Marie-Dominique Molinié

Riportiamo sotto una delle ultime interviste a p. Marie-Dominique Molinié (che trovate nel sito curato dai suoi amici): essa riassume bene i temi principali della sua opera e della sua grande amicizia con s. Teresa di Gesù Bambino.

Dalla disperazione all’adorazione
Dialogo ardente alla vigilia della Settimana Santa del Grande Giubileo.
Di Luc Adrian, articolo dalla rivista francese “Famiglia Cristiana” n. 1161 del 15 apr 2000
Simpatico ometto. Immobile, nella sua poltrona, come il ragno al centro della sua tela. Un concentrato d’intelligenza folgorante e di affettività, penetrante, in un corpo asciutto, nervoso, quasi contratto. mani fragili da musicista bambino, bianche e venate di blu. Dietro agli occhiali quadrati, sotto le sopracciglia cespugliose, occhi scuri molto vivaci in cui danzano un fuoco e, talvolta, un’inquietudine.

Dopo quarant’anni di apostolato nel convento di Nancy, Marie-Dominique Molinié, domenicano atipico, si è ritirato in un’« isola » delle Lande, un’abbazia del sud-ovest della Francia, sperduta nell’oceano nero dei pini.

Per tutta la sua vita, si è scatenato contro la tiepidezza e la sdolcinatezza teologiche, ferendo spesso con le sue battute pungenti, maneggiando il paradosso come una spada e facendosi, questo Cyrano, dei nemici per sempre. Tutto è eccessivo in Molinié: il suo assillo della Salvezza, la sua paura dell’inferno, il suo desiderio di piacere, il suo bisogno di amicizia, l’orgoglio di denigrarsi – e anche la sua umiltà, “questa forza terribile”.

Vorrebbe “schiacciarsi al suolo (mettersi la mano sulla bocca.. Gb 40 ) come Giobbe”, ma non può fare a meno di provocare, predicando un “Vangelo rude”, senza scipitezza. Lungi dal cercare di “attenuare il mistero”, questo mistico tormentato ne sottolinea, come per diletto, il lato rude e temibile con dei tratti incandescenti, in una lingua agile, moderna, incisiva. Spesso incompresa dai suoi pari, questa predicazione senza attenuazioni trova nelle comunità sorte da poco e presso i giovani cercatori di Dio un pubblico avido ed entusiasta.

Questo pessimista convinto, fratello-amico di Cioran, oggi si proibisce di disperare solo, per obbedienza allo Spirito Santo: “E’ soltanto in modo soprannaturale che ho fiducia”. Come potrebbe dimenticare la preghiera di sua madre che si gettò davanti ad una statua della Madonna quando egli era ad un passo dal suicidio ? E gridò: “Che io lo perda ! Che io lo perda ! Ma che lui sia salvato !”

La supplica adorante, ecco l’antidoto di Marie-Dominique Molinié, disperato che spera, che cammina verso la Riva sulle acque fluttuanti della Fede e non attende altro che di “nascondersi nell’Amore per sempre”.

Festeggiamo i duemila anni della nostra Salvezza. Da che cosa abbiamo bisogno di essere salvati ?

Dall’orgoglio. Non c’è che una lotta nella vita di un uomo: quella tra l’orgoglio e l’umiltà. L’orgoglio, è il rifiuto dell’amore, con l’abbassamento incredibile ed indicibile che l’amore implica.
Lei ha sempre avuto la Fede ?
No. A 12 anni, ho ascoltato una predica sull’Eternità. Il prete predicava così bene che ho visto l’inferno. Ciò mi ha sconvolto: come può un Dio infinitamente buono permettere degli abomini simili ? Alla fine ho concluso: è troppo orribile, non posso crederci. A 16 anni, mi sono ribellato garbatamente.
Oggi, ha capito ?
Non comprendo di più, ma accetto di non capire. L’inferno, le tenebre, il peccato originale ? Come mai tanto orgoglio ? Perché uno strumento di supplizio che si chiama la Croce, quando Gesù poteva salvarci con un semplice sorriso ? Perché questa sovrabbondanza di sofferenza ? Perché i bambini martiri, gli innocenti assassinati… ? Non posso rispondere. Davanti a queste domande insolubili, cerco di raggiungere i gemiti inesprimibili dello Spirito Santo. Mi rifugio lì, e taccio.

