Come dito puntato verso il cielo la vita si sviluppa, trama dopo trama, nei luoghi dell’ascolto, del silenzio, della veglia. Un “altro” rapporto col tempo, con lo spazio, con le cose, ci porta a precedere l’alba col canto della lode; ci spinge a entrare nella Parola perché con noi avvii il suo corso e giunga ai confini di ogni vivente; ci trasporta nei meandri del silenzio dove è possibile collocare ogni cosa in un orizzonte di significato ultimo ed essenziale. Così, una vita vissuta sul limine, procede cercando quotidianamente di incamminarsi sulle vie dello Spirito. Giochiamo l’esistenza, nell’esercizio diuturno del “vedere dentro”, nell’allenamento a proiettare eventi, situazioni, incontri nella dimensione di “quell’Altrove” che tutto sostanzia e sugella. Come dono e compito, il nostro vivere in amicizia con Dio e tra noi, si espleta sul terreno, sempre lavorato, della maturità personale di donne e madri e si pone alle nostre vite come un imperativo perché nella dialettica del suo esprimersi, divenga sorgente di comunione per noi e testimonianza evangelica di amore reciproco per il mondo. Il nostro incamminarci alla ricerca del volto di Dio, poi, oltre ad essere tensione personale e comunitaria, è una forma di “apostolato” per l’uomo di oggi, sempre più smarrito e alla ricerca di senso e orientamento. La nostra vita, i luoghi del nostro quotidiano, infatti, diventano, sempre più spesso, meta reale o virtuale, per tanti che hanno bisogno di incontrare Dio nella loro storia. La preghiera liturgica, il silenzio, la semplicità di una vita scandita tra preghiera e lavoro, la condivisione semplice sulla scia delle piccole cose, diventano per noi e per chi ci accosta, luoghi dello Spirito, spazio fecondo di incontro con Colui che mai smette di cercare e amare. Ci accorgiamo di essere come degli indicatori di essenziale, un richiamo di eternità, uno spazio esperienziale nel quale la scelta di aderire totalmente a Gesù, il contatto personale con Lui attraverso la sua Parola ascoltata, ruminata, meditata, pregata, e i sacramenti, sono via privilegiata per entrare in comunione con Lui e per testimoniare il suo amore, la sua fedeltà, la sua misericordia. Una vita quasi antidoto all’amore disordinato, dove giorno per giorno, col sudore dell’allenamento, la fatica delle cadute, il dolore delle ferite e l’invocazione incessante, si cerca di acquistare un abito virtuoso che consente di rivestirsi dei sentimenti di Cristo, di amare come lui fino alla fine, di pensare e si agire come lui. “Gettate” nel torchio trasformante della Grazia, infatti cresciamo via via nella consapevolezza di possedere il tesoro nascosto, la perla preziosa e, anche se ci ritroviamo ripetutamente posizionate sui bordi del nostro limite, e forse anche oltre, prevale la gioia. Gioia di amare, di donare, di offrire. Gioia del silenzio custode di una Presenza, di un raccoglimento centrato nell’ascolto; del cammino di umiltà dentro cui si impianta la certezza di una potenza che guarisce, libera, salva; gioia del sacrificio inteso come sacrum-facere : rendere sacra anche l’azione più ordinaria e umile. Tutto questo non come utopia o distorsione della realtà ma appunto come consapevolezza di dono e compito costante di dimorare in Cristo e di appartenergli.
«Il carisma contemplativo di voi monache deve essere umile richiamo all’Eterno, all’essenziale, al Cielo». (Beato Paolo VI )