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Introduzione Das Gebet der Kirche, La preghiera della Chiesa letterariamente si presenta come un breve saggio, richiesto dalla Accademia S. Bonifatius di Paderborn, ma nel quale con intensità ed imprimendo un sigillo personale, l’autrice ha dato anche questa volta l’essenza del suo pensiero e della sua esperienza. E lo ha fatto con quella eccellenza propositiva ed esperienziale che è tipica del suo stile fenomenologico. Ma il libro ci appare sempre di più, in una rilettura teologica, come un auto-ritratto spirituale di Edith Stein, in quella sua immedesimazione con la Chiesa in preghiera che ha portato qualcuno a definirla come una vera immagine della Ecclesia orans. Già la sua madre aveva detto di «non avere mai visto alcuno pregare come E. Stein…»(2) E un monaco benedettino aveva espresso così la sua impressione, condivisa probabilmente da altri membri della sua comunità, in una lettera alle monache di Colonia dopo aver visto Edith pregare durante la settimana santa a Beuron:
Edith Stein immagine viva della «ecclesia orans». Ecco una formula espressiva e sintetica per caratterizzare la figura spirituale di Edith Stein, personificazione della preghiera della Chiesa. Di tale esperienza questo piccolo volume è una manifestazione e riverbera una icona vivente. L’opera, scritta nel Carmelo di Colonia nel 1936, è frutto della sua sensibilità liturgica, con radici nella sua infanzia e nella sua conversione al cattolicesimo, ma con la sintesi che la sua esperienza di carmelitana compie circa il valore complementare della liturgia e della contemplazione, della preghiera liturgica e di quella personale. La richiesta che riceve dalla Accademia San Bonifatius di Paderborn trova una pronta risposta, anche se probabilmente Edith Stein ha dovuto concentrare in poche pagine il suo pensiero.(4) Ha diviso l’opuscolo in tre parti, precedute da un breve prologo, e concluso con una bella preghiera della liturgia romana. I titoli di queste tre parti indicano già chiaramente il contenuto:
Alcune note bibliche e qualche indicazione bibliografica dell’autrice arricchiscono il testo. Accanto ad altri piccoli saggi di carattere liturgico della nostra autrice, Das Gebet der Kirche rivela la sua fine sensibilità liturgica. Ma insieme ci rivela che Edith Stein vive nel clima di rinnovamento liturgico che si sperimenta con entusiasmo nella Germania degli anni trenta, preparata da gruppi come il Quickborn di Guardini. Ma si possono trovare le tracce di grandi autori che hanno fatto di Maria Laach e di Beuron, quest’ultima abbazia è la sua patria spirituale, luoghi di rinnovamento liturgico. Che Edith si muova nell’ambiente del rinnovamento liturgico lo dimostrano per esempio queste sue parole: «Quando, nelle feste solenni, i fedeli affluiscono nelle cattedrali o nelle chiese abbaziali, quando partecipano attivamente e con gioia alle forme rinnovate della liturgia, dimostrano che la loro vocazione è la lode divina».(5) Ma in quest’opera di E. Stein troviamo anche echi sottili della polemica allora in corso in Germania circa alcuni punti chiave del rinnovamento liturgico e nella quale interviene con equilibrio anche R. Guardini con la sua lettera al Vescovo di Magonza contro le esagerazioni dei progressisti e dei conservatori.