Innanzitutto bisogna “essere schiacciati” prima di cercare di comprendere ?

E’ Dio che “è schiacciato”. Egli è in ginocchio davanti a noi e ci supplica: “Fidati di me”. Il solo atto infinito che noi possiamo porre, è accettare di fidarci.
Che cos’è che l’aiuta a credere ?
I santi. Sarei condannato all’agnosticismo e alla disperazione senza Teresa di Lisieux, Padre Kolbe, Marthe Robin, Padre Pio… Mi attirano verso il Cielo. Essi hanno retto l’urto senza accusare Dio ? Allora, non L’accuserò nemmeno io. Grazie a loro, sopravvivo, maldestramente, a forza di preghiera e di adorazione.
Come ha imparato l’orazione ?
Ero studente a Parigi quando una notte, durante una crisi di disperazione, mi sono ubriacato in un locale notturno. Un’entraîneuse compassionevole ha cercato di tirarmi su il morale. Abbiamo chiacchierato. Nell’ombra ha mormorato: “Per me, l’amore, consiste nel mettere la mia testa sulle ginocchia dell’uomo che amo, e rimanere così senza dire niente !” Era il segreto dell’orazione ! Fu una rivelazione.

Il Vangelo dice il vero, le prostitute oltrepasseranno davanti a noi la porta del Regno dei Cieli, perché almeno esse avranno lasciato parlare il loro cuore mentre noi chiudiamo il nostro: per evitare i pericoli dell’amore, noi ce ne proteggiamo. Il che ci preserva dalle impurità… preservandoci dall’amore stesso !
Uno dei suoi libri si intitola Il Coraggio di aver paura. Paura di che cosa, dal momento che credere è non aver paura ?
Il coraggio di guardare in faccia ciò che, secondo il Vangelo, deve farci paura: “Temete colui che può far perire la vostra anima”. Il coraggio di credere all’inferno. I cristiani non sopportano più questo dogma perché rifiutano di aver fiducia, esigono delle garanzie e delle sicurezze. Non bisogna confondere la fiducia teologica con l’ottimismo. La condizione necessaria per la vera fiducia, è di aver paura.
Lei non ha una fissazione malsana sull’inferno ?
Forse… Tuttavia, il modo con cui si elimina questo problema nella Chiesa mi lascia stupefatto: il Vangelo è rude. Lo apra: vi si tratta dell’inferno una sessantina di volte. “Ci saranno pianti e stridori di denti…” non è un’immagine, diamine !

Leggere il Vangelo senza mai scontrarsi con l’inferno, è un “tour de force” di cui ammiro la virtuosità. Non abbiamo il diritto di attenuare questo rigore, anche se dobbiamo immergerlo nella grazia di Dio che ha previsto tutto affinché noi lo sopportiamo.
Che cos’è che può salvarci dalla paura ?
L’umiltà. Guardare il Cristo, e Lui solo. Egli ci ha detto: “Non temere, piccolo gregge, io ho vinto il mondo. Se la vostra umiltà accetta di temere, io vi dico “Non temete” – ma se il vostro orgoglio rifiuta di temere, allora temete !”
Qual è il segreto della Salvezza ?
Chiedere aiuto. L’orgoglio rifiuta di chiedere aiuto – è il solo combattimento nella vita di un uomo. Non appena siete umili, siete salvi. Anche se non lo sapete. Il povero è colui che chiede aiuto, che non cerca di avere delle garanzie, né delle certezze in tasca.
Ma l’orgoglio si mescola a tutto, anche all’umiltà ?
L’umiltà si misura dalla fiducia: per avere fiducia, non bisogna guardarsi, ma guardare unicamente Dio, e ciò che Egli vuol fare.
Si parla della “gioia della Salvezza”. Quale gioia c’è nella Croce ?
Ancora un mistero ! La Chiesa canta il Magnificat la sera del Venerdì Santo, la Madonna pure. Ella ha ricevuto ai piedi della Croce un tornado di pace che le ha permesso di stare in piedi. Come ha fatto ? Non lo so. Mi fido. Mi invita a seguirla: “Entra in questa gioia che non comprendi” – non rifiuterò… La pace è la grazia delle grazie, il dono di Dio, un ciclone più forte di ogni tempesta.

