Fulton John Sheen

UNA SANTA PER TEMPI DURI

Fulton John Sheen e s. Teresa di Lisieux
a cura di p. Giacomo Gubert ocd

da “Archibishop Fulton Sheen’s St. Thérèse

A Treasured Love Story,

Basilica Press, Irving TX, 2007
Il venerabile Fulton J. Sheen (1895-1979), vescovo ausiliare di New York (consacrato dal carmelitano Adeodato Giovanni card. Piazza) dal 1951 al 1966, arcivescovo di Rochester (NY) dal 1966 al 1969, grande predicatore radiofonico e televisivo, fu un grande amico del “Piccolo Fiore di Gesù”. La più bella sintesi della vita e dell’apostolato di questo fervente ministro di Dio, l’ha pronunciata il beato Giovanni Paolo II, quando incontrò Fulton J. Sheen nella cattedrale di san Patrizio a New York, il 2 ottobre 1979: “Avete scritto e parlato bene di nostro Signore Gesù Cristo! Siete stato un fedele figlio della Chiesa”. In questo tempo di quaresima, quasi come un programma per il nostro itinerario verso la Pasqua, ascoltiamo la presentazione della Piccola Via di questo venerabile figlio della Chiesa.

Sarete certamente d’accordo con me nel dire che stiamo vivendo in tempi duri, problematici. Da quando noi americani abbiamo diviso l’atomo, l’intero mondo è stato diviso. Ci sono turbolenze in tutto il mondo. Come scrisse un poeta irlandese (William Butler Yeats) “Il bene manca di ogni convinzione mentre il peggio è colmo di appassionata intensità”.

Quando sentiamo la parola “santi”, in genere pensiamo ai santi canonizzati e crediamo che diventare simili a loro sia quasi impossibile. In effetti alcuni santi si impegnano a fare cose impossibili per noi. Non possiamo essere come Simone lo Stilita che visse sopra una colonna per 20 anni mangiando ciò che gli portavano su. Non possiamo essere come san Bernardo che scese i 12 gradi dell’umiltà perfetta (sono certo che non appena raggiungessimo il dodicesimo grado, saremmo molto orgogliosi di essere tanto umili). E nemmeno possiamo attraversare tutte le stanze che santa Teresa la Grande ci raccomandò. Così siamo dinanzi al dilemma di dover diventare santi per essere felici ma come esserne uno?

La Chiesa ci ha dato una santa per i nostri tempi, una giovane monaca, santa Teresa di Lisieux. Ella ci ha dato la via per diventare santi, una via che, innanzitutto è molto semplice.

Una volta, durante una conversazione con papa Giovanni XXIII, egli mi disse: “Sa, ho sempre cercato di evitare le cose complicate della vita. Voglio essere sempre semplice”. E santa Teresa volle essere semplice in ogni cosa. Aveva dunque due regole. La prima di non cercare mai soddisfazioni e la seconda di fare ogni cosa, di sopportare ogni cosa per amore di nostro Signore.

Voi, per esempio, avete una certa posizione nella vita, una fattoria, un letto d’ospedale, una casa, un ufficio. Non fa differenza quanto sia umile o alto il vostro lavoro. Il metodo del Piccolo Fiore fu di integrare la santità con ciò che stiamo facendo in modo che nessuna forma di vita possa essere più alta di un’altra.

Per esempio, voi potete pensare che, solo perché io appaio così spesso in pubblico e parlo di cose sante, io sia più santo di voi! Ora ciò non è vero. Ci sono magari qui tra noi alcune vecchie signore che magari non capiscono alcune grandi parole che uso ma che sono mille volte più vicine a Dio di me semplicemente perché stanno seguendo la regola di mettere in relazione ogni singolo dettaglio della vita con nostro Signore. Integrano la loro vita con nostro Signore.

È proprio come, per esempio, versare una goccia d’acqua nel vino: i due diventano una cosa sola. O come gettare il ferro nella fornace. Il ferro si fonde.

