Comunione sulla lingua e nella mano

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L’emergenza creata dal Covid-19 ha fatto affiorare la dolorosa necessità di rivedere le nostre abitudini in ogni campo dell’esistenza, comprese le nostre abitudini liturgiche. Lo scambio della pace durante la celebrazione eucaristica, ad esempio, in base agli accordi presi tra la Conferenza episcopale italiana e il Governo Italiano, è stato sospeso; così come la possibilità di segnarsi con l’acqua benedetta all’ingresso in Chiesa e di ricevere la Comunione sulla lingua. 

Riguardo a quest’ultima pratica, ribadiamo anzitutto la dignità e la bellezza di questa plurisecolare e venerabile tradizione, che evidenzia in maniera quanto mai congrua l’importanza del Santissimo Sacramento e la giusta reverenza che deve essergli tributata nell’atto della sua ricezione. Il ricevere la Comunione sulla lingua è inoltre la norma universalmente indicata dal magistero della Chiesa, e che pertanto in situazione di normalità i fedeli potrebbero sempre liberamente preferire: prima di altre considerazioni, quindi, solidarietà e rispetto, senza frettolosi giudizi, vanno portati a coloro che sinceramente soffrono di non poter ricevere la Comunione in questo modo. 

Al contempo, tuttavia, non si può non ribadire che questa plurisecolare tradizione è appunto una tradizione, non un dogma di fede ma rientrante in quella disciplina ecclesiastica che nella Chiesa è cambiata più volte nei diversi periodi storici e nelle diverse regioni. Com’è risaputo, in Italia e in moltissimi altri Paesi dell’orbe cattolico, la Santa Sede, ovvero la suprema autorità pontificia, ha acconsentito alla richiesta dei Vescovi (secondo una facoltà concessa dalla stessa Santa Sede) a che la Comunione potesse essere amministrata anche nelle mani dei fedeli, secondo un’altra plurisecolare e venerabile tradizione attestata da fior fiore di santi e Padri della Chiesa: tradizione peraltro molto più antica e quindi più «tradizionale» di quella della Comunione data sulla lingua, e non meno nobile e dignitosa. Eccone un paio di attestazioni fra le moltissime che si potrebbero addurre [1]: 

«Quando ti avvicini, non avanzare con le palme delle mani distese, né con le dita disgiunte; invece, fai della tua mano sinistra un trono per la tua mano destra, poiché questa deve ricevere il Re e, nel cavo della mano, ricevi il corpo di Cristo, dicendo “Amen”. Santifica dunque accuratamente i tuoi occhi mediante il contatto con il corpo santo, poi prendilo e fai attenzione a non perderne nulla. Ciò che tu dovessi perdere, infatti, è come se perdessi una delle tue membra. Se ti dessero delle pagliuzze d’oro, non le prenderesti con la massima cura, facendo attenzione a non perderne nulla e a non danneggiarle? Non farai dunque assai più attenzione per qualcosa che è ben più prezioso dell’oro e delle pietre preziose, in modo da non perderne neppure una briciola? Dopo esserti comunicato al corpo di Cristo, avvicinati anche al calice del suo sangue. Non distendere le tue mani, ma inchinato, e con un gesto di adorazione e rispetto, dicendo, “Amen”, santifica te stesso prendendo anche il sangue di Cristo. E mentre le tue labbra sono ancora umide, sfiorale con le tue mani, e santifica i tuoi occhi, la tua fronte e gli altri tuoi sensi. Poi, aspettando l’orazione rendi grazie a Dio che ti ha stimato degno di così grandi misteri» (San Cirillo di Gerusalemme, Vescovo e Dottore della Chiesa [315-386], Catechesi mistagogiche, V, 21-22).

«Dimmi, andresti con mani non lavate all’Eucaristia? Penso di no. Preferiresti piuttosto di non andarci, anziché andare con mani sporche. In questa piccola cosa sei attento, e poi osi andare a ricever l’Eucaristia con l’anima impura? Ora con le mani tieni il Corpo del Signore solo per breve tempo, mentre nell’animo vi rimane per sempre» (San Giovanni Crisostomo, Vescovo e Dottore della Chiesa [350-407], Omelia sulla lettera agli Efesini, 3,4).

Un abuso liturgico?