Si è parlato della “dolcezza insopportabile” di Cristo e della Madonna ai piedi della Croce… Cristo non si è “dominato”, non ha stretto i denti, si è lasciato disarmare, completamente. Quando si volgono gli occhi sull’abisso di questa dolcezza, è ben più vertiginoso che la Croce stessa… E’ una vertigine che attrae.
Essere contemplativo, è lasciarsi attirare da questa vertigine ?

In un certo qual modo. Si crede troppo spesso che la contemplazione cristiana sia una sorta di dialettica ascendente che si eleva dal mondo e sale verso Dio, alla maniera di Platone. No. E’ la contemplazione vissuta da Dio Stesso, sconvolto nel suo cuore davanti allo spettacolo della nostra miseria, e che si abbassa verso di noi nel movimento inaudito dell’Incarnazione.

Non c’è mai stato che un solo contemplativo: Gesù Cristo. Egli ha contemplato le nostre tenebre nella luce della gloria di Dio, la nostra durezza nella luce della dolcezza di Dio, la nostra miseria (détresse) in quella della misericordia… e ne è morto.
La vittoria sulle tenebre, Egli l’ha ottenuta rifiutando fino in fondo di difendersi, contemplando i suoi carnefici con quello sguardo di dolcezza insopportabile che Padre Kolbe offriva ancora ai suoi carnefici di Auschwitz e che li costringeva a supplicarlo di non guardarli così, di non contemplarli con questa contemplazione che è già la vittoria di Dio.
Chi sono per lei i “contemplativi incoscienti” ?
I “poveri di Yahvé” – sono innumerevoli – , schiacciati senza capirci nulla dalla crudeltà dei potenti e dal peso di un mondo indurito. Conducono una vita da galera facendo incoscientemente ciò che tutti i contemplativi “ufficiali” dovrebbero fare coscientemente: volgersi verso la Croce di Cristo. Essa sola dà un senso alla vita inabissandoci progressivamente nel mistero pasquale, attraverso la pratica quotidiana – a volte dolce e spesso dura – della carità fraterna.
Se le rimanesse un’ora sola da vivere, che cosa farebbe ?
Supplicherei, come al solito. La mia vita è accettare di perdere piede, e lasciarmi aspirare nella voragine (gouffre) della supplica fiduciosa.
Perdere piede ?
E’ la condizione indispensabile per la fiducia. Per seguire Gesù Cristo, bisogna chiudere gli occhi, accettare di partire all’avventura, di “perdere la propria anima”, di lasciare tutto – trascinati dentro un movimento in cui siamo certi di essere superati, di non avere più appoggi. Ora, ciò, noi lo rifiutiamo. Accettiamo volentieri di correre, ma non di volare. Diciamo: “No, non subito…”.
Non è troppo radicale lei ?
Credo che Dio lo sia più di me. La fiamma della vita divina – “Sono venuto ad accendere un fuoco sulla Terra… Accettate di andare fino ad essa, fino al fuoco ?” -, se i cristiani le aprissero il loro cuore, sarebbe abbastanza violenta per travolgere tutto. Noi, noi vogliamo ben amare Dio, ma a condizione che non si vada troppo in fretta, non troppo intensamente, che non sia troppo sconcertante.

Resistendo così, ci rendiamo la vita più difficile e più aspra: facciamo delle prodezze estenuanti per evitare di diventare dei santi !
Che fare ?
Chiedere instancabilmente la Luce, affinché lo Spirito Santo ci mostri in qual modo fino a che punto ci ripugna lasciarci fare. Mi piace molto la storia di Alphonse Ratisbonne, questo figlio di un banchiere ebreo che fu convertito da un’apparizione della Santa Vergine : egli ha accettato di vedere spazzata via, dall’oggi al domani, tutta la sua filosofia.

