto quasi toccava il suo, e vidi i suoi occhi neri e profondi fissarsi su di me, parve che penetrasse in fondo all’anima. «Santo Padre – dissi – in onore del vostro giubileo, permettetemi di entrare nel Carmelo a quindici anni!…». L’emozione certo mi fece tremare la voce, cosicché il Santo Padre, volgendosi a Monsignor Révérony, il quale mi guardava meravigliato e scontento, disse: «Non capisco molto bene». Se il buon Dio l’avesse permesso, sarebbe stato facile che Monsignor Révérony mi ottenesse ciò che desideravo, ma invece volle darmi la croce e non già la consolazione. «Beatissimo Padre – rispose il Vicario Generale – è una bambina che desidera entrare nel Carmelo a quindici anni, ma i superiori stanno esaminando la questione». «Ebbene, figlia – rispose il Santo Padre guardandomi con bontà -fate ciò che vi diranno i superiori». Allora, appoggiando le mani sulle sue ginocchia, tentai un ultimo sforzo e dissi con voce supplice: «Oh! beatissimo Padre, se voi diceste «sì, tutti sarebbero d’accordo!…». Mi guardò fissamente, e pronunciò queste parole appoggiando su ciascuna sillaba: «Bene… bene… Entrerete se Dio lo vorrà! . ..» -. (La sua espressione era così penetrante e convinta, che mi pare d’intenderlo ancora). Poiché la bontà del Santo Padre mi dava animo, volli parlare ancora, ma le due guardie nobili mi toccarono gentilmente per farmi alzare; e vedendo che ciò non bastava, mi presero per le braccia, e Monsignor Révérony le aiutò a sollevarmi, perché io restavo ancora con le mani giunte appoggiate alle ginocchia di Leone XIII, e mi strapparono di peso dai suoi piedi… Nel momento in cui mi trasportarono via così, il Santo Padre posò la sua mano sulle mie labbra, poi l’alzò per benedirmi, allora gli occhi mi si empirono di lacrime, e Monsignor Révérony poté contemplare per lo meno altrettanti diamanti quanti ne aveva visti a Bayeux”.

 

Leone e Katharine

Ciò che è invece meno noto è un altro incontro altrettanto decisivo, avvenuto alcuni mesi prima, tra Leone XIII ed una non altrettanto giovanissima Katharine Drexel (1858-1955), all’epoca ventottenne. Racconterà la futura santa alcuni decenni più tardi:

 

“In ginocchio ai suoi piedi, nella mia immaginazione infantile (sic!) pensavo che sicuramente il Vicario di Dio non mi avrebbe detto di no. Così ho supplicato che mandasse sacerdoti missionari per gli indiani del vescovo O’Connor. Con mio grande stupore Sua Santità rispose: «Figlia mia, e perché non diventi tu una missionaria?».

 

Convergenze e divergenze

Due storie di santità estremamente diverse che convergono in uno stesso punto, davanti al grande papa Leone XIII, nel cinquantenario della sua ordinazione sacerdotale (1837). Teresa desidera entrare in monastero ad un anno della sua conversione di Natale (1886), Katharine invece, ancora alla ricerca della sua vocazione, che supplica il papa di inviare missionari in aiuto al suo direttore spirituale James O’Connor (1823-1890), primo vescovo di Omaha in Nebraska, diocesi che comprendeva anche il South Dakota dove erano insediate numerose tribù indiane. Teresa che aveva davanti una decina d’anni prima delle nascita al Cielo, Katharine che invece, compresa la sua vocazione e ottenuto, dopo cinque anni di intensi dialoghi, il permesso del suo direttore spirituale, si preparava a ben 68 anni di vita apostolica. Entrambe con un grande desiderio di dedizione totale,  una filiale fiducia nel Vicario di Cristo, entrambe destinate, a partire da quell’incontro con Leone XIII, ad una fecondità spirituale immensa.

 

Scriverà Katharine, nel novembre 1888, al vescovo O’Connor: “Spesso ricordo che durante il nostro viaggio nel West mi ha chiesto molte volte con aria divertita: «Che cosa ti rende così triste?». Il mio cuore era triste perché ero condannata secondo il suo giudizio a una vita nel mondo che detesto. Mi sarà impedito di dire «Mio Dio, Mio tutto» finché non sarò consacrata al Signore, perché Lui è, o almeno io desidero che sia, il mio tutto e voglio amare in povertà, castità e obbedienza”.

 

“Sono una delle donne più felici del mondo”

 

Congediamoci allora da Katharine con due pensieri “teresiani”. Nel discorso per il cinquantesimo anniversario della fondazione della congregazione (1941), ricorda innanzitutto santa Teresa d’Avila: “Voglio semplicemente dirvi queste sorelle: voglio dirvi che ringrazio Dio per essere una figlia della Chiesa. Ringrazio Dio per il privilegio di aver incontrato grandi missionari della Chiesa e di essere stata oggetto delle preghiere di questi grandi missionari […]. Ringrazio Dio per avermi dato la grazia di partecipare alle loro vite. Sono parte della Chiesa di Dio e ringrazio Dio, come la grande santa Teresa, perché anch’io sono una figlia della Chiesa”.

 

In una lettera invitata dopo una visita alla comunità di St. Michel nel 1903, un anno dopo l’inaugurazione della scuola tra gli indiani Navajo, ribadisce una verità, cara alla stessa Teresa di Lisieux: “Quando vi guardavo, vergini madri dei poveri Navajo, il mio cuore era pieno di gratitudine a Dio perché Egli, oltre ogni aspettativa, ha soddisfatto il desiderio che Lui stesso mi aveva dato, di fare qualcosa per questi poveri pagani. Voi sapete che Dio mi ha dato questo desiderio uno o due anni prima di entrare in convento, addirittura prima che avessi osato sognare che Dio avrebbe permesso di farmi suora. E così, in questa visita, ho guardato con stupore alle vie meravigliose di Dio e ho pensato a quanto poco intuiamo quale possa essere il risultato dell’ascoltare e del prendere sul serio un desiderio che Egli mette nel cuore. Se Egli lo mette nel cuore, lo benedice quando cerchiamo di dargli seguito, e grande sarà l’esito di fronte a Dio. Sarà un successo davanti a Dio, anche se non è così per la nostra debole comprensione perché l’intenzione di Dio è ciò che Egli soffia dentro l’anima porti frutto per la vita eterna …”. [cfr. American Dream –  In viaggio con i santi americani, a cura di Mathieu S. Caesar e Pietro Rossotti, Marietti, Genova, 2016]

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