E così santa Teresa ci raccomanda di prendere ogni azione, studio, lavoro, riposo, svago (non fa differenza quale) e porla in relazione con nostro Signore. Ecco un esempio tratto dalla vita di Teresa.

Una delle monache del monastero era la vecchia suor San Pietro. Aveva superato gli ottant’anni e era artritica. Era rabbiosa. Le monache possono essere rabbiose. Così anche i preti. Dio ce ne liberi! Ma suor San Pietro era rabbiosa, e soffriva molto e doveva sempre andare in refettorio 10 minuti prima perché con la sua artrite camminava lentissimamente. Doveva essere poi sostenuta nel camminare, nel sedersi su di una sedia, in un modo speciale, e bisognava spezzettarle il pane nella ciotola, sempre in un modo speciale, così come lo aveva fatto per 50 anni.

Bene, tutte le altre monache trovavano molto duro occuparsi di suor San Pietro; Teresa invece se ne prese carico. Una volta suor San Pietro le disse: “Sei troppo giovane, una giovane novizia. Non sai fare niente! Mi ucciderai, per come mi tratti!” E Teresa le rispose con un sorriso.

Un giorno, mentre stava andando verso il refettorio con suor San Pietro, Teresa udì della musica e davanti ai suoi occhi vide una sala da ballo, musica, danze, piacevoli conversazioni. Per un momento fu trasportata alla gioia di quella scena. Poi guardò verso suor San Pietro e disse: “Per tutta la felicità e tutta la musica piacevole di questo mondo, non abbandonerò mai suor San Pietro!”. Ed ella cominciò ad amare Teresa e Teresa sempre l’aveva amata.

Pensate a quante volte nella vita abbiamo l’occasione di prenderci cura di persone che sono forse come suor San Pietro. E Teresa divenne santa semplicemente prendendosi cura di qualcuno che era una piccola croce.

Dobbiamo poi vedere in ogni malattia una opportunità di offrire le nostre sofferenze in unione con nostro Signore. La malattia ci distacca dal mondo. Dopo tutto, penso che la mano di Cristo è nel “guanto” di ogni persona ammalata e tutto ciò che noi vediamo è il guanto. Ma dentro c’è la Mano di Cristo che ci diede questa sofferenza.

Così, ritornando al nostro punto, dico che per vivere in questi tempi problematici dobbiamo diventare santi. Santo è chi rende Cristo amabile. Questa è la definizione di un santo.

Ho un amico che ha trascorso 14 anni in una prigione comunista subendo ogni tipo di tortura.

Quando uscì dalla prigione, vide un ragazzino per strada e gli chiese: “Credi in Gesù Cristo?” Il ragazzino rispose: “No, non ci credo”. “Bene, e perché no?” “Beh, disse al mio amico, tu credi che Cristo sia Dio, lo credi, vero?” “Sì”. “Bene, disse il ragazzino, Dio può fare tante cose. Dio ha fatto gli elefanti. Ha fatto le rose, le grandi rose e le piccole. Dio ha fatto le scimmie. Le grandi e le piccole. Penso che se Gesù fosse Dio, Egli avrebbe dovuto essere capace di fare altri Gesù. E io non ho mai visto nessun altro Gesù. Mio padre è alcolizzato. Mia mamma lavora come lavandaia. Non ha tempo per me. Così io non credo in Gesù perché non ho mai incontrato un altro Gesù”.

Ecco dunque ciò che noi tutti dovremmo essere e che il Piccolo Fiore volle che noi fossimo: Piccoli Gesù, che si sottopongono alla loro passione, che passano facendo del bene, diffondendo gentilezza proprio come Egli fece. Nessuno pensi di essere troppo vecchio. Ricordate, morì a 24 anni. Pensate solo a questo. All’età in cui molti dei nostri giovani adulti sono lontani dell’essere maturi, Teresa era già una santa.

Voglio darvi solo questo insegnamento: non abbiamo bisogno di molto tempo per diventare santi, c’è solo bisogno di molto amore.