Ma lungi da noi, e lungi dalla mentalità dei vescovi e dei Papi, voler stabilire una graduatoria delle modalità di ricevere la Comunione nelle regioni in cui da essi stessi è stata autorizzata la duplicità di uso, sulla mano e sulla lingua, quasi che l’una fosse di serie A e l’altra di serie B o viceversa. Ricordiamo ciò soltanto per appurare che la scelta, concordata dai nostri vescovi col Governo Italiano, per l’attuale emergenza, di adottare la Comunione esclusivamente nella mano è la scelta, limitata nel tempo e ragionevolmente argomentata [2], di ricorrere ad una disciplina ecclesiastica riconosciuta da tempi immemorabili nella Chiesa e assolutamente lecita, nei luoghi in cui è stata adottata, a prescindere dall’attuale emergenza pandemica: la Comunione nella mano, che non è affatto un abuso liturgico come affermato in maniera incosciente e temeraria da alcuni.

Infatti, la possibilità di amministrare e ricevere la Comunione anche nella mano, recuperando l’uso dei primi secoli della storia della Chiesa, è stata una possibilità rimessa alla discrezione delle Conferenze episcopali nazionali (sempre ovviamente dietro conferma della Santa Sede) da San Paolo VI mediante l’istruzione della Sacra Congregazione per il Culto Divino Memoriale Domini del 29 maggio 1969; tale possibilità è stata riaffermata dall’istruzione della Sacra Congregazione per la Disciplina dei Sacramenti Immensae caritatis (29 gennaio 1973), dalle premesse del Rito della Comunione fuori della Messa e Culto Eucaristico (17 giugno 1979, cf. n° 21), dalla Notificatio de s. Communione in manu distribuenda della Sacra Congregazione per il Culto Divino (3 aprile 1985, cf. nn° 3.4.7); tale possibilità, infine, è stata disciplinarmente adottata dalla Conferenza episcopale italiana, dopo aver ottenuto la prescritta recognitio della Santa Sede, con decreto del 19 luglio 1989. 

In tempi più recenti, la possibilità della comunione nella mano previa richiesta delle Conferenze episcopali e autorizzazione della Santa Sede è stata ribadita dalla Institutio Generalis Missalis Romani nella sua terza edizione tipica del 2002 e dall’istruzione Redemptionis sacramentum della Sacra Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti del 25 marzo 2004. Come è naturale, tutti questi documenti sono stati vidimati dalla Santa Sede ovvero dai coevi Papi, quindi oltre che di san Paolo VI hanno ricevuto il placet anche di san Giovanni Paolo II [3]; da ultimo Papa Francesco ha ricordato la possibilità della Comunione nella mano, nei luoghi dove è stata autorizzata, nell’Udienza generale del 21 marzo 2018. 

Sulla scorta, dunque, di questa più che consolidata e legittimata possibilità, pensare che i vescovi italiani in questo tempo di coronavirus ci stiano imponendo di compiere un sacrilegio o un abuso nel chiederci di ricevere la Comunione nella mano significa non soltanto ignorare il loro magistero e l’autorità pontificia che lo ha confermato, ma anche disconoscere la parola del Divino Maestro il quale ha chiaramente detto ai suoi discepoli e apostoli: «Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me. E chi disprezza me disprezza colui che mi ha mandato» (Lc 10,16); «In verità, in verità io vi dico: chi accoglie colui che io manderò, accoglie me; chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato» (Gv 13,20); e dell’Apostolo Paolo il quale così si è rivolto ai pastori delle Chiese: «Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha costituiti come custodi per essere pastori della Chiesa di Dio, che si è acquistata con il sangue del proprio Figlio» (At 20,28).

È chiaro che un singolo pastore può sbagliare e farsi tramite opaco della volontà del Signore (e quanto più in questa sconvolgente pandemia è stata esperienza comune, dai vescovi ai virologi, quella di dover navigare a vista!), ma non è lecito al fedele – e materia di peccato anche grave – diffidare riottosamente di quanto i vescovi dispongono collegialmente nel loro magistero ordinario, secondo le leggi della Chiesa e il Diritto canonico cui ogni fedele è vincolato: «Non proprio un assenso di fede, ma un religioso ossequio dell’intelletto e della volontà deve essere prestato alla dottrina, che sia il Sommo Pontefice sia il Collegio dei Vescovi enunciano circa la fede e i costumi, esercitando il magistero autentico, anche se non intendono proclamarla con atto definitivo; i fedeli perciò procurino di evitare quello che con essa non concorda» (can. 752) [4].

