«Da quanto abbiamo detto risulta anche quale significato rivesta la conoscenza della personalità estranea ai fini della nostra “autoconoscenza”. Essa non solo c’insegna, come abbiamo in precedenza visto, a porci come oggetto di noi stessi, ma porta a sviluppo, in quanto empatia di “nature affini” ossia di persone del nostro tipo, quel che in noi “sonnicchia” e perciò ci rende chiaro, in quanto empatia di strutture personali diversamente formate, quel che non siamo e quel che siamo in più o in meno rispetto agli altri. Con ciò è dato al tempo stesso, oltre all’autoconoscenza, un importante aiuto per l’autovalutazione. Il fatto di vivere un valore è fondante rispetto al proprio valore. In tal modo, con i nuovi valori acquisiti per mezzo dell’empatia, lo sguardo si dischiude simultaneamente sui valori sconosciuti della propria persona. Mentre, empatizzando, c’imbattiamo in sfere di valore a noi precluse, ci rendiamo coscienti di un proprio difetto o disvalore».
Stein Edith, Il problema dell’empatia, pp. 227-228, Edizioni Studium, Roma, 1985.