La grazia della tristezza

Il 15 settembre, il giorno dopo la solennità dell’Esaltazione della Croce, la Chiesa fa memoria della Madonna Addolorata. Ho celebrato la messa con un gruppo di miei amici che sono dichiarati invalidi per malattie psichiatriche. Nel corso della nostra amicizia ognuno di essi, prima o poi, mi ha parlato di una vita triste in cui o la malattia o altri motivi hanno fatto mancare loro occasioni di lavoro, affetto, compagnia, educazione, cioè di vita. Quando ho chiesto che tipo di dolore provava la Madonna sotto la croce, senza indugio mi hanno risposto che il dolore che provava la Madonna era la tristezza.

A quel punto ho condiviso con loro ciò che disse una volta don Giussani sulla disperazione e la tristezza. Le risposte incerte dei suoi interlocutori non lo soddisfacevano, perciò spiegò che l’opposto della disperazione è la tristezza. Infatti la tristezza consiste nella consapevolezza di un bene che manca, che si è perso, che è stato tolto o che non è ancora arrivato o non è completamente realizzato. Quindi pur essendo dolorosa la tristezza consiste interamente nella coscienza di un bene; quella consapevolezza di un bene che invece manca nella disperazione. Facendo un passo ulteriore, ho detto agli amici che la tristezza e la speranza per il possesso di un bene eterno sono strettamente collegate; ma poiché ho visto stampate sui loro volti perplessità e confusione, ho raccontato questa storia.

Per motivi che ora non sto a spiegare, accadde che mio padre non volle più vedermi né sentirmi. Andai da lui disposto a fare qualunque cosa per rimediare la rottura, ma risultò che era impossibile. Avvenne di mattina. Uscii di casa frastornato e camminai per ore senza direzione. Verso il tramonto mi trovai in un parco fuori città e mi misi a sedere. Non riuscivo più a muovermi. Ero come paralizzato da una tristezza in cui ero completamente sprofondato, una forza dalla quale mi sentivo portare via la vita. Quello stato d’animo mi sembrava come un diluvio di pioggia che cade sopra una collina priva di erba e cespugli. L’acqua che cade scava, porta via la terra e dopo un certo tempo la collina non c’è più. Ecco, quella collina ero io. Trascorsi così delle ore e non trovavo la forza di alzarmi.

Improvvisamente mi venne un’idea nuova: potevo pregare. E cominciai, senza grande entusiasmo, a dire delle Ave Maria. In quel momento tutto cambiò. Era come se la Madonna stessa fosse venuta ad abbracciarmi, e così facendo, abbracciasse anche la mia speranza. Questo trasformò la tristezza da un diluvio che mi portava via la vita in un pozzo profondo al quale, ora, potevo attingere. Il dolore rimase, ma non era più nemico della vita. Il rapporto con mio padre, venuto meno anche per la mia propria colpa, non era causa di disperazione; stava dentro una speranza più grande, e la coscienza di ciò che manca era salvata dalla grandezza di ciò che è promesso. La Madonna, come ha detto don Giussani, è davvero la sicurezza della nostra speranza. Guardando gli occhi dei miei amici invalidi ho potuto vedere che capivano questa storia. Ho visto che tanti dei loro sguardi non erano più fissati su di me, ma sulla statua della Madonna che era a fianco a me, la Madonna Addolorata. Forse anche loro stavano sperimentando la possibilità che la tristezza non contraddice la vita, ma anzi ci permette di vivere di più.

Forse anche loro hanno capito che la tristezza è il contrario della disperazione.

Don Vincent Nagle

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