In fondo, il nostro dramma è questo: accettiamo che la nostra idea della vita sia sbattuta a terra ? E di ripartire da zero dicendo : “Non ho capito niente” ?
Non ci piace essere disorientati… ?
Ci aggrappiamo ad un ideale di noi stessi, un’immagine di valore. Non è sui punti in cui crediamo di essere colpevoli che siamo più colpevoli, ma su quelli in cui crediamo di non esserlo.

Ciò che san Giovanni scrive all’angelo di Laodicea nell’Apocalisse, è a noi che lo scrive: “Tu non hai voluto vedere che sei povero, spogliato, nudo, e non hai voluto presentarti a me così; hai voluto fare come se tu fossi vestito”. Ebbene ! è un’indelicatezza. Noi siamo miserabili ad una tale profondità che c’è bisogno di un intervento speciale di Dio per farcelo vedere. Se non vogliamo saperne, Dio non può farci niente: Egli è timido… “Alla sera di questa vita, saremo giudicati sull’amore” dice san Giovanni della Croce – ma saremo giudicati sulla delicatezza dell’amore più che sulla sua intensità, poiché l’intensità è affare di Dio, ma la delicatezza è compito nostro.
Come convertirsi ?
Lasciandosi andare a fondo. Siamo dei naufraghi che affondano e che cercano disperatamente di risalire in superficie. E’ ciò che non bisogna fare: bisogna lasciarsi trascinare sul fondo; solamente allora potremo risalire. Non siamo mai abbastanza a fondo. Una preghiera che sgorga dalle profondità della miseria (détresse) è sempre esaudita immediatamente. E’ per questo che Dio mette alle strette talvolta, perché ha voglia di esaudirci.

Come Giacobbe, abbiamo tutti la nostra ferita interiore: è il mezzo provvisorio di cui Dio vuole servirsi per esaudirci. Ma noi non sappiamo servircene. “Se chiedete nel mio Nome, otterrete ciò che vorrete. Ma non avete ancora chiesto niente nel mio Nome…”

La preghiera scava in noi un vero grido che non riesce ad uscire, ma che finirà per sgorgare un giorno. Quel giorno, otterremo tutto.
In realtà, abbiamo paura di essere esauditi ?
Sì. C’è nel profondo di noi stessi una resistenza sorniona. Credo che l’orgoglio più profondo e più incurabile, quello degli angeli forse, consista nel rifiutare di accogliere l’infinito per “accontentarsi” di ciò che è a nostra portata. Un tale orgoglio si adorna delle apparenze dell’umiltà: “Non chiedo tanto, non miro così in alto ! E’ troppo bello, questa felicità infinita, ma è troppo per me” e segretamente pensiamo: “Ciò mi supera, perché non viene da me”.

Ho il sospetto che il peccato di Satana abbia potuto essere commesso molto correttamente, molto educatamente, in nome della morale in un certo senso: “Se posso permettermi…” Satana ci ispira spesso quest’atteggiamento di modestia, che è la peggiore delle presunzioni, e il rifiuto di perdere piede. Noi speriamo di non essere divorati, né dal Bene, né dal Male. Satana ci spinge ad essere uomini ragionevoli, che non sono trascinati da niente – né dalla follia delle tenebre, né da quella dell’Amore.

L’uomo virtuoso non deve essere pazzo di nulla, nemmeno di gioia… nemmeno di Dio. E’ a questo peccato che si applica la maledizione dell’Apocalisse: “Se tu fossi caldo o freddo…” E’ meglio sbagliare infinito che rinunciarvi !
La tattica del Diavolo è di proporre il “ragionevole”…
Sì: è il principe della tiepidezza, il re del compromesso. Il suo scopo non è di farci cadere in errori precisi, ma al contrario di lasciarci nel vago, di immergere la Verità nel vago. Perché è impossibile giocare la propria vita su delle idee vaghe, e di conseguenza diventare un santo in queste condizioni.

Per esempio, getta un dubbio sulla Presenza reale attenuando, diluendo, insipidendo il sale della terra.
Perché abbiamo così paura dell’Amore ?
Dio è un fuoco divorante. Si potrebbe scrivere, dovunque c’è la Presenza reale: “Alta tensione, pericolo di morte, divieto di entrare !”