Rifiutare di ascoltare quello che i nostri vescovi, in comunione col Papa, ci chiedono ufficialmente e pubblicamente di fare [5] e correre al contempo a infarcirsi la testa di contro-informazioni pescate nella rete da questo o quest’altro studioso o prelato, da questa o quest’altra mistica o veggente [6] che parla a titolo esclusivamente personale e non è in alcuna maniera rappresentativo o rappresentativa dell’insegnamento della Chiesa Cattolica, se perpetrato con ostinazione, è un atteggiamento che macchia la coscienza e indispone ad una retta ricezione della Comunione eucaristica molto più di quanto lo farebbe un’indegna ricezione fisica, sulle mani non lavate ad esempio, o sulla lingua ma senza aver fatto precedere il debito digiuno. 

È un atteggiamento, soprattutto, che avvelena l’anima, instilla sfiducia, corrompe il senso di comunione nella Chiesa, fa credere che ci siano piani demoniaci ovunque nei confronti dei quali i nostri pastori sarebbero vittime più o meno complici. La santa madre Chiesa gerarchica, da amare e cui obbedire sempre e docilmente, da nostra madre diventa in tal modo una povera ebete da correggere con la matita rossa e blu, come se ne fossimo noi la madre, senza fede nella promessa di Nostro Signore che «le potenze degli inferi non preverranno su di essa» (Mt 16,18) ma anzi tenendola in dispregio, agendo e pensando come se tali potenze avessero già da tempo prevalso.

E la Comunione nel fazzoletto?

In tal modo, si disprezzano gli orientamenti disciplinari legittimamente dati dai vescovi e dalla Santa Sede, e se ne adottano altri dati privatamente e senza alcun mandato ecclesiastico, come quelli propalati da coloro che inculcano nei fedeli la moda di usare dei fazzoletti per ricevere la Comunione in mano [7]: questo sì un vero abuso liturgico che non trova riscontro in nessun documento disciplinare attualmente vigente e che espone il fedele che fa uso di tali pannolini al rischio di reali profanazioni per il suo non essere stato debitamente istruito su come purificare un tessuto che è stato a contatto con le santissime specie eucaristiche (per non parlare poi del rischio di facilitare il lavoro ai malintenzionati che potrebbero meglio sottrarre alla vista dei ministri il furto dell’Eucaristia, fingendo di adoperare questo sistema). E insieme a questi ricettacoli di stoffa, l’uso di piattini di metallo o simili, sempre più in voga in questi ultimi tempi da parte di coloro che non vogliono «sottomettersi all’abuso di ricevere la Comunione nelle mani», è stato addirittura fatto in passato oggetto di scomunica dal Concilio Quinisesto con queste motivazioni più attuali che mai:

«Il divino Apostolo a gran voce proclama che l’uomo creato a immagine di Dio è corpo di Cristo e tempio (cf. 1Cor 12,27; 2Cor 6,16). Ergendosi, quindi, al di sopra di tutta la creazione sensibile, e avendo raggiunto una dignità celeste in virtù della passione salvifica, mangiando e bevendo Cristo armonizza la sua anima e il suo corpo alla vita eterna, santificandosi mediante la partecipazione alla divina grazia. Perciò se qualcuno desidera prendere parte all’immacolato Corpo durante la sinassi e unirvisi essenzialmente, ponga le sue mani a forma di croce e, avvicinandosi, così riceva la Comunione alla grazia. Ciò perché ripudiamo coloro che fabbricano certi recipienti d’oro, o di qualsiasi altro materiale, da usare al posto della loro mano per ricevere il dono divino, chiedendo di prendere la santa Comunione in tali ricettacoli: essi preferiscono la materia inanimata e un elemento inferiore all’immagine di Dio [che essi sono]. Nel caso, quindi, che qualcuno sia colto nell’atto di amministrare la santa Comunione a coloro che presentano tali ricettacoli, sia scomunicato sia lui stesso sia coloro che li presentano» (can. 101) [8].

“Bella come la luna, fulgida come il sole, terribile come schiera ordinata…”

Dell’attualità di questi atteggiamenti, ricorrenti nella storia della Chiesa, Papa Francesco ha ben parlato in questo brano della sua splendida esortazione apostolica Evangelii gaudium, additando «il neopelagianesimo autoreferenziale e prometeico di coloro che in definitiva fanno affidamento unicamente sulle proprie forze e si sentono superiori agli altri perché osservano determinate norme o perché sono irremovibilmente fedeli ad un certo stile cattolico proprio del passato. È una presunta sicurezza dottrinale o disciplinare che dà luogo ad un elitarismo narcisista e autoritario, dove invece di evangelizzare si analizzano e si classificano gli altri, e invece di facilitare l’accesso alla grazia si consumano le energie nel controllare. In entrambi i casi, né Gesù Cristo né gli altri interessano veramente. Sono manifestazioni di un immanentismo antropocentrico».