(6) Ciò viene in evidenza sia nella appassionata difesa della preghiera personale come preghiera ecclesiale, accanto al valore della liturgia, sia dal cenno che ella fa alla distinzione che sembra risalire all’abate di Maria Laach Ildefons Herwegen fra pietà oggettiva e pietà soggettiva, che lei non accetta se si tratta di opporre due valori genuini. «Ne consegue, scrive Edith, che non si può opporre la preghiera interiore, libera da ogni forma tradizionale, «pietà soggettiva», alla liturgia, che è la «preghiera oggettiva» della Chiesa. Ogni autentica preghiera è preghiera della Chiesa: mediante ogni preghiera sincera qualcosa avviene nella Chiesa ed è la Chiesa stessa che prega perché è lo Spirito Santo, che in essa vive, che in ogni singola anima «prega per noi con inenarrabili sospiri».(7) Anche per questo intervento pacato e profetico alcune pagine di E. Stein ritrovano posteriori risonanze in alcuni testi del magistero postconciliare della Chiesa cattolica, a proposito della ritrovata armonia fra preghiera liturgica e preghiera personale. Prendere in mano questo gioiello, per farne una rilettura teologica, è una gioia dello spirito ed una occasione per mettere in luce alcune linee fondamentali della sua autrice che ha consumato nell’olocausto del suo martirio, come gli antichi martiri, l’offerta ed il sacrificio di quella liturgia di Cristo e della Chiesa della quale ella discorre in questo libro. La densità e insieme la semplice linearità dell’esposizione di Edith Stein ci permette di tracciare alcune linee ermeneutiche fra le quali ci sembra opportuno privilegiare, come aspetti della sua anima di «Ecclesia orans», le radici ebraiche della liturgia e della preghiera cristiana, l’aspetto ecclesiale, la sensibilità carmelitana, la forte connotazione antropologica, la stupenda integrazione del cosmo. Lo stile di Edith, ormai il suo modo di vedere e descrivere le cose, è quello fenomenologico: sa cogliere il valore e l’eccellenza della liturgia e della preghiera liturgica e di quella personale a partire dall’esperienza spirituale in atto, con tutto il suo essere, calato nel mondo, fra cielo e terra, e arriva così a farci assaporare l’azione stessa del celebrare e del pregare, la dimensione della totalità e della bellezza. La nostra rilettura teologica cerca semplicemente di sottolineare alcuni elementi caratteristici dell’opera dando ampio spazio alla voce stessa di Edith Stein, maestra e modello di una teologia e di una spiritualità liturgica. 1. Preghiera della Chiesa, vita della Chiesa Il titolo La preghiera della Chiesa indica subito una convinzione: l’indissolubile unità fra la preghiera e la vita. Autentica vita cattolica sarà sempre la vita liturgica. La vita di chi prega con la Chiesa in Spirito e verità, viene formata da questa preghiera, la preghiera della Chiesa. Una Chiesa che trova la sua sorgente nella Trinità, che è comunione di vita, ma che è già presente in ogni persona. In questo modo come la magnifica ouverture di una sinfonia, il breve e denso prologo del libri mette le cose al centro, nella dimensione trinitaria della vita e della preghiera, con la dossologia del canone romano: “Per Lui, con Lui, e in Lui, a Te, Dio Padre onnipotente, nell’unità dello Spirito Santo, ogni onore e gloria”. Nell’indissolubile unità trinitaria, nel flusso della vita che viene dal Padre per Cristo e nello Spirito e al Padre ritorna nello Spirito per Cristo, si trova il respiro di una vita che, come si vedrà, tutto raggiunge, l’umanità e il cosmo. Di questo duplice flusso ascendente e discendente, con un pizzico di originalità, l’autrice coglie le implicazioni del «per Cristo», «con Cristo» e «in Cristo» quando afferma:
Ma già qui troviamo una affermazione programmatica che verrà in seguito ripresa: «ogni uomo che prega è membro del suo mistico corpo».
