La nube della non-conoscenza

«O Dio, che vedi i segreti dei cuori
e conosci i nostri pensieri,
infondi in noi il tuo Spirito santo,
perché purificati nell’intimo,
possiamo amarti con tutta l’anima
e celebrare degnamente la tua lode.
Amen».

Per quanto si sia tentato dì scoprire chi è l’anonimo autore della Nube, questi continua a restare nascosto dietro la propria opera, com’era evidentemente sua intenzione. È pressoché impossibile desumere alcunché sulla sua vita a partire dalla sua opera. Si può semplicemente dire che, terminati gli studi a Oxford o a Cambridge, esercitò il ministero di sacerdote, religioso o secolare.
Egli è piacevolmente libero dalla miopia spirituale e dal rigorismo ascetico, e ha grande comprensione per le difficoltà iniziali del lettore. Pur possedendo una formazione teologica ampia e fondata, fa capire che l’erudizione teologica non offre affatto una garanzia per esperienze spirituali, anzi può essere loro d’impedimento. Una parte del suo pubblico di lettori deve essere costituita da persone che vivevano ritirate dal mondo, in monasteri o come eremiti. Che costoro vivessero soprattutto in campagna è inoltre suggerito dal tatto che l’autore sceglie i suoi paragoni illustrativi prevalentemente dall’ambiente rurale. Il suo compito specifico consisteva senz’altro nell’occuparsi, come direttore d’anime , di persone che si proponevano I’obiettivo dell’esperienza mistica. Alcune delle sue opere sono concepite addirittura come risposte scritte a questioni suscitate dalla cerchia dei suoi seguaci. In parte però i suoi destinatari sono anche lettori che continuavano a praticare una vita attiva, cercando di arricchirla mediante l’esperienza spirituale. La contemplazione – osserva il Nostro – ha a che fare essenzialmente con la libertà spirituale, e il raggiungimento della libertà dei figli di Dio nel senso dell’apostolo Paolo (Rm 8,21) costituisce il presupposto per un incontro diretto con lui.

La Nube è a ragione la sua opera più nota, poiché vi sviluppa le idee fondamentali della propria mistica, mentre gli altri scritti contengono sostanzialmente integrazioni e modificazioni delle sue idee principali.

Un tratto comune delle sue opere è che sono fortemente ancorate alla Bibbia e alla tradizione della teologia latina. L’autore si sforza anche notevolmente di prendere le distanze da movimenti pseudo-mistici, che erano alquanto numerosi anche in quel tempo. Inoltre sembra particolarmente degno di nota il fatto che in questi testi il desiderio di un’esperienza contemplativa di Dio non sia motivato primariamente dal disinganno per il mondo.

Un numero crescente di lettori in questi ultimi decenni ha riconosciuto l’importanza della Nube per il rinnovamento della spiritualità nel nostro tempo. Fra i motivi per i quali questo testo suscita tanto interesse c’è la rinuncia al rigorismo ascetico, oltre al tatto che in esso ci viene incontro un autore che ispira fiducia, perché parla sulla base della propria esperienza personale.
Al lettore viene spiegato chiaramente che egli finora ha trascorso il suo tempo, che è qualcosa di molto prezioso e irrecuperabile, del tutto inutilmente. L’affermazione centrale, contenuta nella seguente frase, suona molto moderna: «Il tempo è fatto per l’uomo e non l’uomo per il tempo». lI nostro autore giudica il tempo a partire dall’eternità di Dio, ne fa notare il carattere effimero e lo pone sotto la pretesa di Dio: Dio, come datore del tempo, esige che gli si renda conto del come esso viene utilizzato. Lo usa nel modo giusto chi resta attento e aperto alla possibilità dell’incontro con Dio. Questo incontro però avviene sempre per brevi momenti, e tali momenti sono riconosciuti come punti d’incrocio tra il tempo e l’eternità; per questo suscitano il desiderio di un loro ripetersi frequente .