Nondimeno, siamo certi che coloro che avvertono disagio nel ricevere la Comunione nella mano non vanno affatto classificati secondo queste parole; vivono tale disagio in buona fede e con retta coscienza, per un sincero amore per Gesù Sacramentato e per zelo nei suoi confronti, consolidato nella pratica di ricevere la Comunione sulla lingua. In moltissimi casi costoro sono nostri parrocchiani esemplari, collaboratori generosi e dediti nel servizio quotidiano. Spesso sono anche di stimolo per tutti nel ricevere la santissima Eucaristia con le debite disposizioni interiori ed esteriori. A questo riguardo, prendendo esempio dal loro zelo, non sarebbe forse fuori luogo riproporre le catechesi auspicate dai vescovi italiani nel 1989 prima della reintroduzione della prassi di ricevere la Comunione nella mano, rammentando ai fedeli la debita riverenza con cui questa prassi va vissuta: nella postura del corpo, nei movimenti delle mani, nella risposta orale, nell’attenzione a non disperdere eventuali frammenti: di modo che sia espressa la debita devozione e non sia data impressione alcuna di sciatteria. 

Non possiamo tuttavia non ricordare a coloro che a buon diritto preferiscono la Comunione sulla lingua che tale lodevolissima pratica è stata soltanto differita [9] – quod differtur non aufertur – e che non c’è alcuna sotterranea campagna abolizionista come troppi cattivi maestri insegnano. Senza sterili allarmismi, si dorma sereni e fiduciosi fra le braccia della nostra madre la santa Chiesa e si colga questo drammatico frangente come opportunità per comprendere meglio, con le parole di san Paolo VI, che se nell’Eucaristia v’è una presenza reale da onorare, essa può e deve essere onorata con tutto il nostro essere: lingua, mani e cuore docile; e che non meno reale [10] è la presenza di Cristo da onorare nella Sua Parola [11], nel povero [12], in quella santa Comunione che è la Chiesa: «Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18,20). E Comunione gerarchica, in cui i fedeli obbediscono ai pastori e i pastori sono al servizio dei fedeli, quale acies ordinata che il santo Concilio di Trento non disdegna di paragonare alla Sposa del Cantico dei Cantici: «Chi è costei che sorge come l’aurora, bella come la luna, fulgida come il sole, terribile come schiera ordinata?» (Ct 6,9) [13].

Padre Iacopo Iadarola Ocd

NOTE 

1)  Per queste e altre citazioni cf. Modalità per la distribuzione della Santa Comunione, in «Notiziario della Conferenza Episcopale Italiana» n° 7, 1 settembre 1989, 193-210.

2)  Ogni ministro sa bene che, nel distribuire l’Eucaristia sulla lingua, è praticamente impossibile non venire a contatto con le particelle di saliva del fedele e pertanto, in caso di persona affetta da coronavirus, il contagio sarebbe praticamente automatico non solo per il ministro ma soprattutto per i successivi fedeli in attesa di ricevere la Comunione dal medesimo ministro. La raccomandazione di distribuire la Comunione nella mano è stata ulteriormente ribadita dal Viminale e accolta dalla Conferenza Episcopale Italiana in data 26 giugno 2020, come pubblicato sul sito internet della medesima e nei comunicati ufficiali delle diocesi italiane. Con sana elasticità, è chiaro che possono essere state riconosciute in questa o quell’altra diocesi deroghe, per casi particolari ed eccezionali, rispetto all’indirizzo generale di non dare la comunione sulla lingua finché non sia rientrata l’emergenza della pandemia. 

3)  Il quale, nella lettera Dominicae cenae del 24 febbraio 1980, deplorando le mancanze di rispetto che si erano potute verificare nel ricevere l’Eucaristia nella mano da parte di alcuni fedeli, puntualizza che queste mancanze non sono certo da imputarsi a tale pratica in sé e che «scrivendo questo non ci si vuole in alcun modo riferire a quelle persone che, ricevendo il Signore Gesù sulla mano, lo fanno con spirito di profonda riverenza e devozione, nei paesi dove questa pratica è stata autorizzata» (cf. n°11).