Gli Israeliti lo sapevano bene, avevano questo senso: “Ho visto Dio, morirò…” E’ pericoloso perché è troppo intenso, troppo forte. Dio stesso non può farci niente, non può abbassare il suo termostato. Allora, prende infinite precauzioni per entrare in noi.
Lei utilizza delle immagini di fuoco, di guerra, di alta tensione… Eppure Cristo ci dice che viene a portare la pace !
Sì, ma la sua pace non è la nostra ! Io paragono la nostra situazione a quella di un paese infestato dai briganti: sono i nostri peccati, i nostri vizi, il nostro orgoglio che ci avvelenano l’esistenza, disturbano le comunicazioni all’interno del paese, ci impediscono di vivere in pace.

Ora, questo paese viene a sapere che il suo vicino è un re meraviglioso, generoso, dotato di un’armata potente. Nella sua disperazione, lancia un appello verso questo re, il quale varca il confine con il suo

esercito. I briganti hanno paura e si disperdono nel folto delle foreste; il paese respira, i suoi abitanti ritrovano la concordia e la gioia di vivere insieme.

Questo è il frutto della nostra conversione a Gesù Cristo… In realtà, i conti non tornano: ciò che noi chiamiamo “la pace” è un compromesso mediocre, un dosaggio tra il Bene ed il Male denominato “equilibrio”, una “coesistenza pacifica” tra l’uomo vecchio ed il nuovo, tra il nostro cuore di carne ed il nostro cuore di pietra. “Non è splendente, diciamo, ma in fondo, non bisogna chiedere troppo.”

Cristo è venuto per darci la sua pace, e non quella del mondo, che ci persuade ad accettare il compromesso. Cristo vuole darci la sua pace estinguendo tutto ciò che minaccia la circolazione dell’Amore.

Così, un giorno il re dice: ” Dove sono andati a finire i briganti ? – Signore, si sono nascosti, sono neutralizzati… – Sì, ma bisogna farla finita ! Li perseguiterò e li sterminerò. – Oh !, ma li risveglierete, sarà di nuovo la guerra… – Io non sono venuto a portare la pace ma la divisione: una guerra di sterminio contro tutto ciò che minaccia la mia Pace”.

Dunque il re stesso scatena i briganti che la sua presenza aveva addormentato. Da qui le tentazioni strane che possono nascere in noi dopo lunghi anni passati al servizio di Cristo: il risveglio delle febbri addormentate… o anche di febbri sconosciute. E’ buon segno, è lo Spirito Santo che fa le pulizie !
Qual è il brano del Vangelo che preferisce ?
Maria Maddalena, la donna dai sette demoni, che crolla in lacrime ai piedi di Cristo. Per me, questo riassume tutto il Vangelo.

Ho una profonda venerazione per la Madonna e per Maria Maddalena. Entrambe hanno versato le stesse lacrime: la contrizione di Maria Maddalena non contemplava le sue colpe, ma il Cuore di Cristo ferito dalle sue colpe: e la compassione di Maria guardava questo stesso Cuore – perché l’Amore non è amato.

Credo che la carità fraterna debba essere uno sforzo per prolungare tra noi il dialogo silenzioso della Madonna e di Maria Maddalena – quelli che hanno meno peccato, diventino in definitiva, più umili e più schiacciati dal peso della Misericordia di quelli che hanno molto peccato.
La solidarietà nel peccato, è piuttosto opprimente !
No, è magnifico ! Come diceva lo starets dei Fratelli Karamazov di Dostoevskij, se tutti comprendessero ciò, sarebbe il paradiso sulla Terra !

Saremmo liberati dai nostri complessi e dai nostri scrupoli grazie alla gioia dell’amore che assume il peccato degli altri. Ed è proprio vero che se ciascuno di noi fosse migliore, il mondo intero sarebbe migliore.

Il peggiore dei peccati è voler chiamarsi fuori dal peccato: è la definizione stessa del fariseismo. “Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori”, dice Gesù. Quando si accetta ciò, si entra nell’ordine dell’amore, ci si abbandona alla misericordia, si molla la presa finalmente. E la gioia esplode in noi !
Luc Adrian – Famille Chrétienne N°1161 du 15/04/2000