Ma come si verifica, per l’autore della Nube, l’esperienza del Divino? Il nostro testo concorda con molte altre opere mistiche nel dire che è impossibile all’uomo conoscere Dio col solo mezzo del proprio intelletto limitato, poiché Dio, il Tutt ‘Altro, si sottrae a ogni tentativo di «afferrarlo». E’ possibile però arrivare a un’esperienza diretta di Dio mediante l’amore. Ed è proprio di ciò che si tratta nell’« opera» mistica, di cui il nostro autore parla così spesso. Essa consiste fondamentalmente in un moto dell’amore, orientato a Dio in termini del tutto incondizionati. «Inteso in senso giusto, non si tratta d’altro che di un moto d’amore improvviso, che altrettanto improvvisamente e velocemente balza in Dio, come una scintilla schizza dal carbone infuocato». Attraverso questo amore l’uomo può arrivare all’esperienza della presenza divina. Delle tre forze dell’anima: la memoria, l’intelletto e la volontà, note alla teologia medievale, il nostro autore quindi pone il più grande accento sulla capacità di volontà dell’uomo, poiché la dedizione dell‘amore è un moto della volontà dell’anima. Alla volontà però viene attribuita questa forza propriamente conoscitiva allorquando essa sì orienta a Dio come alla propria origine e cerca di porsi in sintonia con la volontà divina. Il peccato viene definito quindi come la distruzione dell’unità originaria tra la volontà umana e quella divina, anzi semplicemente come volontà male orientata.

La nostra Nube è stata messa spesso in rapporto con il buddismo, Anzi, si è addirittura cercato di porre in sintonia la sua dottrina mistica con esso. Ma la mistica cristiana non è quietistica; né scopo della Nube è la negazione della volontà. La volontà resta. L’uomo cerca soltanto di assimilare la propria volontà a quella di Dio.

L’«opera» mistica viene proposta al lettore in tre gradi. Come fondamento serve la lettura della Bibbia, poiché attraverso di essa l’uomo esperimenta quanto la propria volontà sia male orientata e quali ne siano le conseguenze. La Bibbia è uno specchio mediante il quale l’uomo arriva, in un secondo grado, alla meditazione, dove impara a conoscere se stesso. La conoscenza del proprio io conduce all’umiltà davanti a Dio e allo stesso tempo al desiderio di essere liberati dal peccato. Tale liberazione è necessaria, prima che sia possibile una qualsiasi esperienza spirituale. Segue quindi, in un terzo grado dell’opera mistica, la preghiera spirituale, nella quale ci si concentra completamente su Dio, escludendo tutti i pensieri e i desideri concreti. Per spiegare questo atteggiamento il nostro autore ricorre volentieri all’espressione metaforica dell’anima che si rivolge nuda a Dio e si dà a lui ciecamente e incondizionatamente.

L’esclusione di ogni pensiero concreto implica l’esclusione di ogni riflessione consapevole su Dio. L’anima non è neanche più interessata a voler «avere» Dio. Inoltre, essa lo ama non per qualcuna delle sue qualità. Per lei Dio, in quanto «Colui che è», è anche la fonte della sua vita. Qui il nostro autore non arriva fin dove è arrivato Meister Eckhart che in un’esagerazione radicale chiede all’uomo di «liberarsi» anche di Dio. Ma la Nube s’avvicina molto a un’affermazione del genere. L’autore infatti fa chiedere al lettore se, per fare esperienza di Dio, non debba intrattenersi nel Nulla; e risponde egli stesso che Dio si trova appunto nel Nulla. Tutti i grandi mistici che seguono lo Pseudo-Dionigi sanno che qui – come s’esprimerà così adeguatamente Nicola Cusano, alcuni decenni dopo la Nube – si verifica una «coincidentia oppositorum» e che il Nulla si disvela paradossalmente come la pienezza dell’essere: «Chi si permette di chiamarlo Nulla? Certamente il nostro uomo esteriore, non quello interiore; quello interiore lo chiama il Tutto».