In Edith Stein come nella preghiera della Chiesa vi è una radice giudaica. Il fiume della Bibbia dell’Antico Testamento, la prima alleanza, feconda tutta la liturgia ecclesiale. E tutto l’opuscolo ne è come una apologia di questa continuità. Edith sembra rivivere qui i ricordi dell’infanzia, le preghiere domestiche presiedute dalla madre, la liturgia sinagogale, le feste annuali, in modo speciale le festa di Pasqua e dello Yom Kippur, di cui ella ci aveva lasciato alcuni ricordi nella sua autobiografia. Afferma in una nota, quasi a dare continuità alla sua esperienza: «L’ebraismo aveva ed ha ancora una ricca liturgia, per il culto pubblico e privato».(9) Ella fa riferimento agli inni salmici del pellegrinaggio, alle berakoth dei pasti, di cui riporta la preghiera del «Qiddush» o benedizione del calice e del vino che precede il pasto del sabato e delle feste. Ricorda la festa ebraica di Pasqua-Pesah, medita a lungo sul tema della presenza e della dimora o «Shekinâh» nella tenda e nel tempio, con l’unzione e la benedizione della casa di Dio, si sofferma spesso su uno degli elementi fondamentali della preghiera eucaristica che viene dalla tradizione giudaica: il Sanctus, la preghiera chiamata Qeduschà.(10) Ma soprattutto, come vedremo, evoca la festa, la liturgia e il sacrificio del giorno della espiazione, il Yom Kippur, giorno della sua nascita. Evoca, applicandolo a Cristo e al suo sacrificio il tempio con il recinto del «Santo», che precedeva il «Sancta sanctorum». Nel momento di descrivere la liturgia della Chiesa essa sembra rivivere lo stupore della memoria, della continuità, del superamento, oppure della fioritura o trasformazione della liturgia ebraica in liturgia cristiana, a partire da Cristo che Edith non esita a presentare come uomo, ebreo, figlio di Dio: «Sappiamo dagli scritti evangelici che il Cristo pregò come poteva pregare un ebreo credente e fedele alla legge».(11) Di questa preghiera descrive i tempi e i luoghi e presenta come culmine la cena pasquale, con una stupenda visione pasquale dell’Eucaristia. Quasi rivivendo il rito della Cena pasquale, vissuto da Gesù e concentrato nella grande preghiera del rendimento di grazie del Seder di Pasqua, Edith magnifica il compimento totale in Gesù delle grandi prospettive della pasqua ebraica, divenute realtà piene nel sacrificio pasquale di Cristo: la creazione, la redenzione, il compimento escatologico:
Con piena consapevolezza Edith afferma che
La chiave di questa trasformazione è la realtà stessa di Gesù ebreo:
Con l’aiuto di uno studio specifico di due ebrei N. Glazter e L. Strauss sul significato della liturgia ebraica presenta l’adempimento delle promesse e la dimensione cosmica dell’Eucaristia partendo dal senso stesso del tempio di Gerusalemme, luogo della presenza, vero microcosmo dell’universo. Vale la pena citare questa pagina stupenda:
Ma anche qui Edith vede una continuità nella liturgia della preghiera della Chiesa, una liturgia vivente, offerta dalla lode perenne dell’ufficio divino:
Tutto è compimento che nulla rinnega delle antiche radici di quel popolo «che sapeva pregare» e al quale lo stesso Dio aveva indicato i tempi, i modi e i luoghi del culto e della preghiera.(17) 3. Cristo al centro della liturgia e della preghiera La chiave della preghiera della Chiesa è la preghiera stessa di Gesù di cui la Chiesa è il suo corpo mistico. Egli è il modello e il maestro, egli è l’ebreo che prega, ma anche il Figlio di Dio nel quale noi siamo stati inseriti nella sua mediazione sacerdotale. Edith guarda Gesù. Deve averlo spesso contemplato immerso nella preghiera; per lei è normale la contemplazione della sua umanità, intrisa di dialogo con il Padre e la sua dimensione di solenne intercessione sacerdotale nella prospettiva delle figure e delle tipologie dell’Antico Testamento. Abbiamo già citato alcuni testi che parlano di Gesù che prega come un ebreo credente e fedele alla legge. Ma Edith sottolinea la sua preghiera personale e silenziosa:
Tuttavia il colpo di genio di Edith Stein sta nella presentazione della preghiera sacerdotale di Gesù, il cap. 17 di Giovanni; come la grande preghiera del Sommo sacerdote della Nuova alleanza, alla luce della teologia e della liturgia, per lei tanto cara del Yom Kippur, il giorno dell’espiazione. Situa prima di tutto questa preghiera fra la Cena e la Croce, come compimento della Pasqua celebrata, nella quale nasce la Chiesa; e preludio del suo sacrificio pasquale:
Ed ecco la presentazione della preghiera del Sommo Sacerdote:
Il giorno della Riconciliazione nell’Antico Testamento è la figura del Venerdì Santo: l’agnello immolato per i peccati del popolo rappresenta l’Agnello immacolato, (anche il capro designato dalla sorte ad essere cacciato nel deserto era pure esso caricato dai peccati del popolo) e il grande sacerdote della stirpe di Aronne è la figura dell’Eterno Sacerdote. Cristo nell’ultima Cena, accettando di morire vittima, pregò come sommo sacerdote del Nuovo Testamento. Egli non doveva offrire un olocausto per sé perché Egli era senza peccato, né attendere l’ora prescritta dalla legge, né presentarsi nel Santo dei Santi del Tempio».(20) Questa visione di Gesù sacerdote permette a Edith di identificare nella persona stessa di Gesù, nella sua intimità non solo il Sommo sacerdote e la vittima del grande giorno del Yom Kippur, ma anche l’adempimento in Cristo della realtà misteriosa di quel luogo che era il Santo dei Santi, nel quale solo un giorno all’anno poteva entrare il Sommo sacerdote:
Questa dimensione cristologica rimane in ogni preghiera della Chiesa che ha valore perché unita a Cristo, fatta per, in e con lui. E questa la formula cristologica che apre i chiude il libro di Edith Stein. 4. Dimensione ecclesiale Tesi fondamentale della esposizione di quest’opera è il carattere ecclesiale della liturgia ma anche della preghiera della Chiesa in ogni sua espressione, anche personale, in virtù della comunione con Cristo e per la forza dello Spirito Santo nella Chiesa che è Corpo mistico di Cristo. È preghiera liturgica e sacramentale la celebrazione eucaristica e la liturgia della lode. La Chiesa diventa non solo il luogo della riunione di tutta l’umanità, ma anche di tutta la creazione, in una stupenda visione cosmica che pervade la contemplazione di Edith Stein:
Ma la sua convinzione che diventa presa di posizione, proposta e difesa con passione, è il carattere ecclesiale di ogni preghiera autentica, in virtù di quella costante esperienza della storia della salvezza che è appunto l’interiorità, nella quale si preparano ed avvengono i grandi interventi di Dio. Edith ci ha parlato della preghiera di Gesù, ma ricorda anche altri episodi evangelici, come il dialogo di Maria che prepara l’incarnazione, la preghiera della Chiesa che precede la Pentecoste, l’inizio del ministero degli apostoli, fino alla continuità di questa costante nella vita dei santi e delle Sante come Brigida, Caterina, Teresa:
Questa dimensione, così viva, di una Chiesa che diventa preghiera, suggerisce alla nostra autrice la reciprocità dell’altro stupendo principio che forma parte ormai delle convinzioni più intime della sua vocazione carmelitana: «Ogni autentica preghiera è preghiera della Chiesa». Edith lo afferma con passione, e con convinzione elabora una sintetica teologia:
Tutto parte dalla convinzione dell’indissolubile comunione della persona orante con Cristo, come membro del suo corpo, della valenza dell’atto di adorazione alla Trinità (al Creatore, al Redentore, al Consolatore). Ma Edith attribuisce in modo specifico, come abbiamo ascoltato, all’azione dello Spirito Santo, senza il quale non vi è preghiera né Chiesa, la piena ecclesialità di ogni autentica preghiera personale. Per lei è inseparabile l’essere persona-Chiesa nello Spirito Santo, dal quale dipende anche il progresso mutuo nella santità di tutti i membri del Corpo mistico di Cristo. A rendere pienamente ecclesiale la preghiera personale è lo stesso Cristo che ci nutre ed edifica Chiesa, suo Corpo mistico, mediante i sacramenti. In una stupenda sintesi di spiritualità sacramentale Edith Stein descrive le tappe della piena iniziazione cristiana, fondamento della vita spirituale di ogni cristiano nella Chiesa:
La Chiesa diventa corpo di Cristo mediante l’Eucaristia, banchetto e sacrificio. Ma la preghiera che scaturisce dai membri della Chiesa è preghiera ecclesiale, compiuta nello Spirito, assunta nella mediazione di Cristo. Anzi molte di queste preghiere scaturiscono da persone-Chiesa che nella loro comunione intima con il Signore e nel loro impersonare la Chiesa, sono diventate come «il cuore della Chiesa». Lo afferma con forza Edith, avendo senz’altro nella mente la figura di Teresa di Lisieux della quale non cita il nome, ma riprende le parole: «Le anime che lo hanno raggiunto (il grado supremo della preghiera) sono veramente il cuore della Chiesa e in esse vive l’amore sacerdotale di Gesù. Nascoste con Cristo in Dio non possono che irradiare in altri cuori l’amore divino di cui sono ripiene e cooperare alla perfezione di tutti gli uomini nell’unione in Dio, che fu ed è il grande desiderio di Gesù».(26) In modo speciale nella vita contemplativa, nei santuari della preghiera nei quali scorre il fiume della vita pulsa il cuore della Chiesa orante: «questi focolari di vita interiore, dove le anime, in silenzio e in solitudine, possono stare alla presenza di Dio per essere nel cuore della Chiesa l’amore che tutto vivifica».(27) 5. L’ispirazione carmelitano-teresiana L’ebraismo delle origini, il limpido cristo-centrismo della liturgia e della preghiera, il carattere ecclesiale, si completano e si fondono in Teresa Benedetta della Croce con la sua vocazione alla preghiera nel Carmelo Teresiano. Soprattutto il secondo ed il terzo capitolo dell’opuscolo rivelano l’anima carmelitana di Edith Stein e la sua appassionata apologia circa il valore della preghiera personale, della vocazione contemplativa, impastata di liturgia e di ore di preghiera silenziosa. Forse è arrivata anche al Carmelo di Colonia una serie di opinioni di liturgisti del tempo che svalutavano la preghiera personale per esaltare la preghiera liturgica, o che la relegavano alla categoria di pietà soggettiva. Edith Stein reagisce con nobiltà e con naturalità. E il titolo del secondo capitoletto evidenzia una sua posizione teologica: Il dialogo solitario con Dio come preghiera della Chiesa. L’apologia del valore della preghiera silenziosa parte da lontano, dalla preghiera solitaria di Gesù, dagli eventi della storia della salvezza che si consumano nell’intimità del cuore, ma arrivano fino all’ispirazione originale, personale ed ecclesiale, della Madre, Santa Teresa di Gesù, della quale Edith ricorda la tesi fondamentalmente ecclesiale che ispira nel secolo XVI la fondazione del Carmelo teresiano: essere contemplative al servizio della Chiesa, con una lunga citazione del cap. 3 del Cammino di Perfezione. Vi aggiunge anche l’esempio di Antonietta du Geseur, che ha vissuto nel mondo la preghiera contemplativa. Ma ricorda pure in nota la dottrina di Elisabetta della Trinità con la sua apologia dell’adorazione interiore.(28) Non nomina esplicitamente Teresa del Bambino Gesù; ma come non riconoscere il volto della Carmelitana di Lisieux là dove Edith parla di quelle anime che nel cuore della Chiesa sono l’amore?(29) Senza voler fare una eccessiva apologia pro vita sua, la vita contemplativa di una Carmelitana, Edith sottolinea spesso il valore dei santuari della liturgia e della preghiera contemplativa, la preziosità della vocazione dei monaci e delle monache, senza dimenticare la presenza e il valore della preghiera del popolo: Essi, scrive, sono icone viventi dei cherubini del tempio al cospetto di Dio:
Senza nominare i Carmeli teresiani, ma certamente pensando ad essi e alla vocazione della vita contemplativa al servizio della Chiesa, secondo il carisma teresiano, Edith ricorda:
Ma senza nulla sminuire del carattere oggettivo della preghiera pensa alla vita contemplativa e ai santuari del silenzio e della preghiera come a fiumi nascosti che vivificano la vita della Chiesa, che segnalano a loro modo la necessità di vivificare la liturgia con una intensa preghiera personale:
Nella preghiera contemplativa e nella dedicazione ad essa Edith vede come un prolungamento del sacerdozio orante di Cristo, una particolare partecipazione alla dimensione sacerdotale della preghiera di Cristo qui sulla terra.
