Dio che non ti arrendi

Dio che non ti arrendi… “Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia…” (Is 53,1-3).

Quante volte lo sguardo o l’olfatto, attratti dal fascino di una rosa, mettono in moto istintivamente la mano verso lo stelo, e altrettante volte la ritrae arrendevole l’inquietante constatazione che “non c’è rosa senza spine”… La creazione dell’uomo a immagine e somiglianza di Dio, la promessa di una “rinnovata creazione” affidata ad un’ “arca” (figure di Cristo e di Maria) e sigillata con un grande arco variegato dipinto tra “cielo e terra”… : due cuori a confronto in un “dramma d’amore il cui vero protagonista è Dio” (cfr b. Paolo VI). Creazione, promessa, patto… : rimodellati e vivificati lungo le pieghe della storia, come fiamme di fuoco ostinatamente si sprigionano da quell’ inusitato roveto che Mosè vide ardere senza consumarsi. La fedeltà di Dio non sa e non può arrendersi… La rosa della felicità era il fiore che l’estro creativo e appassionato dei “Tre” aveva sognato e disegnato per l’uomo, per condividere con lui un destino d’amore, dove in “agape” potremmo far confluire tutto il bene, il buono, il bello…Insane fantasticherie, ribellione, paura, lasciano cadere quella mano già protesa a cogliere lo splendido fiore, divertendola altrove: il cuore umano si raggela, ed è allora che spuntano le spine (cfr Gen 3,18).

Il paradiso della beatitudine diventa un monte, la cui ascesa e raggiungimento della vetta si lega ormai alla determinazione di “cadere come il chicco di grano… e morire” per assentire in pienezza alla Vita (Gv 12, 24-25). Dio non si arrende…”. Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò, Padre? Salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! Padre, glorifica il tuo nome. Venne allora una voce dal cielo: L’ho glorificato e lo glorificherò ancora” (Gv 12,27-28). Dio non si arrende…” Cristo, nei giorni della sua vita terrena, offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte, e per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito… e divenne causa di salvezza…” (Eb 5,7-9). Dio non si arrende…”. Tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande – oracolo del Signore -, poiché io perdonerò la loro iniquità e non ricorderò più il loro peccato” (Ger 31,34). A questo punto vorrei far convergere al mio centro due richiami, che nascono spontanei in conseguenza della provenienza di questa riflessione, e servirmene di sottofondo alla Parola della quinta domenica di Quaresima.

L’apparizione dell’Addolorata al Cerreto alla pastorella Veronica Nucci, e uno stralcio tratto dal Cantico dei cantici, un piccolo poema incastonato come perla nel grande gioiello della Bibbia, il cantico dell’amore sponsale tra Dio e l’anima, in cui l’anima consacrata può ritrovarsi tutta. In uno sperduto borgo campestre della bassa maremma ottocentesca, dove tutto sa di spine e di degrado umano, Maria Addolorata affida ad una ragazza di dodici anni il grido del Figlio sulla croce: “Ho sete!” (Gv 19,28) e la supplica della Madre che rinnova straziata l’invito: “Riempite le anfore di acqua” (Gv 2,7), l’acqua delle vostre lacrime di contrizione, di compassione, di impetrazione… Veronica, obbediente, si accosta alla Croce, come Teresa di Lisieux, per raccogliere i petali di quella rosa rifiutata dagli uomini per viltà e ignoranza, ma colta tra le spine più pungenti e sfogliata per loro dal Figlio obbediente, umile, mansueto e silenzioso, e da quanti e quante, accettando la logica illogica del Servo, hanno fatto la scelta di seguirlo (Gv 12,16). Il “sì” dell’Amore ha tramutato l’acqua delle anfore in vino: il sangue dell’ “Agnello svenato” (cfr s. M. Maddalena de’ Pazzi), imporporando quei petali ne ha fatto il prezzo del nostro riscatto. “Perciò gli darò in premio le moltitudini”, leggiamo nel Carme del Servo, quelle stesse che dinanzi al suo volto sfigurato avevano sviato lo sguardo, ritraendo la mano dalle spine…”. Aprimi, sorella mia, mia amica…”: è la voce dell’ amato che bussa… che implora dall’amata uno sguardo, attende che la porta si apra e un cuore lo accolga… (Ct 5,2). Ma l’amata, che dorme, fa fatica a destarsi dal sonno… Dio, che creando l’uomo a sua somiglianza, aveva alitato in lui il soffio della Vita, non può arrendersi al torpore di morte che insidia minaccioso la sua creatura.

Perciò la sveglia, continua il poema, “la sveglia sotto il melo” (Ct 8,5), l’albero testimone della disobbedienza, e rinnova la sua alleanza con lei imprimendole sul cuore il suo sigillo (Ct 8,6). Dio non si è arreso, né potrà mai farlo, perché “forte come la morte è l’amore, le sue vampe son vampe di fuoco, una fiamma divina!” (Ct 8,6). Maria, Madre addolorata di fronte ai fiumi di ingratitudine che vorrebbero travolgere e spegnere l’amore (cfr Ct 8,7), fedele serva del Servo, vieni in aiuto alla nostra debolezza, smaschera le nostre paure, dissipa le nostre tenebre… Fa’ che anche dal nostro cuore, “ferito, riscaldato e illuminato da quella Fiamma divina” (cfr S. Giovanni della Croce, Cantico spirituale), sgorghi infine il dolce gemito di un anonimo pellegrino spagnolo del XVII sec., con il quale vorrei concludere: “Non mi muove, mio Dio, ad amarti, il cielo che riservi a me promesso; non mi muove l’inferno, che pure temo, a lasciare d’offenderti per questo. Mi muove, mio Dio, il vederti inchiodato sulla croce e maledetto, il cuore trafitto e sanguinante, il volto sfigurato, il corpo piagato… Tu, reietto e crocifisso, mi muovi ad amarti in tal maniera che anche se non ci fosse un cielo io t’amerei, e anche se non ci fosse l’inferno ti temerei… Non devi darmi nulla perché io t’ami, chè se anche non sperassi ciò che spero, e se anche non temessi ciò che temo, mirandoti così, mio Dio, quanto t’amo lo stesso io t’amerei…”. Dio, che non ti arrendi… grazie…


Monastero Janua Coeli

Posted in .