«Fra le pratiche devote giornaliere spontanee bisogna che ce ne sia una più forte delle altre e capace di mettere nell’uomo un buon fondamento a tutto l’edificio spirituale. Tale sarà un’ora di orazione mentale, fatta impreteribilmente ogni giorno, e con i seguenti requisiti: 1. che sia un’ora intera; 2. che sia continua; 3. che sia fatta senza libro, ma con la sola mente e con il cuore…». Questo insegnamento non è a noi lontano, né nel tempo né nello spazio. È dovuto ad Antonio Rosmini, uno degli spiriti più illuminati del secolo scorso. E ciò nonostante dobbiamo dire che la pratica della meditazione non brilla nella cultura dell’Occidente, ché anzi ha conosciuto un lungo periodo di crisi. Il suo esercizio si è impoverito e i suoi adepti si sono oltremodo rarefatti. Quali le ragioni? Una di esse è sicuramente da ricercarsi nel pragmatismo, nonché nell’esaltazione della ricerca empirica e nello sviluppo tecnologico che hanno accentuato il potere della ragione e dell’azione a scapito dell’interiorità e del silenzio. Dire meditazione significa oggi per molti trasferirsi spontaneamente in Oriente, dimentichi che anche l’Occidente ha molto da insegnare in merito. D’altra parte non si può negare che l’incontro con l’Oriente ha portato a uno spostamento d’accento anche all’interno della stessa tradizione cristiana, per cui:
– dalla meditazione intesa come riflessione sull’uomo, il mondo, Dio, compiuta nella considerazione degli avvenimenti della vita, nell’ascolto della propria coscienza o attraverso la penetrazione della Scrittura (meditazione discorsiva), si passa o si torna sempre più alla meditazione intesa come esercizio di immersione nell’io profondo, per cogliervi la presenza del divino in esso racchiusa, per mezzo del simultaneo concorso, opportunamente disciplinato, del corpo, della psiche e dello spirito (meditazione esistenziale).
Questi due modi di meditare tuttavia non si escludono, ma si richiamano a vicenda e si arricchiscono reciprocamente. Secondo una terminologia divenuta classica nella spiritualità dell’Occidente, per “orazione mentale” o meditazione in senso lato s’intende un triplice processo di tipo discorsivo-immaginativo, affettivo e contemplativo. Sulla scia di una lunga tradizione, che mutua termini e concetti dalla lectio divina o lettura orante della Bibbia praticata nei monasteri, Francesco La Combe, un mistico del secolo XVII, definisce l’orazione mentale come «una devota applicazione della mente a Dio, che si attua nell’intimo del cuore e comporta il silenzio delle labbra». Quanto ai suoi diversi momenti, egli li fissa in questi termini:
1. Meditazione
«Meditativa è l’orazione con la quale, per mezzo di svariati e devoti pensieri, l’anima, discorrendo interiormente con intensa applicazione, cerca gli stimoli e scruta i motivi per cui possa salire a Dio».
2. Orazione
«Si dà orazione affettiva quando l’uomo parla con Dio con frequenti, spontanei e brevi impulsi d’affetto, e anela con amore infuocato e ardente desiderio all’unione con Dio, cioè al bacio della bocca divina. Per questo è giustamente chiamata aspirazione».
3. Contemplazione
«L’orazione contemplativa è una semplice e spontanea intuizione di Dio e dei misteri divini, accompagnata da religiosa ammirazione. È, in altri termini, quel modo di pregare con cui la mente, lasciati da parte i molteplici e particolari atti con i quali prima cercava Dio e imposto il silenzio anche alle facoltà interiori, con semplice intuito aderisce a Dio solo e in lui si riposa e gode in tranquillità di spirito, come in uno stretto abbraccio di fede e di amore. Per questo ha ricevuto il nome specifico di contemplazione».
I diversi gradi in cui si esprime l’orazione mentale vanno posti in scala: «Buona cosa è la meditazione, migliore l’aspirazione, ottima la contemplazione. In realtà la meditazione spezza il pane solido, l’orazione, ossia l’aspirazione, ne gusta il sapore, ma la contemplazione è la stessa dolcezza che rallegra e sazia». Tuttavia: «Nessuno deve dubitare che tutti questi modi di orazione, presi anche singolarmente, siano un mezzo sicuro e prezioso per raggiungere la perfezione cristiana»[1]. L’uso attuale che si fa della parola meditazione esprime esattamente questi concetti, con una chiara predilezione per il momento contemplativo. Vi sono senza dubbio sfumature e accentuazioni diverse, ma vi sono anche grandi affinità tra ciò che una volta si chiamava orazione mentale e che oggi si preferisce chiamare semplicemente meditazione. D’altra parte, per aggirare l’ostacolo di una terminologia non sempre univoca, preferiamo parlare di preghiera profonda, sottolineando con questo il carattere eminentemente interiore della pratica meditativa. Essa si colloca negli strati più intimi della persona, raggiungibili solo nel silenzio e nella solitudine e si situa nel cuore dell’esperienza religiosa, costituendo nel contempo il fondamento di ogni altra sua manifestazione, sia di culto sia di vita.
1. F. La Combe, Meditare, Milano 1983, pp. 71-73. Si veda anche il Catechismo della Chiesa cattolica (1992), nn. 2700-2724.
Gentili Antonio, Schnöller Andrea, Dio nel silenzio. Manuale di meditazione, Ancora Editrice.