La grande liturgia della Chiesa si prolunga nel silenzio e nella preghiera di cui si riempiono i cuori dei contemplativi che assicurano la «laus perennis» e la perenne intercessione della Chiesa per il mondo:
Preghiera personale e liturgica vanno insieme, liturgia e contemplazione si postulano vicendevolmente, come si postulano preghiera e vita, parola ascoltata, pregata, vissuta.
In fondo ogni preghiera ed ogni liturgia realizzano le petizioni del Padre nostro, petizioni che con un tocco originale Edith ripropone in questo breve testo rileggendo il Padre nostro al rovescio, dalla fine all’inizio:
Conclusione Nella concisione di quest’opera, Edith Stein appare come una vera maestra ed un modello di spiritualità liturgica, nella genialità con la quale coglie nel suo tempo il valore della preghiera ecclesiale e la doverosa armonia con la preghiera personale e con la vita contemplativa. Il suo messaggio teologico e liturgico è rimasto quasi nascosto fra le sue opere. Ma quando dopo il Vaticano II il magistero ecclesiale ha messo in luce il valore della liturgia e l’esigenza della preghiera personale e della contemplazione, i testi di Edith sono apparsi veramente profetici. Quando negli anni settanta è stata rinnovata la liturgia delle ore e sono stati emanati due documenti di rilievo come la Costituzione apostolica Laudis Canticum di Paolo VI e l’Istituzione generale della Liturgia delle ore, alcuni liturgisti non hanno avuto difficoltà nell’accostare alcuni dei testi programmatici a quanto la nostra monaca carmelitana aveva scritto già nel 1936.(37) Paolo VI nella Costituzione Laudis Canticum del 1 novembre 1970, metteva in luce la necessità di superare ogni opposizione fra preghiera della Chiesa e preghiera privata, raccogliendo forse l’eco lontana della apologia di Edith Stein. La Istituzione Generale della liturgia delle ore nel n. 4 presentava la preghiera di Gesù con parole molto simili a quelle usate da Edith nel suo opuscolo. E nel n. 9, affermava il valore della preghiera personale, fatta nella propria stanza, come vera ed autentica preghiera ecclesiale in quanto «fatta dai membri della Chiesa, per Cristo nello Spirito Santo». Oggi la coincidenza della dottrina di Edith Stein con il pensiero della Chiesa rende più attuale questo frammento della sua dottrina. A buon diritto dunque, Edith emerge, fra l’altro, fra i maestri della spiritualità liturgica del periodo iniziale del rinnovamento liturgico in Germania. Le pagine della sua opera Das Gebet der Kirche, oltre ad illuminare la Chiesa con la sua teologia, ci permettono di cogliere l’anima di Edith Stein durante tutta la sua esistenza cristiana, nel suo vivere immedesimata come Ecclesia orans con la preghiera della Chiesa, liturgica e personale, fino al culmine del suo olocausto che ella ha certamente vissuto ed offerto come Chiesa al Padre nell’unità dello Spirito Santo per Cristo, con Cristo ed in Cristo, nel giorno santo della sua offerta, il Yom Kippur della sua oblazione sacrificale e sacerdotale, come ebrea, cristiana e carmelitana. 