4) Non si dimentichi che la Chiesa nella sua materna sapienza concede anche il diritto e il dovere a manifestare il proprio pensiero e le proprie riserve, in taluni casi, ferma restando la «cristiana obbedienza» ai suoi pastori: cf. can. 212 del Codice di diritto canonico. Utilissima in questo ambito anche l’istruzione della Congregazione per la Dottrina della Fede Donum veritatis sulla perfettibilità dei pronunciamenti magisteriali e sui termini di un legittimo dissenso teologico: «Se, malgrado un leale sforzo, le difficoltà persistono, è dovere del teologo far conoscere alle autorità magisteriali i problemi suscitati dall’insegnamento in se stesso, nelle giustificazioni che ne sono proposte o ancora nella maniera con cui è presentato. Egli lo farà in uno spirito evangelico, con il profondo desiderio di risolvere le difficoltà. Le sue obiezioni potranno allora contribuire ad un reale progresso, stimolando il Magistero a proporre l’insegnamento della Chiesa in modo più approfondito e meglio argomentato. In questi casi il teologo eviterà di ricorrere ai “mass-media” invece di rivolgersi all’autorità responsabile, perché non è esercitando in tal modo una pressione sull’opinione pubblica che si può contribuire alla chiarificazione dei problemi dottrinali e servire la verità […]. Davanti ad un’affermazione, alla quale non sente di poter dare la sua adesione intellettuale, il suo dovere è di restare disponibile per un esame più approfondito della questione. Per uno spirito leale ed animato dall’amore per la Chiesa, una tale situazione può certamente rappresentare una prova difficile. Può essere un invito a soffrire nel silenzio e nella preghiera, con la certezza che se la verità è veramente in causa, essa finirà necessariamente per imporsi» (nn° 30-31). 

5) Riguardo all’obbedienza nei confronti delle disposizioni sanitarie cf. ad esempio le parole di Papa Francesco: «In questo tempo nel quale si incomincia ad avere disposizioni per uscire dalla quarantena, preghiamo il Signore perché dia al suo popolo, a tutti noi, la grazia della prudenza e dell’obbedienza alle disposizioni perché la pandemia non torni» (omelia della Messa a Santa Marta del 28 aprile 2020); «La fase acuta dell’epidemia è superata, anche se rimane la necessità – ma state attenti, non cantare vittoria prima, non cantare troppo presto vittoria! – di seguire con cura le norme vigenti, perché sono norme che ci aiutano a evitare che il virus vada avanti» (Angelus del 7 giugno 2020) 

6) Riguardo al retto atteggiamento che le vere sante e le vere mistiche assumono nei confronti delle legittime autorità ecclesiastiche si contempli l’esempio di santa Teresa d’Avila, Dottore della Chiesa: «Quando il Signore mi dava un comando nell’orazione e il confessore me n’imponeva un altro, Sua Maestà tornava a dirmi di stare alla parola del confessore» (Vita 26,5); o di santa Teresa di Lisieux, anch’ella Dottore della Chiesa: «O Madre, da quale inquietudini ci si libera facendo voto di obbedienza! Come sono felici le religiose semplici: poiché la loro unica bussola è la volontà dei superiori, sono sempre sicure di essere sul giusto cammino, non temono di sbagliarsi nemmeno se a loro sembra certo che i superiori sbaglino. Ma quando si smette di guardare la bussola infallibile, quando ci si allontana dalla via che ci indica di seguire con la scusa di fare la volontà di Dio il quale non illumina bene coloro che tuttavia fanno le sue veci, subito l’anima si smarrisce tra i sentieri aridi dove l’acqua della grazia le viene a mancare immediatamente» (Storia di un’anima, Ms C 11r°).

7)  Molto citato nei blog tradizionalisti è il suggerimento di S. E. Mons. Athanasius Schneider, il quale ha addirittura proposto di cucire un apposito corporale dentro un purificatoio da porre sulla mano destra, senza ovviamente poter addurre alcun documento disciplinare vigente a supporto di tale fantasiosa pratica. Se proprio si volesse trovarne uno, bisognerebbe paradossalmente risalire alle risoluzioni del sinodo locale di Auxerre (585) che, in un contesto in cui era obbligatoria per tutti la Comunione nella mano, prescrivevano alle sole donne, per motivi che oggi sarebbero più che discutibili, l’uso di porre sulla mano un pannolino, detto «linteum dominicale», nell’atto di ricevere l’Eucaristia.

8) Nostra traduzione dal testo originale greco riportato in Labbé-Cossart, Sacrosancta Concilia ad Regiam editionem exacta, Venezia 1729, vol. VII, col. 1392.