Questo intrattenersi nel Nulla è una specie di morte spirituale, poiché si spengono soprattutto l’intelligenza e la ragione, come si dice nel Trattato sullo studio della sapienza. Ma si tratta di un «morire per vivere». L’uomo che si spoglia in tal modo, entra in una «nube della non conoscenza», che nella sua vita non riuscirà mai a superare. Ma quando pratica l’amore e cerca di trapassare l’ostacolo di questa nube con il dardo acuminato del suo amore, accade che Dio qualche volta gli mandi raggi della sua luce divina. Tutti i pensieri concreti, che distraggono, compresa la forza d’attrazione delle cose materiali, non riescono più a disturbarlo, poiché egli ha soffocato tutto sotto una nube di dimenticanza. Ovviamente, specialmente per il principiante, questo tentativo di tenersi libero da tutti i pensieri e i desideri costituirà la vera e propria fatica in quest’opera. E il successo arriva dopo non poca pratica, come osserva il nostro autore.

Non si può parlare dell’anima che «abita» nella nube oscura, senza ricordare la «notte oscura» dell’anima del grande mistico spagnolo Giovanni della Croce, del sec. XVI. In Giovanni l’anima, in questa notte oscura, soffre tormento e pena, poiché esperimenta la propria nullità di fronte alla presenza divina. L’anima si sente rifiutata da Dio, respinta, consegnata alla dannazione infernale. Il nostro autore invece, nei confronti di questa tendenza radicale, usa un tono molto più moderato: non spinge il lettore ad una simile disperazione, anche se pure lui nota che il trattenersi nella nube della non conoscenza non è solo caratterizzato dalla gioia dell’incontro con Dio, ma comporta anche un periodo di attesa nell’incertezza, e persino di morte e di annientamento. Questo moto dell’amore si esprime nella già menzionata preghiera mistica, che si compie fondamentalmente al di là del linguaggio. Quando però questa preghiera puramente spirituale risultasse troppo difficile, si deve ricorrere, come aiuto, alla pronuncia di una breve parola, come ad esempio il termine Dio, e far concretizzare in essa il moto dell’amore. Il nostro autore chiarisce il tipo speciale di questa preghiera con la sua capacità di illustrare procedimenti astratti ricorrendo ad immagini.

Il «fondo dello spirito e dell’anima» di cui si parla qui non va messo sullo stesso piano – come s’è già accennato – del famoso fondo dell’anima di Meister Eckhart, poiché il nostro autore non conosce la concezione eckhartiana della nascita di Dio nel fondo dell’anima. Questo fondo dello spirito, nella Nube, è il centro intimo dell’anima, il suo essere proprio, che l’anima ha da Dio. Il nostro testo fa sua anche l’idea della divinizzazione dell’anima, che ha una lunga tradizione, e spiega che essa, mediante l’opera della sua donazione mistica, viene resa simile a Dio. Ma l’autore si affretta ad aggiungere che, ciò nonostante, l’uomo resta ben al di sotto di Dio. L’unione mistica, pur basandosi sulla volontà, non può essere provocata da uno sforzo della medesima. Il nostro testo parla piuttosto di questo evento come di un dono di grazia da parte di Dio. E aggiunge che non ogni attesa di tale esperienza trova compimento e che, d’altro canto, l’anima che fa tale esperienza, ne può essere anche privata improvvisamente.

Il nostro autore fa una precisazione. La dedizione incondizionata e «nuda» all’essenza infinita di Dio nella nube della non conoscenza non può condurre ad una fusione totale dell’uomo con Dio stesso, poiché l’uomo, anche in quei momenti di esperienza mistica, continua ad essere legato alla propria creaturalità. E’ importante riconoscere questo, se si vuole comprendere la peculiarità della mistica cristiana, nei confronti, ad esempio, del buddismo. La dottrina della Nube non può essere intesa nel seguente modo: l’uomo cerca di liberarsi completamente del proprio io, per entrare nell’infinito con un atto estatico. In tal caso la disillusione dell’uomo al suo ritorno nel finito sarebbe troppo grande. Il nostro testo piuttosto rispecchia esattamente il paradosso fondamentale della mistica cristiana: Dio viene visto come una entità infinita, non descrivibile e comprensibile in categorie umane, e che quindi è comprensibile solo per negazione, mediante una definizione di ciò che non è. D’altro canto Dio nella mistica cristiana si presenta all’uomo come un Tu personale, e l’uomo è abilitato al dialogo con lui, perché ha in sé la similitudine di Dio, che viene restaurata («riformata») nella sua condizione originaria proprio nell’incontro mistico. Non meraviglia dunque che nel medioevo si sia tentato spesso di unire anche la mistica «negativa» dello Pseudo-Dionigi con una mistica personale riferita a Cristo. La mistica cristiana quindi è qualcosa di diverso dallo yoga buddista, che non è rapporto personale con Dio, bensì una tecnica di meditazione.