1. Edito in E. STEIN, TERESIA BENEDICTA A CRUCE O.C.D., Verborgenes Leben. Hagiographische Essays, Meditationen, geistliche Texte, Edith Steins Werke, Band XI, Uitgeverij “De Maas & Waler”, Druten – Verlage Herder, Freiburg -Basel – Wien, 1987, pp. 10-25. La descrizione degli originali: Ibidem, XVII-XVIII. Seguo la versione italiana EDITH STEIN, La preghiera della Chiesa, Brescia, Morcelliana, 1987, anche se non è sempre affidabile, avendo presente l’originale tedesco, citato con la sigla GDK e la pagina che corrisponde al volume sopra descritto. 2. Cfr. TERESIA RENATA, Edith Stein. Lebensbild einer Philosophin und Karmelitin, Nürenberg 1954, p. 133. 3. Citato da TERESIA RENATA DE SPIRITU SANCTO, Edith Stein, Morcelliana, 1952, p. 132-133. 4. Fa notare ad esempio: «Le dimensioni di questo saggio mi impediscono di citare per intero la preghiera sacerdotale di Gesù. Prego il lettore di leggere il Vangelo di san Giovanni al cap. 17». La preghiera della Chiesa p. 23, nota 16; GDK,18. 5. La preghiera, p. 15. In realtà, con parole precise E. Stein fa riferimento alle forme del rinnovamento liuturgico in atto: «”Volkschoralamt” und in den neuen “volksliturgischen” Formen»; GDK, 14. 6. Ein Wort zur liturgischen Frage, Magonza 1940. Pubblicata anche di recente in lingua spagnola in «Cuadernos Phase» n. 64, Centre de Pastoral litúrgica, Barcelona 1965, pp. 19-44. Una breve sintesi sulla situazione creatasi in Germania in C. Vagaggini, Orientamenti e problemi di spiritualità liturgica nella letteratura degli ultimi quarant’anni, AA. VV., Problemi e orientamenti di spiritualità monastica, biblica e liturgica, Roma, Edizioni Paoline, 1962, pp. 322-327. 7. La preghiera, p. 30; GDK, 22. Questa distinzione si trova nell’opera classica di I. Herwegen, Antike, Germanentum und Christentum, Salzburg 1932; cfr. C. Vagaggini, a.c., pp. 522-524. 8. La preghiera, pp. 7-8; GDK, 10. 10. Su questo mondo della preghiera ebraica ci si può ispirare al libro di ELIE MUNK, Il libro delle preghiere, Vol. I. I giorni feriali, Roma 1992. 11. La preghiera, p. 9; GDK, 10-11. 13. La preghiera, p. 11; GDK, 12. 14. La preghiera, p. 19; GDK, 15. 15. La preghiera, pp. 12-13; GDK, 12-13. 16. La preghiera, p. 14; GDK, 14-15. 17. Il Catechismo della Chiesa cattolica, nn. 1093-1696, ha voluto mettere in luce questa continuità fra la liturgia ebraica e la liturgia cristiana. 18. La preghiera, pp. 19-20; GDK, 15-16. 19. La preghiera, pp. 20-21; GDK, 16-17. 21. La preghiera, pp. 22-23; GDK, 17-18. 22. La preghiera, pp. 15-16; GDK 14-15. 23. La preghiera, pp. 23-24; GDK, 18-19. 25. La preghiera, pp. 33-34; GDK, 24. 27. La preghiera, p. 33; GDK, 24. 28. Nella nota 25 ricorda la famosa preghiera di Elisabetta di Dijon: Dio mio Trinità che adoro, commentata da D. E. Vandeur; La preghiera, p. 33; GDK, 24. 29. La preghiera,pp. 30-31.33; GDK, 22.24. 30. La preghiera, pp. 14-15; GDK, 13-14. 31. La preghiera, p. 28; GDK, 21. 33. La preghiera, pp. 30-31; GDK, 22. 34. La preghiera, pp. 32-33; GDK, 23-24. 37. Sull’attualità del pensiero liturgico di E. Stein cfr., fra l’altro: E. GARCIA ROJO, Vivencia y aportación litúrgica de Edith Stein, in Ephemerides Carmeliticae 30 (1979) pp. 69-97; J. CASTELLANO, La oración de la Iglesia. Testimonio litúrgico de Edith Stein, en Liturgia y espiritualidad 27 (1996) pp. 217-224. |