9)  Come espresso dall’istruzione Redemptionis sacramentum al n° 92 il fedele ha normalmente «sempre il diritto di ricevere, a sua scelta, la santa Comunione in bocca»: ma questa affermazione non va certo letta in maniera fondamentalistica come se non ammettesse eccezioni, stabilite dalle stesse autorità ecclesiastiche che hanno concesso tale diritto, dettate da situzioni di estrema gravità ed eccezionalità quali l’attuale pandemia mondiale di coronavirus. Cf. Institutio Generalis Missalis Romani, n° 282: «I pastori d’anime […] insegnino che nell’amministrazione dei Sacramenti, salva la loro sostanza, la Chiesa ha il potere di determinare o cambiare ciò che essa ritiene più conveniente per la venerazione dovuta ai Sacramenti stessi e per l’utilità di coloro che li ricevono, secondo la diversità delle circostanze, dei tempi e dei luoghi».

10) «Tale presenza si dice “reale” non per esclusione, quasi che le altre non siano “reali”, ma per antonomasia perché è sostanziale, e in forza di essa, infatti, Cristo, Uomo-Dio, tutto intero si fa presente» (Paolo VI, lettera enciclica Mysterium fidei, n° 40)

11) «Vi voglio esortare con esempi tratti dalla pratica religiosa. Voi che siete soliti partecipare ai divini misteri, quando ricevete il corpo del Signore, sapete bene come custodirlo con ogni precauzione e venerazione, affinché non ne cada una minima briciola e non si perda nessuna parte del dono consacrato. Infatti vi credereste colpevoli, e giustamente vi riterreste tali, se per vostra negligenza se ne perdesse qualcosa. Ora, se giustamente ponete tanta precauzione nel custodire il suo Corpo, come potete ritenere che sia colpa minore l’aver trascurato il Verbo di Dio, anziché il suo Corpo?» (Origene, Omelie sull’Esodo, Omelia 13,3).

12) «Vuoi onorare il corpo di Cristo? Non permettere che sia oggetto di disprezzo nelle sue membra cioè nei poveri, privi di panni per coprirsi. Non onorarlo qui in chiesa con stoffe di seta, mentre fuori lo trascuri quando soffre per il freddo e la nudità. Colui che ha detto: “Questo è il mio corpo”, confermando il fatto con la parola, ha detto anche: Mi avete visto affamato e non mi avete dato da mangiare (cfr. Mt 25, 42), e: “Ogni volta che non avete fatto queste cose a uno dei più piccoli tra questi, non l’avete fatto neppure a me” (cfr. Mt 25, 45). Il corpo di Cristo che sta sull’altare non ha bisogno di mantelli, ma di anime pure; mentre quello che sta fuori ha bisogno di molta cura. Impariamo dunque a pensare e a onorare Cristo come egli vuole. Infatti l’onore più gradito che possiamo rendere a colui che vogliamo venerare è quello che lui stesso vuole, non quello escogitato da noi. Anche Pietro credeva di onorarlo impedendo a lui di lavargli i piedi. Questo non era onore, ma vera scortesia. Così anche tu rendigli quell’onore che egli ha comandato, fa’ che i poveri beneficino delle tue ricchezze. Dio non ha bisogno di vasi d’oro, ma di anime d’oro […] Che vantaggio può avere Cristo se la mensa del sacrificio è piena di vasi d’oro, mentre poi muore di fame nella persona del povero? Prima sazia l’affamato, e solo in seguito orna l’altare con quello che rimane. […] Pensa la stessa cosa di Cristo, quando va errante e pellegrino, bisognoso di un tetto. Tu rifiuti di accoglierlo nel pellegrino e adorni invece il pavimento, le pareti, le colonne e i muri dell’edificio sacro. Attacchi catene d’argento alle lampade, ma non vai a visitarlo quando lui è incatenato in carcere. Dico questo non per vietarvi di procurare tali addobbi e arredi sacri, ma per esortarvi a offrire, insieme a questi, anche il necessario aiuto ai poveri, o, meglio, perché questo sia fatto prima di quello. Nessuno è mai stato condannato per non aver cooperato ad abbellire il tempio, ma chi trascura il povero è destinato alla geenna, al fuoco inestinguibile e al supplizio con i demoni. Perciò mentre adorni l’ambiente del culto, non chiudere il tuo cuore al fratello che soffre. Questi è un tempio vivo più prezioso di quello» (San Giovanni Crisostomo, Omelie sul Vangelo di Matteo, Omelia 50,3-4).

13) Cf. Sessione XXIII, cap. IV.

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