L’autore della Nube sottolinea che l’amore di Dio dei contemplativi è suscitato da una precedente immersione nell’umanità di Cristo e spiega ciò ricorrendo al noto episodio neotestamentario di Marta e Maria. Il Medioevo ha amato interpretare la visita di Gesù a Marta e Maria, e il diverso comportamento delle due sorelle, in senso mistico, intendendo le due donne come simboli delle forme contrarie della «vita attiva», e della «vita contemplativa», con diverse accentuazioni a seconda dei diversi autori. L’autore della Nube presenta Marta e Maria come simboli della vita attiva e contemplativa, ma tenendo presente i suoi lettori, familiari con la vita di corte, colloca le due figure in una cornice cortigiana. Così Gesù si rivolge all’indaffarata Marta con raffinata cortesia ed evita di parlare con disprezzo della sua attività. Il nostro autore aggiunge addirittura che Marta è stata una grande santa. Già per questo motivo dunque non sarebbe giusto definire la Nube come un testo che conosce come unica forma di vita quella contemplativa. Ovviamente. il nostro autore ha presentato il rapporto tra Gesù e Maria con maggior calore.

Occorre sottolineare, per amore di completezza, che l’amore mistico dell’uomo verso Dio non è qualcosa di essenzialmente diverso dall’amore che viene richiesto ad ogni cristiano, vale a dire l’amore di Dio e del prossimo. Su questo punto il nostro autore cita la nota espressione paolina: «L’amore è il compimento della legge» (Rm 13,10). Perciò l’amore mistico è diverso dalla «caritas» del fedele normale solo per il suo grado d’intensità. Così il nostro testo si pone in sintonia con la tradizione della mistica cristiana, secondo la quale la spiritualità mistica non si contrappone alla pietà del cristiano normale: non è altro che una forma più intensa di essa. Con la sua «opera» mistica il contemplativo si sente unito a tutti gli uomini nell’amore e si sente chiamato al concreto amore per il prossimo.

Del testo medievale della Nube della non-conoscenza ci sono stati conservati 18 manoscritti, provenienti da un arco di tempo di circa 300 anni. Da ciò si può vedere come l’opera, nonostante il suo tono spirituale elevato, abbia goduto di una notevole diffusione, senza contare che i manoscritti venivano spesso prestati e circolavano intensamente. Alla diffusione del nostro testo contribuirono soprattutto i certosini. Senza dubbio la Nube fu composta anche con l’obiettivo secondario di avvertire sulla pericolosità dei movimenti pseudo-religiosi. Sappiamo inoltre che nel corso del tempo la Nube è stata la lettura preferita di personalità molto importanti e, allo stesso tempo, quanto mai diverse tra loro.

Come libro stampato, la Nube apparve per la prima volta nel 1871 nella versione incompleta di Baker, e così iniziò a esercitare la sua influenza nel nostro tempo. Non può essere un caso che sia stata riscoperta proprio negli ultimi decenni del sec. XIX, dopo un lungo periodo di dimenticanza. Già allora infatti incominciavano a delinearsi i problemi particolarmente attuali della società industrializzata. Già allora si sollevavano dubbi su un ingenuo ottimismo basato sul progresso. E di fronte allo scetticismo che andava diffondendosi a motivo delle nuove conoscenze in scienze naturali, era nato anche, per reazione, il bisogno di una spiritualità rifondata alla quale ha contribuito in maniera notevole soprattutto il cardinale John Henry Newman. In questo contesto va considerato anche il nuovo interesse per testi come la Nube. 

La Nube è molto più di un testo di meditazione. Mediante l’«opera» descritta in essa, il lettore è in grado di arrivare a un’esperienza vitale del Divino, senza dover percorrere la spiritualità del buddismo, non familiare all’uomo occidentale. Del resto la Nube può servire molto bene a promuovere il dialogo tra le religioni.


Fausto Ferrari

LA NUBE DELLA NON-CONOSCENZA Autore ignoto

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